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Vinicio Capossela, tutto l’amore e la peste

Intervista. Il musicista e cantautore torna a Bergamo per «Lazzaretto Estate 2022». Si esibirà in «Bestiario d’Amore», un concerto che nasce dall’omonimo disco pubblicato due anni fa. Domenica 24 luglio alle 21.30

Lettura 5 min.
Vinicio Capossela (Simone Cecchetti)

Dall’amore nubiloso di «Scivola vai via» del 1990, a quello allegorico di «Bestiario d’amore», l’ultimo EP pubblicato nel 2020 (sorta di completamento dell’ultimo disco lungo «Ballate per uomini e bestie» del 2019): nel concerto di domenica, Vinicio Capossela attingerà dalla sua vasta discografia per creare un percorso narrativo e musicale ampio, che lo porterà ad esplorare le rivoluzioni che l’amore realizza in tutte le sue forme. Al suo fianco saranno in scena i musicisti Alessandro Asso Stefana, Raffaele Tiseo e Vincenzo Vasi.

«Bestiario d’amore» non è un vero e proprio album, ma una piccola opera composta di quattro brani di ambientazione trobadorica, che conclude il viaggio in un Medioevo fantastico, affrontando l’ultimo e il più grande dei misteri della natura umana: l’amore. Per scavare all’interno di un tema tanto complesso, Capossela ha preso ispirazione dal componimento letterario di un erudito del milleduecento, Richart de Fornival, opera di brillante combinazione tra le favolose descrizioni naturalistiche dei Bestiari medievali e la fenomenologia dei comportamenti amorosi.

L’abbiamo intervistato per farci raccontare la sua visione del nostro mondo – musicale e non solo – affetto da diverse epidemie, dove forse l’amore, mutevole e zoomorfo, è l’unica costante, poiché capace di forgiarsi in tutte le forme.

CD: «La peste» è uno dei suoi pezzi recenti più conosciuti. È significativo suonarlo proprio al Lazzaretto?

VC: Beh, «La peste» è nata proprio per questo. Non solo la suoneremo, ma avremo tutto quello che serve per neutralizzare la pestilenza: la maschera medicale, le erbe. A parte gli scherzi, ci tenevo a fare questo concerto, «Bestiario d’amore», proprio dentro al Lazzaretto perché, un po’ come per Boccaccio, quando tutto attorno c’è la pestilenza, ci si rifugia nel racconto e si parla d’amore. Ora, mi sembra che siamo in una situazione dove oltre le pestilenze ci sono anche altre cose altrettanto terribili e quindi dentro al Lazzaretto, al riparo di questa struttura, ci occuperemo anche della zoomorfia d’amore.

CD: Quali sono le pesti più temibili oggi?

VC: Tre anni fa, quando ho scritto «Ballate per uomini e bestie», con questo brano «La peste», mi riferivo proprio ad una epidemia di carattere etico, che trovava grandissimo mezzo di diffusione in questo pneuma che è la rete. Al suo interno ci sono tantissime pestilenze che la percorrono, dalle fake news a tutto il meccanismo che governa la ricerca del consenso, lo sfruttamento della verità, il sessismo, il body shaming, il revenge porn, il razzismo e così via. Un sacco di cose che caratterizzano l’odio. Poi, questa pestilenza da comportamentale ha fatto il salto di specie, con tutto ciò che ne è conseguito.

CD: «Bestiario d’amore» ha un legame con Bergamo.

VC: La scrittura di questo album è partita in me proprio dalla visione dell’affresco all’Oratorio dei Disciplini a Clusone. Mi è molto caro ricordare quel luogo perché lì si è tenuto l’incontro con la scrittrice e storica Chiara Frugoni, che è stato per me davvero speciale. Nel concerto al Lazzaretto saranno presenti musicisti di musica antica, avremo la partecipazione di un liuto, di una viella, un ensemble che anche filologicamente, musicalmente, ci porterà in una dimensione atemporale.

CD: Il concerto, immagino, si muoverà dal punto di partenza di «Bestiario d’amore», dove andrà a inoltrarsi poi?

VC: «Bestiario d’amore» è una cornice narrativa che permette di andare a spasso per diversi temi, anche attuali. Certamente l’opera si rifà al trattato medievale di Richard De Fournival, dove si indagano i meccanismi amorosi usando allegorie sugli animali. Questa cornice però ci permette anche di andare avanti in maniera narrativa seguendo i vari animali e le simbologie che ci sono nel racconto di De Fournival. Il repertorio perciò è costituito da canzoni che vanno dal primo disco all’ultimo. Sono molte in realtà quelle dei primi dischi, perché le canzoni d’amore arrivano soprattutto da quel periodo, le successive sono più legate alle bestie. L’amore accende una zoologia in noi che diventiamo di volta in volta corvo, balena, e via dicendo.

CD: Negli ultimi anni il suo lavoro è molto legato al Medioevo. Cosa la attrae di questo periodo storico, tendenzialmente considerato oscuro, ma in realtà molto complesso?

VC: Sicuramente quando ho iniziato a scrivere il disco, nel 2018, trovavo molte analogie oscurantiste. Dal quasi risorgere delle guerre di religione a questo senso di apocalisse in cui viviamo, al dilagare della superstizione, se vogliamo chiamare così tutta la disinformazione. Ci sono tante allegorie per descrivere la connessione con l’attuale, ma ciò che mi affascina di più del Medioevo, oltre alle riletture del mondo contemporaneo, è in prima istanza una presenza dell’irrazionale, del sacro, e poi – a discapito del cupo – una certa festosità musicale che mi ha attratto. La mia intenzione era anche di fare un viaggio nella forma della ballata, che trae origine da quel periodo storico. Tra trovatori e cultura letteraria romanza, mi sembra un periodo decisamente post-moderno.

CD: Nel medioevo Dio era al centro del mondo, lo si capisce ad esempio nella «Divina Commedia» di Dante. Oggi cosa c’è al centro del mondo?

VC: L’Io-Dio! Dio si è fatto uomo, bene, però, ecco, si è fatto singolo. Credo che ora al centro ci sia l’individuo, il sé, non l’umano come espressione di un popolo. Da questo ne conseguono molte altre cose: quando l’uomo si fa Dio, si fa completamente padrone del mondo, della natura. Così, il mondo finisce per restringersi perché non esiste più quella dimensione «altra» espressa dal sacro e che si declina nel tempo e nel luogo. Un po’ come Leopardi sosteneva che le carte geografiche avessero ristretto il mondo, l’io-Dio lo ha letteralmente fagocitato.

CD: Tornando alla peste, intesa come pandemia, come è stato l’incontro con il pubblico quando avete potuto tornare a suonare?

VC: Io personalmente non ho attraversato questo lungo periodo, questa specie di deserto, perché anche nell’estate del 2020 siamo riusciti a fare diversi concerti in una formazione ridotta chiamata «Pandemonium». Abbiamo suonato ogni volta che abbiamo potuto e devo dire che la riflessione vera è su «come» ho trovato il pubblico durante le restrizioni pandemiche. Era un modo singolare, era cambiato innanzitutto il «come» fare la musica, restringendo gli assetti e facendolo con i mezzi di bordo, a causa delle risorse limitate. Ho fatto numerosi concerti in cui eravamo soltanto io e un altro musicista, Vincenzo Vasi. Suonare davanti a un pubblico immobile e distanziato è stata un’esperienza molto diversa dalla normalità, quasi mediata, subliminale e rarefatta, perché il concerto è un evento che normalmente coinvolge anche il corpo.

CD: Una sorta di comunicazione basata su altre frequenze.

VC: Ci voleva sicuramente una grande determinazione per rischiare in quel periodo, ad ognuno di noi era richiesto maggiore impegno. A fronte di questa grande motivazione, c’erano anche poche possibilità di scelta, come il divieto di alzarsi in piedi per applaudire. Ho visto scene in cui qualcuno accennava ad alzarsi e la security prontamente li riportava a sedersi agitando un dito. Tutta questa mortificazione del corpo si è sentita anche nella musica, è stato certamente uno spettacolo amputato nella sua parte corporale. Quest’anno, a differenza dei precedenti, non sto facendo molti concerti, però si respira chiaramente un’aria liberatoria, come quando faccio pezzi come «L’uomo vivo» e ci si ritrova tutti sotto il palco.

CD: I suoi concerti si chiudono spesso con il brano «Ovunque proteggi». Da cosa sente sia necessario proteggersi oggi?

VC: Chiaramente dall’inumano, dalla violenza, dalla grettezza del pensiero imposto, del potere. C’è una violenza non esplicita, che è ancora più subdola. In questo momento credo che l’espressione più atroce dell’inumano sia la guerra, che è sempre stata presente nel nostro mondo e ora è maggiormente visibile. La grazia invocata nel brano è proprio ciò che va protetto dalla dis-grazia, ovvero da tutto quello che è opposto ad essa.

CD: Potremmo definirla una sorta di esploratore musicale, con lo scafandro, capace di toccare molti generi nel mare magnum della musica: cosa ci consiglierebbe di ascoltare oggi, tra gli anfratti di questo mare?

VC: Più che verso generi musicali, i miei, sono veri e propri innamoramenti di mondi. Il fatto di non limitarmi semplicemente all’ascolto, ma di andare ad incontrare, comporta mettersi lo zaino in spalla. Dieci anni fa è uscito il disco «Rebetiko Gymnastas», dedicato a questa musica nata in Grecia, che ha uno spirito anarchico, il rebetiko. Una musica ribelle di una ribellione individuale dove si è disposti a perdere, ma con le proprie regole. Una musica fatta per ricordarci di tenere la schiena dritta e allo stesso tempo non avere paura della morte. Come gli Dei ci invidiano la vita perché ogni istante è eterno, il rebetiko è un genere di musica che mi ha sempre ricordato la parte non addomesticata della vita. Inizierei ascoltando l’interprete contemporaneo Dimitris Mystakidis. Di altro genere sono le canzoni di una cantautrice della provincia di Bergamo, Irene Sciacovelli, che non ha ancora pubblicato.

CD: La conosciamo! L’abbiamo inserita qualche mese fa in una playlist di canzoni d’amore (con il nome Altea, ndr) e conveniamo sul fatto che debba pubblicare i suoi brani.

VC: Mi fa piacere! Sono sicuro che lo farà presto e confido molto nel risultato. Faremo in modo anche di averla con noi sul palco del Lazzaretto durante il concerto di domenica.

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