Serendipity è un incontro casuale, un insieme di coincidenze che non sempre partono da premesse fortunose ma che si concludono con la nascita di qualcosa di buono. Le coincidenze sono proprio ciò che hanno fatto unire Andrea Angioletti, Alessandro Scandella e Lorenzo Giannelli, tre giovani bergamaschi che si definiscono «una band anomala» dato che in due cantano e uno suona.
Il sound decisamente fresco e i testi orecchiabili strizzano l’occhio ai canoni del genere itPop per raccontare con un’ironia quasi amara, ma mai dolente, le delusioni di chi anche se va tutto male cerca di trovare nella musica un modo per esorcizzare la tristezza. Una sorta di «Bene a metà» (titolo dell’ultimo loro singolo). Li abbiamo intervistati in occasione del loro tour partito proprio da Bergamo NXT Station.
CP: Serendipity, il vostro tour è cominciato da Bergamo, quanto contano le origini nel vostro percorso artistico?
AS: Le nostre origini sono essenziali, anche solo per il fatto che Bergamo è la città che ci ha uniti. Io Lorenzo e Andrea ci conosciamo da ancora prima di cominciare le superiori ed è proprio frequentando gli stessi luoghi che ci siamo diventati quello che siamo oggi. Inevitabilmente il posto dal quale proveniamo ha lasciato delle tracce nella nostra musica e incide quotidianamente su tutto quello che produciamo. Ancora oggi noi viviamo a Bergamo dove registriamo e facciamo le prove per il tour. Lo stesso video della canzone «Meno male» è stato girato tra le strade di Bergamo, con vista su Città Alta, volevamo fare una sorta di omaggio all’ambiente che più di tutti ci ha visti crescere e migliorare.
CP: Serendipity, il vostro nome d’arte, è un concetto con un’origine molto antica che ha assunto diverse declinazioni e che in generale può essere inteso come fare scoperte felici per puro caso. Come mai avete scelto di chiamarvi così?
AS: Come hai detto bene tu tutto è avvenuto per caso. Stavamo tornando da un concerto, il concerto di Coez, ma non dovevamo neanche essere lì. Eravamo in un periodo della vita in cui eravamo abbastanza distanti tra di noi per vari motivi. Tra l’altro ci siamo ritrovati lì tutti e tre insieme proprio perché una nostra amica ha rinunciato all’ultimo al biglietto. Così mentre tornavamo a casa in macchina ci siamo detti «ma perché non proviamo a fare qualcosa anche noi»? Alla fine, abbiamo sempre fatto musica separatamente, quindi ci siamo un po’ fatti travolgere dall’onda delle emozioni post-concerto per dare vita a questo gruppo un po’ anomalo, dato che siamo in tre di cui due cantano e uno suona. Ci siamo resi conto che la cosa poteva funzionare e abbiamo deciso di portarla avanti, anche se poi ci sono state un po’ di difficoltà nel mezzo: il lockdown, l’impossibilità di fare concerti e tutto il resto. Ma direi che se siamo qui, ce la siamo cavata in qualche modo.
CP: Cosa significa suonare live dopo due anni di pandemia?
AS: Essere su un palco per noi ha un valore immenso. Tornare a cantare live con delle persone che finalmente sono libere di muoversi e godersi un concerto, è un’emozione indescrivibile. Ce lo siamo detti prima, la musica è fatta di sale prova, di studi di registrazione, momenti di scrittura, c’è un mondo dietro. Ma il coronamento di un percorso e il coronamento delle canzoni avviene quando hai la possibilità di cantarle insieme alle persone che ti seguono. Senza le persone la musica non esisterebbe, quindi non vediamo l’ora di continuare a portarle in giro per l’Italia. Iniziare da Bergamo è stato ancora più magico perché eravamo a casa nostra. Per noi era fondamentale regalare alla nostra città questi momenti di spensieratezza. È giusto che ora la gente si goda un po’ di cose belle, ed è quello che poi proviamo anche noi a trasmettere con le nostre canzoni.
CP: È stato difficile scrivere e comporre durante questo periodo di isolamento? Quanto c’è di quello che abbiamo vissuto nelle vostre canzoni?
AS: È stato difficile per due motivi: il primo di carattere tecnico perché non potevamo vederci per registrare quindi dovevamo fare tutto da remoto e poi ci siamo trovati a gestire tutti i sintomi a livello psicologico che hanno a che fare con l’isolamento, l’impossibilità di avere contatti con l’esterno. Noi con le nostre canzoni abbiamo cercato di contrastare questa tendenza trasmettendo sempre leggerezza e allegria, pur essendo consapevoli che le emozioni che si vivono non sono sempre positive, noi cerchiamo sempre di tirarci su e ti tirare su anche chi ci ascolta.
CP: I vostri brani hanno sempre un mood decisamente sarcastico, provocatorio, quanto c’è di autobiografico in ciò che dite? E quanto è difficile mantenere un confine tra la vita privata e la dimensione pubblica che inevitabilmente assumono le canzoni?
AS: Direi che una linea di demarcazione non c’è proprio, non mettiamo confini. Tutti i nostri testi sono al 100% autobiografici, magari bariamo un po’ (ride, ndr) quando romanziamo alcuni passaggi per rendere il tutto un po’ più poetico, diciamo. In generale le storie che raccontiamo, riguardano cose che abbiamo vissuto realmente, così come le persone di cui parliamo fanno parte della nostra quotidianità. La cosa divertente è che nella maggior parte dei casi o non se ne accorgono o neanche lo sanno. Però chi ci conosce deve assumersi il rischio potenziale di finire ad essere protagonista di una nostra canzone!
CP: La vostra prospettiva è cambiata dopo il successo di ascolti sulle piattaforme di streaming?
AS: È cambiato soprattutto il nostro rapporto quotidiano rispetto al modo di fare musica. Quando tantissime persone ti conoscono e si interessano a te, c’è anche la voglia di ripagare questo interesse proponendo contenuti di qualità. Questo ci ha portato ad approcciarci alla musica in modo sicuramente più professionale, passando dall’essere un gruppo che si raccontava per puro divertimento, ad essere una band con pretese un po’ più alte. Tutto ciò ovviamente senza snaturarci o perdere di vista la nostra spontaneità. Il nostro obiettivo primario è quello di divertirci facendo musica.
CP: Quali sono i vostri riferimenti a livello culturale?
AS: La particolarità del nostro gruppo è che ognuno di noi ha il suo bagaglio musicale. Io, ad esempio, sono fan del punk rock e sono cresciuto ascoltando artisti come Eminem, 50 Cent o anche i Blink 182. Poi c’è Lorenzo che ha suonato in gruppi reggae e Andrea che tra i tre è quello che ha un’impronta più indie. La chiave sta nel cercare di trovare dei punti in comune, perché tutte queste influenze ci aiutano a crescere e a trovare la giusta ispirazione anche per creare la nostra musica.
CP: Cosa significa per voi essere «indie»?
AS: La concezione di indie è un po’ cambiata in Italia negli ultimi anni, nel senso che ad esempio Spotify ci colloca nel «nuovo pop italiano». Una volta i gruppi indie erano le band che provavano nei garage e si producevano da sole mentre oggi l’indie finisce per contaminare il pop e viceversa. Per quanto ci riguarda noi dell’indie abbiamo ripreso la voglia di raccontare la vita di tutti i giorni. Il successo di questo genere dipende proprio da questo: si parte da un’idea non studiata a tavolino o preconfezionata e non ci sono filtri nelle canzoni. Le persone dopo tutto quello che è successo in questi anni non vogliono più bugie e noi cerchiamo di rispondere a questa esigenza, raccontandoci per ciò che siamo veramente, con il nostro stile.
CP: Dobbiamo aspettarci un album dopo questo tour?
AS: Quello che ti possiamo dire è che sicuramente alla fine di questo tour ci sarà un album che rappresenta un po’ la summa del percorso che stiamo intraprendendo. Nei prossimi mesi usciranno tante cose nuove, tanti pezzi devono essere ancora presentati e l’album conterrà tutti i singoli più qualche chicca che sveleremo più avanti.
CP: Nel panorama odierno c’è qualche artista col quale vorreste collaborare?
AS: Ce ne sono parecchi, alcuni ci sembrano ancora lontani, inarrivabili. Sicuramente un’artista che seguiamo e che ci piace molto che è anche nostra concittadina è Angelica dei Chiamamifaro, non possiamo poi non nominarti i Pinguini Tattici Nucleari così come Coez che ci ha messi insieme a sua insaputa.
CP: Beh, provate a citarlo in una canzone, non si sa mai!