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Ci sono nove intelligenze più una riassuntiva che è sintetica, creativa ed etica. Non si può essere bravi in tutti i campi

Articolo. Essere delle persone intelligenti significa non darsi dei limiti: non accontentiamoci di coltivare nel nostro giardino cerebrale solo dei tulipani, quando possiamo aggiungerci un gazebo, un campo da calcio e una pista da ballo con tanta musica. Cerchiamo il più possibile di essere trasversali, di crescere continuamente e di farlo insieme agli altri.

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(metamorworks Shutterstock.com)

Siamo nel pieno della XXII edizione di Bergamo Scienza e anche quest’anno il numero di eventi, personalità coinvolte e pubblico partecipante è straordinario. Vengono celebrate le Intelligenze e, dopotutto, fare scienza significa anche unirne tante diverse, umane e artificiali, per interpretare una realtà complessa e diversificata.

Noi esseri umani ci siamo sempre considerati la specie più intelligente della Terra: abbiamo costruito città e razzi spaziali, dove abbiamo incontrato ostacoli abbiamo creato aeroporti e ponti per scavalcarli, sfruttiamo le risorse del pianeta per ottenere l’energia che ci serve per vivere, abbiamo studiato sistemi complessi per interpretare l’universo in cui siamo sperduti e, addirittura, c’è chi ha programmato un’intelligenza artificiale, di cui si può solo immaginare il possibile sviluppo tra pochi decenni.

Ma ci meritiamo davvero il primato della specie più intelligente?

Noi cresciamo con un’idea incompleta di intelligenza

Sin da quando siamo piccoli e andiamo a scuola, ci viene insegnato che i bambini e le bambine intelligenti sono quelli che hanno tutti i voti alti, che capiscono subito come fare le sottrazioni in colonna, che imparano i nomi delle ossa umane in un attimo e che ricordano perfettamente le date della nascita e della caduta dell’Impero Romano. Quindi, quando bisogna scegliere il proprio percorso di istruzione superiore o universitario, tante ragazze pensano di non poter eccellere in un lavoro nell’ambito STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) perché «non si sentono abbastanza intelligenti», e tanti ragazzi “non si sentono portati” per l’accudimento e professioni orientate alla cura degli altri. Questo, però, non è dato solo dalle proprie capacità intellettive, ma anche (e soprattutto) da stereotipi di cui si pregna la nostra società e si trascina da secoli.

Questo gap di genere nell’occupazione viene confermato dai dati di AlmaDiploma pubblicati lo scorso febbraio: nel 2022 il 29.4% delle studentesse neo-iscritte a un corso universitario si è orientato verso lauree di lingue, educazione, formazione, medicina e sanità, contro solo il 12.2% della controparte maschile. La situazione si ribalta se si considerano i corsi informatici, economici e ingegneristici, a cui s’iscrivono il 44.6% dei maschi e il 18.5% delle femmine. Ma cosa c’entra l’intelligenza in tutto ciò?

Diversi significati e teorie

«Ognuno è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi su un albero, questo passerà l’intera vita a credersi uno stupido». Questa frase viene spesso attribuita ad Albert Einstein, anche se non esistono effettivamente prove scritte o orali che lo certifichino e rappresenta molto bene una sfaccettatura del mondo scolastico italiano. Viene richiesto a tutti gli studenti di raggiungere gli stessi obiettivi, e se il secolo scorso chi non riusciva veniva semplicemente considerato stupido, o incapace, oggi ci sono finalmente tanti strumenti complementari e tanti nuovi studi che certificano al singolo studente delle necessità specifiche per apprendere al meglio.

Un concetto che Einstein però sosteneva davvero, così come Hawking, è che l’intelligenza sia la capacità di adattarsi ai cambiamenti: una specie è tanto più intelligente di un’altra quanto più facilmente e velocemente si adatta a una condizione di mutabilità nel proprio ambiente di vita. Se ci pensate bene, forse la stiamo perdendo un po’: ci fossilizziamo sulle ripetizioni, su schemi preimpostati e comodità, e in generale stiamo lentamente perdendo le facoltà di accogliere i cambiamenti e le incertezze che tanto spaventano perché ci spostano dalla nostra comfort zone. Il genetista Gerald Crabtree della Stanford University pubblicò nel 2012 uno studio («Our fragile intellect», pubblicato su «Trends in Genetics») su come nel tempo il patrimonio genetico e intellettivo dell’essere umano si sia evoluto: non dovremmo rallegrarci molto perché, secondo lui e riassumendo in breve, ora sappiamo molte più cose rispetto al paleolitico, eppure siamo meno intelligenti rispetto a quando dovevamo stare costantemente all’erta nella natura.

Essere intelligenti non significa esserlo per forza in tutti gli ambiti: negli anni ’30 Thurstone, negli anni ’80 Sternberg, e successivamente Gardner negli anni ‘90 definirono l’intelligenza un insieme di intelligenze multiple, indipendenti e diverse tra loro, di cui noi umani ci avvaliamo in diversi ambiti. Le nove intelligenze di Gardner sono logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale. Nel 2007, poi, ne propone un’alternativa più riassuntiva: intelligenza disciplinare, sintetica, creativa, rispettosa ed etica.

Questo per dire che gli esseri umani apprendono e applicano le conoscenze in modi diversi. Einstein non sarebbe stato tanto più intelligente di Federica Pellegrini, di Roger Waters o Renzo Piano: semplicemente, queste persone eccellevano (ed eccellono tutt’oggi) grazie alle loro intelligenze diverse, applicate negli ambiti che tanto li hanno resi noti.

Nel 1995 Daniel Goleman pubblicò «Intelligenza emotiva», un testo (che invito tutti quanti a leggere) in cui descrive la sua omonima teoria, al tempo rivoluzionaria, di un’intelligenza che consiste nella capacità di interpretare le emozioni altrui per prevedere eventuali minacce, di comprendere e regolare le proprie emozioni per riuscire ad accedervi e farsi guidare nelle decisioni importanti.

Infine, soprattutto negli ultimi anni sta emergendo l’intelligenza artificiale, che sta già avendo un impatto significativo in molteplici settori della società, dalla salute all’istruzione, dai trasporti alla finanza. Mira a creare sistemi per l’apprendimento, il ragionamento, il riconoscimento di pattern e l’applicazione trasversale, al fine di migliorare i mille ambiti in cui ne stiamo testando l’applicazione.

Non siamo l’unica specie intelligente!

Al di là della presunzione di chi ritiene che siamo l’unica specie intelligente dell’universo intero, se ci concentriamo sul nostro pianeta vediamo che avremmo dei compagni molto interessanti e da cui, invece, potremmo apprendere. Ci sono specie animali, oltre ai primati che apprendono per imitazione e comunicano tramite gesti, che hanno delle capacità e dei comportamenti in comune con noi che non ci aspetteremmo. I delfini, per esempio, sono animali sociali tanto quanto noi, infatti hanno interazioni complesse tra di loro, cacciano in branco e comunicano con una grande varietà di suoni, quasi come le balene. «Hai una memoria da elefante» non è solo un modo di dire, ma un gran bel complimento: questi enormi pachidermi non hanno solo una grande memoria, ma anche tanta empatia da elaborare anche comportamenti di lutto per i loro simili.

Peter Godfrey Smith lo racconta nel libro «Altre menti», ci sono animali che sono invertebrati atipici ed esprimono un’intelligenza inaspettata: sono i polpi. Essi hanno la maggior parte del sistema nervoso nei loro tentacoli, con cui sanno aprire i barattoli e giocare con ciò con cui interagiscono, cambiano colore in base all’ambiente circostante e accecano i nemici con il loro inchiostro. È straordinario anche perché questi animali 530 milioni di anni fa persero il guscio e questo accelerò la loro acquisizione di maggior flessibilità fisica e mentale, sono solitari e muoiono prima dei due anni di età, quindi hanno veramente poco tempo per sviluppare una certa intelligenza e furbizia.

Siamo misurabili e migliorabili?

Ad oggi si utilizzano le Scale di Wechsler come test d’intelligenza clinici: la «Wechsler Adult Intelligence Scale» (WAIS) per gli adulti, la «Wechsler Intelligence Scale for Children» (WISC) per i bambini in età scolare e la «Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence» (WPPSI) per i bambini piccoli. Consistono in prove individuali che testano il funzionamento intellettuale dei soggetti coinvolti nelle diverse sfaccettature.

Se, però, vogliamo prenderci cura dei nostri neuroni e coltivare la nostra intelligenza, ci sono una serie di cose che possiamo fare: dai sudoku a «nomi, cose, città», ma anche danzare e fare attività fisica quotidianamente, dormire sufficientemente per recuperare le energie, non stancarsi mai di imparare qualcosa di nuovo, seguire la dieta mediterranea, circondarsi d’amore…

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