Come nasce il nome delle pietre ornamentali? Nel mondo dei materiali lapidei, la tradizione non si basa su regole ferree per assegnare il nome a ciascuna pietra. Oggi una norma europea (la UNI EN 12440, pubblicata nel 2008) regolamenta in maniera molto chiara i criteri di denominazione delle pietre ornamentali, senza però “toccare” i nomi tradizionali, che restano l’unico riferimento valido per tutti quei materiali che vantano una storica tradizione d’uso, come ad esempio le pietre che fanno parte del gruppo delle Pietre Originali della Bergamasca.
Con le dovute eccezioni, tra cui il nostro Arabescato Orobico, i nomi tradizionali sono solitamente composti da un nome indicativo della famiglia merceologica, come ad esempio “marmo” o “pietra”, seguito dal nome del sito di estrazione, come ad esempio Pietra di Credaro, oppure dal nome di una particolare e significativa presenza in prossimità della cava. Il “marmo” San Benedetto, detto anche Abbazia, estratto in Vallalta non lontano dall’Abbazia di San Benedetto e il “marmo” grigio San Patrizio, estratto nei pressi dell’omonimo santuario a Colzate, sono due storici marmi bergamaschi, oggi non più coltivati, e due casi emblematici di denominazione.
In bergamasca però abbiamo anche un altro caso speciale, molto evocativo ed esclusivo: è il “marmo” della Madonna, che prende il nome non dal fatto di affiorare vicino ad una chiesa o luogo dedicato a Maria, bensì dal fatto di essere stato utilizzato per la realizzazione di un importantissimo santuario locale.
Ma andiamo con ordine… ci troviamo ad Ardesio, un vivace e noto borgo dell’alta val Seriana. Oggi conta di poco meno di 3500 abitanti, ed è un sito che concentra in uno spazio relativamente circoscritto risorse geologiche straordinarie. Storicamente infatti vi si estraevano metalli (argento) e marmi pregiati, già ricordati nel 1720 da Giovanni Battista Angelini nella sua opera in rima intitolata «Per darti notizie del paese. Descrizione di Bergamo in terza rima». In merito ad Ardesio, infatti, l’autore parla così: «I suoi distinti marmi Ardesio tiene, / Altri son rossi ed hanno del marezzo, /Altri son grigi e variati bene. /Fanno già comparsa i rossi, e sono in prezzo, /e fanno in ogni altra vaga divisa/dispersi nel lavoro a pezza a pezza».
Ad Ardesio infatti già da secoli si estraevano materiali come l’Arabescato di Ardesio, la Breccia Moscata e il bel marmo grigio venato, compattissimo e perfetto per la lucidatura. Il giacimento, molto esteso, si coltivava da tempo per ricavare non solo le lastre per le pavimentazioni, i conci murari e gli elementi decorativi esterni, per i rivestimenti e le pavimentazioni interne, ma anche per le poderose colonne monolitiche che sorreggono le coperture delle navate interne dell’antico e maestoso Santuario della Madonna delle Grazie di Ardesio.
Il Santuario è ancora oggi un importante luogo di fede e di pellegrinaggio, oltre ad essere uno splendido esempio di arte barocca per tutta la Valle. Poiché il Santuario ne costituisce l’emblema territoriale, questo prezioso materiale è noto storicamente con l’evocativo nome di «Marmo della Madonna». Il «Marmo della Madonna» oggi viene denominato “marmo” Grigio di Ardesio e, da un punto di vista petrografico, si tratta di un calcare compatto e lucidabile, cioè di una roccia di origine sedimentaria che, grazie alla sua composizione e alla sua spiccata predisposizione alla lucidatura, il settore delle pietre naturali assegna alla categoria dei marmi commerciali.
La roccia è di età triassica, la sua genesi infatti risale al Carnico Inferiore, ed è anch’esso, come gli altri “marmi” bergamaschi che abbiamo imparato a conoscere, uno degli antichi fondali della Tetide. Più precisamente, il “marmo” Grigio di Ardesio si è formato in corrispondenza di lagune e piane di marea su un fondale poco profondo e interno del grande oceano.
La formazione geologica a cui appartiene prende il nome di Calcare di Breno e affiora diffusamente nelle Orobie, ma solo in zona di Ardesio presenta le caratteristiche compatibili con l’utilizzo come pietra ornamentale e viene estratto da secoli con continuità. La roccia è grigia, compatta, ben stratificata e quindi si presenta con un gradevolissimo aspetto venato, con tonalità dal chiaro allo scuro. Si utilizza per rivestimenti interni ed esterni, a parete e a pavimento.
Dopo decenni di inattività, da una dozzina d’anni la coltivazione del “marmo” Grigio di Ardesio è ripartita, e oggi si estrae in galleria presso il giacimento storico. La coltivazione in sotterraneo, se da un lato implica maggiori costi di gestione, permette tuttavia dall’altro di intercettare la venatura naturale della roccia nella direzione più efficiente e gradevole per la produzione di lastre di grande formato. Grazie al suo colore e al suo disegno, infatti, con il “marmo” Grigio di Ardesio si ottengono magnifici disegni di posa a macchia aperta, richiesti in Italia e all’estero.
Le sue apprezzate caratteristiche estetiche si combinano con quelle prestazionali di resistenza alle sollecitazioni e all’usura: per questo motivo è molto ricercato in tutto il mondo, e ha trovato particolare gradimento anche in mercati esigenti, tra cui ad esempio la Cina.
Oltre a numerosi pavimenti e rivestimenti interni, l’edificio più significativo dove apprezzare questo “marmo” a Bergamo è la Casa dell’Agricoltore, ora Banca Generali. Si tratta infatti di un emblematico esempio di impiego del “marmo” Grigio di Ardesio. Costruito a cavallo degli anni 1927-1929 su progetto dell’ingegner Luigi Angelini, si caratterizza per la facciata litica in “marmo” Grigio di Ardesio realizzata nella forma di un alto basamento che riveste i primi due piani fuori terra, in posizione avanzata, ritmicamente scanditi dalle cinque campate centrali e dalle due campate alle estremità, contraddistinte dal maggiore aggetto e dai timpani triangolari.
La facciata è ornata, tra le finestre del primo piano, da sculture in bronzo, e ulteriormente scandita dalle sei lesene ioniche di ordine gigante, sempre in “marmo” Grigio di Ardesio e che poggiano sullo zoccolo lapideo. Forse per dare ulteriore risalto alla preziosità del paramento litico, i contorni delle finestre aperte negli intercolumni sono in pietra artificiale e finto ceppo. Questo edificio, oggi quasi centenario, è un’evidente prova della durabilità e della bellezza della pietra, anche quando esposta all’azione aggressiva dell’ambiente urbano.