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Veronica Sbergia e «Bawdy Black Pearls», dodici donne che hanno cambiato la storia del blues

Intervista. Il 30 luglio, nella cornice del Parco Brolo di Bonate Sotto, la cantautrice Veronica Sbergia porterà sul palco «Bawdy Black Pearls», il suo ultimo album nato da una ricerca sulla musica nera al femminile di inizio novecento. Un racconto in musica tra doppi sensi, trasgressione e indipendenza

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Veronica Sbergia

Usare la musica come mezzo di autodeterminazione. Un concetto che può sembrare frutto di un qualche moto artistico-rivoluzionario di stampo moderno ma che, in realtà, ha radici molto più profonde, addirittura legate ai primi decenni del secolo scorso. Rainey, Bessie Smith, Sippie Wallace: sono solo alcuni dei nomi che hanno reso grande il ruolo della donna nella musica nera dei primi anni del novecento. Donne forti ed emancipate, in grado di portare in musica tematiche spesso complesse con un piglio divertente e libero. Sono proprio queste donne ad aver ispirato la cantautrice bergamasca Veronica Sbergia nella produzione del suo ultimo album «Bawdy Black Pearls», in cui ha raccolto alcune tra le tracce più rappresentative del mondo della musica nera al femminile.

Dodici brani di dodici donne che hanno cambiato la storia del blues verranno riproposti nella serata del 30 luglio al Parco Brolo di Bonate Sotto, nel contesto delle iniziative a cura dell’Assessorato alla Cultura. Per capire meglio questo spettacolo e, più in generale, il percorso che ha portato alla pubblicazione dell’album «Bawdy Black Pearls», abbiamo scambiato due chiacchiere con Veronica Sbergia.

GT: Il 30 luglio porterai le musiche e le atmosfere del nuovo album «Bawdy Black Pearls» al Parco Brolo di Bonate Sotto, cosa puoi dirci di questa serata?

VS: Il 30 luglio eseguiremo i brani di «Bawdy Black Pearls» cercando di ripercorrere quello che è stato il percorso artistico e storico che ha portato alla creazione dell’album. Sul palco con me ci saranno alcuni degli artisti che hanno contribuito alla realizzazione di quest’opera. Oltre al lato musicale, che comprenderà tutte le tracce del disco, io racconterò delle storie, farò qualche digressione sul contenuto dei brani che il pubblico ascolterà e, in generale, cercherò di rendere al meglio quelli che sono gli argomenti trattati nei vari brani, comprendenti doppi sensi e, in generale, contenuti più o meno espliciti. Sarà un concerto molto curioso e divertente, che credo sia in grado di dare la possibilità di fare ragionamenti con il sorriso sul contesto musicale e storico da cui provengono le canzoni che ho selezionato. Non sarà una «prima volta», perché il disco è già stato presentato all’auditorium di Piazza Libertà a Bergamo, ma dato il sold out di quella serata molte persone non hanno avuto la possibilità di entrare, per cui mi auguro che questo concerto possa dare la possibilità anche a coloro che non hanno avuto la possibilità di partecipare in quella specifica occasione di unirsi a noi per vivere questa esperienza.

GT: Hai parlato di «racconti e digressioni» nel tuo concerto legati agli argomenti trattati nei brani quindi, oltre allo studio musicale, da parte tua c’è stato anche uno studio storico sull’argomento?

VS: Sì, da parecchi anni mi sono «votata» al blues «pre war» e alla musica americana dell’inizio del secolo scorso. Per me è sempre stata una questione di interesse storico e sociale, oltre che musicale e, oltretutto, mi aiuta molto nel far comprendere al pubblico i brani che propongo. Non ti nego che in un paese come il nostro, dove molte persone non conoscono bene l’inglese, fare un concerto di questo tipo dove i testi sono la parte fondamentale delle canzoni, non potrei relegare il lato artistico solo alla musica nemmeno volendo. Quindi è importante che le persone capiscano quello che stanno per ascoltare. Non si tratta soltanto di belle canzoni con un ritmo accattivante, ma di brani con significati specifici. Quando sono in un paese straniero dove l’inglese è un pochino più diffuso, posso dedicarmi più alla musica perché le parole sono già comprese. In Italia penso che sia abbastanza importante coinvolgere il pubblico anche con una narrazione, oltre che alla «semplice» esecuzione dei pezzi.

GT: Di cosa parlano i testi di queste canzoni?

VS: Di fatto il blues di cui stiamo parlando è ricco di canzoni più o meno esplicite dove si parla liberamente di sessualità, omosessualità, dell’uso di droghe, di alcol, di gioco d’azzardo. Temi attualissimi che però venivano trattati senza tabù, a differenza di quanto stiamo vivendo in questi anni in cui siamo entrati in una modalità della «super prudenza» nel parlare. Per un assurdo, ci ritroviamo molto più legati nell’espressione rispetto a quanto non si facesse in questi brani degli inizi del secolo scorso. In particolare, analizzando i testi ci si rende conto di quanto queste musiciste non avessero timore nel parlare della loro condizione di donne, spesso sfruttate, condannate dal razzismo, sottomesse dall’uomo, dalla società e da mille pregiudizi. Nonostante questo, si sono fatte portavoce di una condizione femminile che era universale. Per questo le ritengo importanti al punto da aver pubblicato un album con alcuni dei brani più iconici del periodo, perché tutte le altre donne della working class di quell’epoca grazie a queste canzoni non si sono sentite più sole nel provare determinate emozioni.

GT: Qual è stato il tuo percorso artistico?

VS: Io ho iniziato molto molto giovane a studiare canto e musica, quindi anche il mio rapporto con il palco è iniziato in gioventù. Ho fatto un percorso veramente variegato perché sono passata dal bel canto all’italiana alle orchestre, al folk italiano e popolare, poi al jazz, al blues. Insomma, ho sperimentato parecchi generi musicali diversi. Poi, quando ho incontrato il mio compagno Max De Bernardi, che era ed è tuttora un conoscitore e uno studioso del blues tradizionale e di tutta la musica afroamericana dell’inizio del secolo scorso, ho iniziato ad approfondire insieme a lui la conoscenza del genere e mi sono dedicata quasi totalmente a questo negli ultimi vent’anni.

GT: Di queste tue esperienze passate, quante ne stai utilizzando oggi?

VS: Tutte. Quando cantavo in orchestra ho imparato a stare sul palco come una professionista, quindi a gestire il palcoscenico. Dalla musica italiana ho imparato l’espressività canora e facciale. Dalla musica americana e dalla musica black, quindi da mondi come quello soul e blues, ho capito come poter affrontare un brano mettendoci tutto quello che senti dentro, comunicando il più possibile anche a livello emotivo con le persone. Tutte le esperienze che ho fatto sono state utili. Oggi ho 47 anni e, dopo aver lavorato molto sui palchi, credo di poter dire di essere la somma di tutte le esperienze che ho vissuto.

GT: Come ti sei mossa nella ricerca che ti ha portato a pubblicare «Bawdy Black Pearls»?

VS: Sono partita da libri riguardanti la musica nera femminile, che ho avuto la fortuna di trovare in alcune vecchie librerie mentre viaggiavo negli Stati Uniti, perché purtroppo qua da noi è un po’ difficile reperire un certo tipo di materiale, non essendo musica che fa parte della nostra tradizione. Da qui è nato l’interesse che poi mi ha portata a ricercare brani e informazioni. Fortunatamente oggi, grazie a internet, abbiamo la fortuna di avere accesso a tantissimo materiale audio, addirittura anche qualche video, del periodo. Stiamo parlando di dischi che in alcuni casi sono diventati oggetti da collezione per via della loro rarità, quindi difficilmente reperibili in formato fisico. In questo modo ho potuto condurre una ricerca artista per artista e quindi arrivare a proporre una selezione interessante e rappresentativa del genere.

GT: Il 30 luglio non sarai sola sul palco. Chi ci sarà con te?

VS: Ci saranno quattro musicisti che hanno partecipato alla registrazione del disco. Innanzitutto ci sarà Simone Scifoni al pianoforte, perché il disco era nato inizialmente come un progetto piano e voce e solo successivamente abbiamo deciso di includere altri musicisti. Lino Muoio, produttore del disco insieme a me, suonerà il mandolino. Max De Bernardi sarà alla chitarra acustica e Mauro Porro sarà al clarinetto e alla cornetta. Sono i miei compagni di avventura, al pari di «Bloos Records», un’etichetta folle che ha voluto fortemente che registrassimo questo disco, noncurante del fatto che fosse un prodotto assolutamente non commerciale e difficilissimo da vendere.

GT: Qual è la reazione del pubblico a questo tipo di sonorità?

VS: Inaspettatamente sono sempre tutti entusiasti. Non smetterò mai di stupirmi dei grandi riscontri positivi che ricevo dal pubblico, pur non essendo magari composto da amanti del genere o conoscitori. Non so mai se dipende dal fatto che sia in grado di comunicare, di trasmettere la passione che ho nei confronti di questa musica anche al pubblico, o se sia un fattore veramente musicale in cui i buoni musicisti e la buona musica riescono a coinvolgere tutti nell’ascolto. Spero sia una commistione delle due cose.

GT: Puoi farci anticipazioni su qualche progetto futuro?

VS: Ci sono un po’ di cose che bollono in pentola, sempre in collaborazione con «Bloos Records». Sto lavorando a un album che questa volta prometto sarà davvero solo piano e voce [ride, ndr] sempre legato alla rivisitazione di brani provenienti dagli anni venti. In questo caso sarà una tematica molto più dark e l’uscita è prevista per questo autunno. Abbiamo in programma anche quest’estate di registrare il nuovo disco, in questo caso mio e di Max De Bernardi dedicato alla musica gospel.

Lo spettacolo «Bawdy Black Pearls», segnalato come «spettacolo per adulti», si svolgerà a Bonate Sotto al Parco Brolo di via Villa con inizio previsto per le ore 21. L’ingresso è libero e gratuito.

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