Probabilmente il pubblico generalista confonderà la seconda sortita sanremese di Amadeus (sempre con il compare Fiorello) come uno spin-off della sua fortunata trasmissione “I soliti ignoti”. Scherzi a parte, sono tanti i nomi “sconosciuti” in gara quest’anno, alcuni poco avvezzi alle radio ma sicuramente in grado di farsi valere sulle piattaforme digitali con milioni di ascolti. Il trend di Sanremo 2021 – per la prima volta senza pubblico causa pandemia: ma questo ormai siete stanchi di saperlo – sembra proprio questo: seguire i nomi che vanno per la maggiore, favorire un pubblico più giovane (una manovra di spostamento verso il basso già iniziata qualche anno fa) e raccontare questo cast di ben 26 artisti come La musica italiana del presente.
Ma tutto questo corrisponderà a un buon livello di qualità? A Luca Barachetti e Luca Roncoroni il compito di stendere le pagelle della prima serata.
Giovani
Gaudiano - Polvere da sparo
Venuto in pigiama, forse per risparmiare (in caso di eliminazione), porta questa ballata folk accelerata per avere qualche speranza in radio. Un po’ Ricky Martin (anche nella mimica), un po’ Sangiorgi. Canta come si deve e in fondo non se la cava poi tanto male. Forse più di tutto però rimarrà l’azzurrino dello pseudo pigiama. Promosso nell’eliminazione diretta. Voto 6 (LB)
Elena Faggi - Che ne so
Un disco intero di questa ragazzina tutta falsetti e moine magari anche no. Però il pezzo è gradevole: quel tanto che basta di beat e una melodia più minimale di Billie Eilish. Forse Chun-Li di Street Fighter avrebbe cantato così. Ingiustamente eliminata (Vessicchio manda in tripudio anche la platea che non c’è). Voto 6 (LB)
Avincola - Goal!
Simone Avincola, al terzo disco, prova la strada sanremese. Dicono che della nuova scena romana (ma quante nuove scene romane sono nate negli ultimi 30 anni?) sia uno dei migliori. Bello il beat e la voce, un po’ meno la metafora calcistica - dove De Gregori e Pezzali si sono portati via tutto il bottino. Semplificarsi cercando di essere pop a tutti i costi non è forse la strada giusta. Certamente alla fine è la dura legge del gol: se non hai difesa gli altri segnano, e poi ti eliminano. Voto 5 (LB)
Folcast - Scopriti
Già nella band di Silvestri, ci prova con una ballad midtempo, dal testo a dir poco scontato. “Fuori non piove / non fa neanche freddo / e batte forte il sole”. In pratica una canzone d’amore sul riscaldamento globale, che potrebbe esser la strategia giusta per convincere i negazionisti, che notoriamente di musica capiscono poco o niente. Promosso, cioè quando avere una buona fanbase aiuta. Voto 5 (LB)
Big
Arisa - Potevi fare di più
Arrivata alla settima partecipazione, dopo averne vinti due e presentato uno, Arisa, Sanremo dopo Sanremo, è cresciuta molto. Non tanto nell’interpretazione vocale (me la ricordo qualche anno fa in un’ottima apertura a Battiato “aggrappata” al microfono) quanto nella capacità di fare sua una discreta canzone di Gigi D’Alessio in dolente crescendo. Trasformandola, con grande padronanza di palco, in un piccolo grande momento ad alta gradazione emotiva. E comunque, povero Gigi. Voto 7 (LB)
Arisa torna a due anni dall’inquietante isteria andante di “Mi Sento Bene” con un brano che più sanremese non si può. “Potevi Fare di Più” è una ballatona dimessa scritta da Gigi D’Alessio che canta senza troppi sussulti di un amore disilluso. Si procede da copione in un crescendo assecondato pedissequamente dall’arrangiamento minimale a base di piano e archi. Il brano non si apre mai del tutto, e sembra non esprimere appieno il potenziale della voce di Arisa. Freno a mano tirato. Voto 5 (LR)
Colapesce e Dimartino - Musica leggerissima
Reduci da un bel disco in cui hanno incrociato le rispettive scritture – in vero non così distanti, la coppia Urciullo-Dimartino porta all’Ariston una tipica canzone dotata di quella leggerezza pensante che ha caratterizzato certe cose di Battisti e Battiato (a voler essere precisi dei migliori e innominabili Audio 2 o di Max Gazzé). Sono due fra gli autori che già oggi rappresentano il futuro della nostra canzone d’autore. Purissimo pop sculettante e ovviamente leggerissimo. Voto 7 (LB)
I due paladini del cantautorato “indie” di qualità, dopo un ottimo album lo scorso anno (“Immortali”) tornano in tandem con un pezzo che è paraculo il giusto. Maestro Morricone a palate, tra chitarre acustiche e fischiettii vari: il tutto sfocia poi in una drittissima cassa house e un basso funk, un po’ Alan Sorrenti e un po’ Umberto Tozzi. Molto appiccicoso il ritornello. Incorreggibili furbetti. Voto 6.5 (LR)
Aiello - Ora
Funzionerà in radio e sulle piattaforme, ma l’ibuprofene che ricorre nel testo è inquietante ed è difficile tenere questa parola in una canzone d’amore disperato com’è “Ora”. Ne avrà pur preso di ibuprofene il nostro Aiello, ma quando va su per raggiungere quel pathos che la canzone richiederebbe risulta svociato, incerto e alla fine urlante. Sarà l’emozione, saranno i numeri fatti sulle piattaforme, tuttavia se proprio 26 dovevano essercene in gara, possibile che non ci fosse nulla di meglio? Voto 5 (LB)
Talmente male che sembra quasi avanguardia: Aiello è costantemente in sovrainterpretazione, sia mimica che vocale. Il pezzo è semplicemente disastroso, inutilmente distorto: sembra di sentire una cover-band dei Negramaro ubriaca. Ca(n)tastrofe. Voto 2 (LR)
Francesca Michielin e Fedez - Chiamami per nome
Con uno stuolo di autori di pregio come Mahmood (vincitore due anni fa), Dargen D’Amico (forse il miglior rapper che abbiamo in Italia, nonché “scopritore” di Fedez) e Alessandro Raina (Amor Fou, già autore per Emma e Malika Ayane) ci si aspettava qualcosa di più. Lei è molto convinta e intensa, lui un po’ troppo ingessato. Ma il pezzo c’è e forse nelle prossime serate riuscirà ad emergere. Questioni di feeling avrebbe detto quel tale. Voto 6 (LB)
La collaudata coppia presente un onesto pezzo da mainstream radiofonico: il ritornello è probabilmente stato scritto da Mahmood per Mahmood, e si sente, mentre Dargen D’Amico, a sua volta accreditato tra gli autori, risulta non pervenuto (almeno a orecchio). L’idea di base è il sempiterno modello cantante donna-rapper, ma quello che abbiamo qui è più che altro una sorta di Eminem e Dido da discount. In caso di dubbi, affossa definitivamente il tutto l’irricevibile rima di Fedez “mare-colmare”. Era meglio “Magnifico”, Voto 5 (LR)
Max Gazzé - Il farmacista
Chissà cos’è accaduto al cantautore romano, che in pochi anni è passato da piccole perle come “Una musica può fare”, “Il timido urbriaco” e “Il solito sesso” a brani sempre un po’ uguali. Curatissimi nei testi, certo, ma anche prevedibili come non ci si aspetterebbe da un musicista sopraffino come lui. Così accade ne “Il farmacista”, sarcastica e un filo sanguinetiana, ma in fondo pure un poco spuntata. Voto 5 (LB)
Campionamento di “Frankenstein Junior” in apertura che è anche un po’ auto-citazione (“Una Musica Può Fare”), solita ritmica da pezzo di Gazzé, arrangiamento vagamento new wave e approccio dada un po’ da Elio: il ritornello è brutto forte, e impedisce il decollo definitivo a un pezzo probabilmente rovinato dall’arrangiamento un po’ caotico dell’orchestra. Apprezzabile il travestimento leonardesco. Sornione. Voto 6 (LR)
Noemi - Glicine
Di certe artiste non si sa proprio cosa scrivere. Prendete Noemi: tanto si è parlato sui media della sua metamorfosi (sarà anche il titolo del nuovo disco), ma la metamorfosi qual è? Una canzone innocua che ancora una volta non riesce a valorizzare la sua bella voce soul-blues - che da un po’ di tempo non trova la canzone giusta (eppure è successo con Curreri, Vasco). Questa sembra un brano (bruttino) dell’ultima Mannoia più pop e, se non la salveranno le radio, ce ne dimenticheremo presto. Peccato perché lei è simpatica, la materia grezza c’è e sarebbe ora di spiccare il volo. Voto 5 (LB)
Ballatona classica senza sussulti, tagliata su misura per Sanremo: irrinunciabile accoppiata piano e archi che segue un crescendo da manuale, salvo poi riadagiarsi sul finale. Su tutto si staglia ovviamente la voce ruvida di Noemi, che porta a casa il compitino senza strafare. Impiegatizia. Voto 5.5 (LR)
Madame - Voce
“Anna” e “Sciccherie” sono stati due tracce che hanno spopolato sulle piattaforme digitali nei mesi scorsi. Forte di questi trascorsi, Madam, solo 19 anni, arriva a Sanremo con un brano che si avvale dell’efficace base di Dardust e di un testo perfetto per una ragazza della sua età. Non è hip-hop, non è pop, non è trap: è un impasto di questi tre generi con un’interpretazione al minimo sindacale. Ma del resto l’età è quella che è e la ragazza non è un fenomeno, ma crescerà. Piacerà ai suoi coetanei o a chi ha solamente quale anno in più. Voto 6 (LB)
Pezzo più che valido nell’ossatura, che asseconda la sillabazione erratica di Madame. Peccato per un filo di autotune che ruba un po’ di perfezione al risultato finale, e forse un po’ troppa roba infilata a forza (era proprio necessaria la rappata conclusiva?), finendo con il risultare un po’ troppo “rimpinzato”. Comunque tra le cose migliori viste in gara. Largo ai giovani. Voto 7 (LR)
Maneskin - Zitti e buoni
I Maneskin fanno esattamente ciò che un gruppo di ventenni innamorato del rock dovrebbero fare. In mezzo a decine e decine di proposte dove sono il beat e l’elettronica a dominare, una chitarra elettrica sul palco e un approccio che prende a larghe mani dalla retorica del (glam) rock è inevitabile che emerga. Peccato che la canzone – quando è vecchio urlare “Sono fuori di testa”? – non sia niente di che. Il rock è una brutta bestia, tra un Lou Reed e un Alice In Chains (o mettete voi i nomi che volete), ci vuole un attimo a risultare poco credibili. Anche a vent’anni. Voto 5 (LB)
La freschezza non è proprio il loro forte. Un po’ Rage Against the Machine e un po’ Lenny Kravitz prima maniera: comunque vada roba vecchia di trent’anni. Diciamo che sono un po’ i Greta Van Fleet italiani; insomma, giovani che fanno musica molto più vecchia di loro. Può anche andare bene così, perché il pezzo funziona ed è sicuramente il loro migliore da “Morirò da Re”. I ragazzi sanno suonare e Damiano è un frontman credibile, e anche la parentesi rappata funziona. Anziani con brio. Voto 7.5 (LR)
Ghemon - Momento perfetto
Sa scrivere, cantare, muoversi. E se ne frega di essere a Sanremo, prendere una stecca in una manciata di passaggi decisamente freak e cantare una canzone soul-pop che ha dei riferimenti ben precisi anche nel nostro Paese (Neffa post hip-hop?). È strana la canzone di Ghemon di quest’anno ma è convincente. E chi la canta sempre decisamente in forma e a suo agio. Forse oggi è uno dei nostri migliori songwriters. Voto 7 (LB)
Il pezzo potrebbe essere uscito dalle b-sides di “OrchiDEE”, e non è una cosa buona. Serpeggiano un’allegria autoindotta e una forzosa voglia di urlare che straborda dalle righe. L’interpretazione non è lucidissima, e anche il pezzo in sé non risulta granché interessante. Per dire: Neffa fa le stesse cose da vent’anni, e pure lui ha finito con lo stufare. Belli capelli. Voto 4 (LR)
Coma_Cose - Fiamme negli occhi
“Wow! I Coma_Cose a Sanremo!”. Ho pensato così quando ho letto della loro presenza al Festival. Insieme a La Rappresentante di Lista il duo milanese-bresciano mi sembrava la maggior ventata di novità della kermesse. “Fiamme negli occhi” è una canzone debole con un verso bellissimo (“galleggio in una vasca piena di risentimento / e tu sei il tostapane che ci cade dentro”) ma in generale quelli sul palco dell’Ariston non sono sembrati i migliori Coma_Cose. Voto 6 (LB)
Pezzo piattissimo e cantato come se fossimo allo Zecchino d’oro, mai interessante. Per lo meno ci siamo evitati le solite strizzatine d’occhio a Battisti e gli ormai stanchissimi giochi di parole. Però ci sono cose come “L’estate è un inverno che non ti ha conosciuto”. Più che fiamme negli occhi, una tisana sgonfiante al finocchio e garofano. Comatosi. Voto 3 (LR)
Annalisa - Dieci
Pianoforte + beat elettronico è una formula che abbiamo sentito parecchie volte stasera. Ed è forse questa la strada che il pop ha intrapreso negli ultimi anni. Conta poco che fra gli autori ci sia ancora una volta Dargen D’Amico: “Dieci” non è una brutta canzone, unisce una vocalità potente al testo che si appoggia bene sul beat. Questo connubio negli ultimi tempi ha premiato Annalisa (basta vedere i numeri dei suoi ultimi brani). Forse però ci vorrebbe un po’ più di coraggio. Per staccarsi definitivamente dall’ombra lunga di Amici e dall’immagine di cantate sanremese (per lei è il quinto Festival). Voto 6 (LB)
Annalisa ha solo due marce: il pezzo brioso, spesso con qualche spezia caraibica a guarnire (“Direzione la Vita” l’esempio supremo in questo senso) e la ballata sentimentalmente impegnata. Con questa “Dieci” cadiamo in pieno nel secondo caso: purtroppo la canzone sembra creata dall’Intelligenza Artificiale di un Generatore Automatico di pezzi di Annalisa, indistinguibile da altri mille già sentiti. Usa (se proprio vuoi) & getta. Voto 4 (LR)
Francesco Renga - Quando trovo te
Una canzone un po’ caotica che sembra un collage senza armonia. Una parte parlata e un ritornello che vuole mettere in evidenza le doti vocali del cantante bresciano. Ma sono lontani i tempi di “Angelo” e in mezzo al rinnovamento sanremese, nonostante il tentativo di svecchiarsi con sequenze elettroniche e parti quasi recitate, lui sembra inesorabilmente vecchio. Voto 5 (LB)
Un disastro annunciato che se non altro certifica l’ammirevole costanza di Renga, più bollito che mai, nel fare male sempre. Difficile ricordare un’esibizione più scomposta e slabbrata di questa in tempi recenti: al di là delle steccate al limite del clamoroso - a loro volta da sempre tra i tratti caratteristici dell’attività live del Nostro - e delle parentesi vagamente orientaleggianti assolutamente no-sense, il brano si segnala per essere anzitutto molto fastidioso. Torna a casa lesso. Voto 0 (LR)
Fasma - Parlami
Presentato come brano rock, in realtà “Parlami” continua il discorso che Fasma ha portato avanti negli ultimi tempi. Rock, rap e hip hop. Ma per lui vale lo stesso discorso di Aiello: c’è un gap di esperienza che sul palco difficile dell’Ariston si fa sentire. Parlami, ripete più volte, ma forse prima bisognerebbe pensare a cosa dire. Voto 5 (LB)
Autotune a quintalate e un’invadente chitarra elettrica che raddoppia pleonasticamente le stesse note della voce: l’arrangiamento non è dei più felici per questa power-ballad di matrice trap ma anima rockista. Concitato ritornello che resta in testa e drumming possente tutto cuore e muscoli, per un brano che in sé non è nulla di malvagio ma risulta in definitiva piuttosto inutile. Ma di un’inutilità buona e che si fa volere bene, teneramente. Cucciolo. Voto 5.5 (LR)