Li potremo vedere per l’ultima volta alle prese con il loro live in realtà virtuale il prossimo 28 settembre all’Ink Club di Bergamo (ore 22, ingresso con tessera Arci, in apertura OTU). Audio e video, narrazione e sinestesie, improvvisazione e immersività per un’esperienza sempre nuova. Ma è solo la proverbiale punta dell’iceberg.
Definire chi sono, cosa fanno e che posto occupano nella musica italiana gli Uochi Toki, duo di Alessandria attivo dal 2002, è impresa davvero ardua. E nel provarci sembra di sentir risuonare nella testa la voce di Napo: “non è che sbagli le risposte, è che non capisci le domande”. Ma proviamoci comunque.
Rico e Napo sono la cosa più interessante successa nella musica italiana negli ultimi n anni. Sono il duo rap più sperimentale che esista. Sono due nerd che hanno trovato la formuletta vincente per piacere sempre e comunque alla critica e agli hipster. Sono due eclettici artisticamente epilettici.
A un certo punto, ma solo per un momento, hanno persino deciso di smettere di fare rap. Perché avevano finito le idee, oppure perché ne avevano così tante che il solo rap non bastava più.
Sono l’anti-trend. Sono una monade auto-esclusa e orgogliosamente reclusa. Sono due furbacchioni. Sono un anti-sistema così radicale che rischia di diventare maniera (ma non lo diventa): sono lo stile, ma che va a pile. Messa così potrebbe anche sembrare confusa, e infatti lo è. (Indistric)abilmente.
Prendiamo un intingolo sonoro il più incasinato possibile: una miscela con ingredienti tra i più disparati buttati nel calderone apparentemente a casaccio. Hip hop, droni inumani, ambient, glitch, hardcore, techno, industrial, post-metal, jungle, post-punk, nostaglie 8-bit, cacofonie rumoristiche varie e qualche avanzo scaduto di chincaglierie orientaleggianti. Un mondo di sbrodolamenti elettronici in cui vengono frullati alla rinfusa Dabrye, Dälek, Prefuse73, Sunn O))), Clipping, Death Grips, Black Flag, Portal, Autechre, Einsturzende Neubauten, l’Aphex Twin di “Drukqs” e un’infinità ancora di schegge sonore impazzite.
Questa è la parte di Rico, alchimista produttivo e demiurgo di lande desolate spazzate da bordoni minacciosi come da serragli percussivi talmente fitti da disorientare perdutamente. E poi dissonanze e tempi dispari, cluster acustici dalla grana tanto liscia quanto spigolosa e irresistibili groove distorti subito dopo. È spesso difficile raccapezzarsi nel suono degli Uochi, ma in fondo è anche questa la loro peculiarità: con un po’ di concentrazione l’epifania si può trovare, nascosta appena dietro l’angolo.
È su questo tappeto sonoro di frattali e discrepanze, di invenzioni e provocazioni, di infiniti gangli e avviluppamenti, che si stende la voce di Napo. Un rap che viene dopo ogni rap possibile, capace di metabolizzare la tradizione imbevendosene a forza di ascolti di Neffa, Danno e altri classici del genere dentro e fuori il Belpaese (“Un pezzo rap”, da “Il limite invalicabile”, 2015) per poi andare oltre. Provare a ri(t)mare sui beat inestricabili degli Autechre, per capire che l’importante non è andare a tempo o indovinare le rime baciate, ma creare un proprio tempo che vada bene su ogni tempo.
Il flow di Napo non asseconda i beat di Rico, non se ne serve, non li valorizza volontariamente e al tempo stesso non li ignora. Sono due binari che procedono in parallelo, eppure a volte si incontrano, e quando succede sembra che a nessuno dei due interessi. Tutto questo per parlare di cosa?
Di un’improbabile serata in discoteca (“La Chiave del Venti”, disco split in tandem con i bergamaschi Eterea Post Bong Band), di biografie vere o immaginate (“Libro Audio”), di amore o di qualcosa che possa somigliarvi (“Cuore Amore Errore Disintegrazione”), di onanismi meta-discorsivi (“Idioti”) e di limiti del linguaggio (“Il Limite Invalicabile”). Di tutto e di più insomma, ma sempre a modo loro.
Il declamare nevrastenico di Napo è il monologo solipsistico di un Io narrante schizofrenico e incline agli sdoppiamenti, ai cambi di prospettiva, alle apostrofi, alle invettive, alle invenzioni e a a un deviato gusto aneddotico. Ironia e disincanto serpeggiano incancreniti tra le pieghe di una filosofia del quotidiano che è la quintessenza dell’autarchia alimentare ma senza alcuna patina di hipsterismi “green”. Farsi la pasta in casa coltivando grano e pomodoro nel proprio orto non perché fa figo, perché è ecologico o perché dà un tono, o un alibi, ma semplicemente perché è più buona.
Ritrovare il gusto delle cose semplici come naturale approdo di una vita interiore troppo ricca per poter essere condivisa con chiunque, e arrivare alla comprensione delle cose attraverso la pratica costante di una concentrazione da shonen manga.
Ma attenzione: non si sta parlando di new age o di facili esotismi, ma di pensare di più, e meglio. È la protesta più radicale e violenta possibile: “bisogna studiare le persone, non scrivere ACAB in giro” (da “Macchina da Guerra”). È il rifiuto di ogni faciloneria spicciola nel rapporto col prossimo, nel leggere un libro, nel semplice alzarsi dal letto.
“Libro Audio” – pubblicato nel 2009 con La Tempesta Dischi – è il loro album più quadrato, sia a livello di beat che di immediatezza delle narrazioni. Dodici racconti brevi, alcuni ver(osimil)i e altri inventati, ma tutti innervati dallo stesso e consapevole autismo sociale, dalla stessa profondità di analisi. E dalla volontà di non fermarsi sulla superficie delle cose, delle persone, delle motivazioni. “Un uomo con un sacco di problemi entra in un esercizio, non ruba niente, viene accusato ingiustamente; allora, per vendicarsi, decide di rubare qualcosa” (“Il Ladro”).
È un gatto che si morde la coda; anzi, è un gatto che cerca la sua coda, che non è nemmeno sicuro di averla, e che nel mentre si tira un sacco di storie perché è giusto così e non potrebbe fare altrimenti.
Poi c’è “Cuore Errore Amore Disintegrazione”, che parla di rapporti, di amore, di provare a cercare di capire il prossimo immedesimandosi, praticando una magia chiamata empatia, e dei fraintendimenti che questo comporta. “Gettandomi in ambigue immedesimazioni non richieste, ma richieste” è un pezzo che da solo vale una carriera, e potrebbe essere il punto di partenza ideale per iniziare un approccio al duo.
Il successivo “Idioti” calca invece la mano sul meta-discorsivo, ed è il loro disco più teatrale. Si spazia dalle cyber-suggestioni à la “Tetsuo” di “Ecce Robot” alle entomologie orrorifiche di “Al Azif”, dall’elegia della nerditudine di “Tavolando il pattino con Antonio Falco” alle paranoie condominiali di un casermone bergamasco in “Venti centesimi di tappi per le orecchie”, dalle autorecensioni di “La recensione di questo disco” al relativismo gustativo di “Umami”.
Il declamare nevrastenico di Napo è il monologo solipsistico di un Io narrante schizofrenico e incline agli sdoppiamenti, ai cambi di prospettiva, alle apostrofi, alle invettive, alle invenzioni e a a un deviato gusto aneddotico. Ironia e disincanto serpeggiano incancreniti tra le pieghe di una filosofia del quotidiano che è la quintessenza dell’autarchia alimentare ma senza alcuna patina di hipsterismi “green”. Farsi la pasta in casa coltivando grano e pomodoro nel proprio orto non perché fa figo, perché è ecologico o perché dà un tono, o un alibi, ma semplicemente perché è più buona.
L’approdo conseguente e naturale è ad una forma via via sempre più frammentata e sperimentale, allontanandosi ulteriormente e progressivamente da qualsiasi stilema riconducibile al rap. “Distopi” e “Macchina da Guerra” sono dischi autoprodotti e distribuiti in tiratura limitatissima, pensati per una fruizione in vinile e accompagnati da una controparte visiva sempre più fondante – le tavole disegnate da Napo, che ha all’attivo un percorso da fumettista come Lapis Niger (consigliatissimo il suo fumetto “La Magia Raccontata da una Macchina”, condiviso nel 2019 e accompagnato da una sonorizzazione firmata Uochi Toki).
“Cystema Solari”, album collaborativo con i canadesi Nadja arrivato nel 2014, è un concept fantascientifico in cui a prevalere è la musica: sfuriate grind e noise si alternano a droni alieni e a distese ambientali. Le parole sono poche e non sempre intellegibili, la sensazione predominante è la polverizzazione totale e senza compromessi verso una sinestesia capace ormai di prescindere dal linguaggio verbale.
Poi con “Il Limite Valicabile” il ritorno a La Tempesta Dischi e ad un rap che però è ancora una volta qualcosa di nuovo e diverso rispetto a prima: il disco è un doppio album, climax bipartito in un crescendo di incomunicabilità sempre più disperata. È questo, ad oggi, il loro lavoro più teorico e meta-linguistico.
Poi, nel 2017, un progetto completamente nuovo: “Il Cartografo” è una serie TV animata in realtà virtuale, una storia post-apocalittica disegnata da Napo con grafiche 3D di matrice videoludica e narrata dalla voce di Giovanni Succi (Madrigali Magri, Bachi da Pietra). Dieci episodi per cento minuti totali, un lavoro tanto grezzo quanto affascinante, lisergico e orgogliosamente nerd.
Da qui l’inizio dell’esperienza dei live in VR: Rico sonorizza e Napo disegna con controller e visore, utilizzando un software che permette la sincronizzazione tra immagine e suoni. Un’esperienza dal vivo immersiva e sempre nuova, con la massima compenetrazione ad oggi possibile tra visivo, sonoro e narrativo. Il 28 settembre all’Ink Club sarà possibile viverne l’ultima puntata, prima dell’uscita di “Malaeducaty” fissata per il 30 settembre. Un nuovo disco che segna il ritorno al rap (o quasi). Vedremo per quanto tempo durerà.
NB: per accedere ad Ink Club dal 1 di Ottobre 2019 al 30 Settembre 2020 è valida soltanto la nuova tessera 2019-20. Per poterla sottoscrivere è necessario presentarsi al circolo con il seguente modulo compilato e stampato: https://portale.arci.it/preadesione/inkclub/.