A chi non è capitato almeno una volta di trovarsi sotto uno splendido cielo stellato e rimanere per minuti con gli occhi rivolti verso le stelle ad ammirarne lo spettacolo? Personalmente la trovo un’esperienza dal sapore primordiale, qualcosa che i nostri antenati hanno fatto sin dagli albori della specie umana. Il cielo notturno è stato studiato, ammirato, usato come strumento di navigazione e ha ispirato storie e leggende nel corso dei millenni. Grazie ai progressi tecnologici, dal primo utilizzo del canocchiale di Galileo al lancio di enormi e sofisticati telescopi spaziali, l’umanità ha progressivamente sbloccato la possibilità di esplorare l’universo, catturando la luce proveniente dalle sue profondità . Oggi andremo ad esplorare la ricchezza dei colori che dipingono lo spazio profondo tra, nebulose, galassie e comete, scoprendone l’origine e il significato.
Le nebulose
Durante le notti d’estate se guardiamo a sud, verso il cuore della nostra galassia, la Via Lattea, troveremo molte nebulose. Queste purtroppo non sono visibili ad occhio nudo, ma possono essere fotografate con un’adeguata attrezzatura da astrofotografia. Le nebulose sono immensi aggregati di polvere, gas e plasma. Questa abbondanza di materia permette la nascita di nuove stelle, le quali a loro volta irraggiano il gas circostante ionizzandolo e producendo il plasma. Il plasma è un gas in uno stato eccitato che ha la caratteristica di emettere luce in una specifica porzione dello spettro luminoso. Il colore della luce emessa dipende dagli elementi chimici contenuti. Una di queste nebulose, denominata M16 «Nebulosa dell’Aquila» cela una struttura di polvere e gas che è stata immortalata e resa celebre dallo scatto del telescopio spaziale Hubble: i «Pilastri della Creazione».
Un nome suggestivo per una vista mozzafiato, che è stata in grado di avvicinare il grande pubblico al mondo scientifico astronomico. I colori che potete osservare nell’immagine sono tuttavia un artefatto! Il telescopio Hubble, infatti, è in grado di scattare solamente foto in scala di grigi. Tuttavia, mettendo un filtro speciale nell’apparato ottico, è possibile scegliere quale porzione di luce filtrare. Ad esempio, potremmo mettere una combinazione di filtri rosso, verde e blu (RGB). Scattando una foto per ciascun filtro e combinandole digitalmente, otterremmo una foto a colori, piuttosto fedele a come l’occhio umano vedrebbe l’oggetto astronomico in questione. Sotto è riportato un esempio dei «Pilastri della Creazione» in RGB.
Hubble è stato equipaggiato con diversi filtri in grado di catturare l’emissione di luce di uno specifico elemento chimico, escludendo il resto dello spettro luminoso. I tre filtri usati per catturare i «Pilastri della Creazione» sono: H-alpha, emissione dell’idrogeno ionizzato dal colore rosso profondo, S-II, emissione dello zolfo ionizzato di un rosso ancora più profondo, e O-III, emissione dello ossigeno ionizzato dal colore verde turchese. Assegnando i colori reali a queste immagini le emissioni di idrogeno e zolfo sarebbero pressoché indistinguibili, facendo perdere profondità , dettaglio e informazioni all’immagine. La brillante intuizione del Dr. Jeff Hester, lo scienziato responsabile dello scatto dei pilastri della creazione, fu quella di assegnare all’S-II il colore rosso, all’H-alpha il verde e all’ O-III il blu. Che dire, la presentazione dell’immagine nel 1995 fu subito un successo e segnò il battesimo della «Palette di Hubble».
Il successore di Hubble, il telescopio di nuova generazione James Web Space Telescope (JWST), grazie alle sue camere sensibili all’infrarosso e la bellezza di 29 filtri dedicati, ha prodotto immagini con un livello di dettaglio da far spaccare la mascella. Come per Hubble le immagini sono in colori falsati. Ad ogni filtro viene assegnato un colore in modo da ottenere immagini che rivelano le strutture più fini e nascoste degli oggetti spaziali osservati. L’infrarosso permette inoltre al JWST di vedere in profondità attraverso la polvere, rivelando dettagli che ad Hubble erano invisibili.
Vi lascio in esempio il mio scatto preferito, ovvero NGC 2070 la «Nebulosa Tarantola» e consiglio di farvi un giro sul sito del JWST, per vedere altre meraviglie.
Le galassie
La maggior parte delle nebulose osservabili si trovano all’interno della nostra galassia quindi ora volgiamo lo sguardo oltre, ad altre galassie lontane lontane. Le galassie sono ammassi di stelle delle più disparate forme e dimensioni. Il colore dominante è senz’altro il bianco. Questi oggetti sono talmente distanti che distinguere le singole stelle che le compongono è impossibile. Le stelle però tendono a raggrupparsi in zone specifiche, creando sezioni più o meno luminose, spezzate da filamenti di scura polvere e intervallate da regioni ricche di gas dove nuove stelle nascono in continuazione. La bellezza è che ogni galassia è unica e fornisce agli scienziati dati fondamentali per studiare le proprietà dell’universo.
A differenza delle nebulose le galassie sono ottimi bersagli per l’osservazione tramite telescopio, poiché sotto un cielo abbastanza buio e con l’attrezzatura adeguata, è possibile osservarne i tratti distintivi principali, come il nucleo e le spire. Infatti, l’occhio umano è molto più sensibile alla luce che al colore quindi se osserverete questi oggetti tramite l’oculare di un telescopio aspettatevi una visione in bianco e nero, che non toglierà comunque l’effetto di meraviglia.
Le comete
Tornando nel nostro giardino cosmico, il sistema solare, in questi giorni potreste aver letto del passaggio della cometa C/2023 A3 Tsuchinshan-Atlas. Alla pubblicazione dell’artico la cometa potrebbe aver già raggiunto il suo massimo splendore, quindi vediamo quali colori possono regalarci questi corpi celesti e la loro origine. In foto come esempio vi ho portato la cometa C/2020 F3 (NEOWISE), che ha dato spettacolo anche sopra i nostri cieli quattro anni fa!
Le comete sono corpi celesti composti da rocce e gas ghiacciati che possono contenere diverse molecole, metalli ed elementi chimici al loro interno. Avvicinandosi al sole, il calore provoca la sublimazione (passaggio da stato solido a gas) e la disgregazione della superficie della cometa. Da questo processo spesso si originano due code. La prima coda è spesso curva, fatta di polvere e frammenti rocciosi che assume un colore che va dal bianco pallido al giallo pallido; questo non è altro che l’effetto della luce riflessa del sole. La seconda coda punta esattamente in direzione opposta al sole ed è costituita dal plasma delle molecole liberate e ionizzate dalla radiazione solare. Il colore blu è abbastanza comune ed è dato dal monossido di carbonio ionizzato. Infine, il falso nucleo è spesso verde grazie all’emissione del carbonio diatomico ionizzato. Il nucleo vero e proprio, quello roccioso, è troppo piccolo per essere osservato da terra. Ogni cometa ha le sue caratteristiche e porta diverse sfumature di colori. Non resta che andare a osservarle e scoprirlo. Io sicuramente sarò in qualche posto buio, armato di macchina fotografica e treppiede a caccia di questi oggetti dello spazio profondo e voi?
In ogni modo spero che questa breve panoramica aggiungerà consapevolezza e valore alla prossima immagine spaziale che vedrete, consci dell’origine dei colori che state osservando.