Paolo Benvegnù e Marco Parente saranno i protagonisti dell’Eppen Secret Concert, domenica 20 ottobre in un luogo segreto di Bergamo, una delle date del loro giro di concerti “Lettere al mondo”.
Abbiamo mandato a entrambi le stesse domande, curiosi di sapere che cosa avrebbero risposto. Tanti i temi, da questi live a due fino allo scrivere canzoni oggi, passando per l’essere cantautori dentro e fuori l’era digitale.
Le risposte che ci hanno dato sono dense, fulminee e frutto di un pensiero che non è mai accondiscendente ma è sempre animato da un (inquietante) movimento istintivo, intellettuale, in una parola – abusata, eppure mai vera come qui – artistico.
Alla fine rileggendo quanto ci hanno scritto l’impressione è che questa intervista via mail sia un ottimo biglietto da visita per scoprire, se ancora non li conoscete, Paolo e Marco. Mentre chi già li ascolta (e ama) sa benissimo quanto da queste parti la banalità e la rassicurazione siano abolite e conti solo l’intensa coincidenza fra scrivere e vivere.
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Perché avete deciso di fare questo tour insieme?
PB - Marco ha avuto questa idea. Che io non osavo sfiorare. Così delicato è tutto. Poi è stato tutto meravigliosamente complicato e pulsante. Come un atto di Vita. Lotta di Retroguardia dell’Avanguardia. Racconto di mondi perduti. Di nuovi classici.
MP - Non c’è un motivo preciso, il tempo passa e ogni tanto la storia si rincontra, mai uguale ma molto vicina alla prima volta. Ho incontrato Paolo inconsapevolmente nel lontano 1997, in occasione dell’ormai defunto festival di Recanati. Poi, consapevolmente, andandolo a trovare e conoscere in una bella casa sulle colline del Lago di Garda dove aveva appena finito di registrare ‘Armtrong’ con gli Scisma. Lì fu tutto abbastanza chiaro, mentre intorno l’ambiente si disperdeva negli ego personali, io e Paolo gettavamo le basi per le nostre utopie future, e se ci penso bene anche in questi giorni, durante i viaggi di andata e ritorno dalle date che stiamo facendo insieme, i dialoghi coincidono perfettamente, proprio come allora. In questi anni l’ambiente e le circostanze personali hanno provato a metterci in contrapposizione…evidentemente, non ci sono riusciti.
E come mai lo avete chiamato “Lettere al mondo”?
PB - Nel brano di Marco “Il Diavolaccio” è presente questo verso: “e invece stanco sono io di scrivere lettere al mondo”. Ecco. Se tutti i membri di questa arcaica società di figuranti antropomorfi capisse che ogni gesto, anche inconscio, è esattamente Scrivere una lettera al mondo, allora tutto sarebbe più giusto. Senza letteratura di sé, con Meraviglia nella restituzione, nella risposta.
MP - Credo per una certa sintonia/suggestione del brano “Il Diavolaccio”. Così come Bartleby lo scrivano sembra lavorasse all’ufficio delle “lettere morte” noi quelle lettere continuiamo a scriverle per tenerle in vita. E questo oggi un po’ mi consola.
Ma questi concerti li avete definiti anche “assalti”. Perché?
PB - Perché non si assalta solo per il pane o per l’iphone. Si assalta anche per il Senso Perduto. Per i Sensi Perduti. Esistono ancora. Nell’Ombra, nel misconosciuto.
MP - Agguati più che assalti direi! Perché non sono premeditati, ma improvvisi, fino all’istante prima di esserci. Dunque il primo agguato è quello che facciamo a noi stessi, concedendosi il lusso dell’abbandono momentaneo. PS: comunque l’idea di “agguati a colpi di grazie” è Luca Barachetti
Cosa significa oggi scrivere una canzone? E perché le scrivete?
PB - Significa nell’egida del rapporto tra Reale e Desiderio. Si scrive per armonizzare le due parti. Guardando alla Felicità.
MP - Non significa niente, almeno fino a quell’attimo in cui spunta fuori dalle mani e dalla bocca. A quel punto sei solo un medium per trasmetterle e non ti chiedi mai perché lo fai.
Entrambi andate parecchio oltre l’idea del cantautore triste, molto letterario e molto concentrato sul testo a sfavore della musica, che – fatte le debite eccezioni – può essere una buona descrizione di cantautore italiano. Quale la vostra visione di songwriting?
PB - Divinazione. Senso del Sacro. Gioco Serissimo. Espressione. Mai imbonimento.
MP - Per quel che mi riguarda, sempre più distante dalla parola e sempre più vicino al suono, inteso come significante multiplo dell’intonazione. Oggi sento tante canzoni scritte bene, a volte anche belle, ma nessuna mi da la scossa. Naturalmente questa è un’opinione del tutto personale e non pretendo più che venga condivisa.
Come considerate il songwriting attuale? Mi riferisco al trionfo dell’it-pop, probabilmente sollecitato dalla rivoluzione digitale del fruire la musica.
PB - Non lo considero. Mi fanno tenerezza ed insieme violenza uomini e donne nuove che hanno lo stesso desiderio di conquista dei loro nonni, dei loro padri. Come se non bastasse la lezione di questi ultimi. Venditori, Scribacchini, Avvelenatori del Mondo.
MP - È buffo osservare (inermi) quanto la tecnologia avanzi e la musica arretri. È proprio come la politica che s’illude di affrontare i problemi semplificandoli. Lo sviluppo tecnologico non è il progresso, anzi forse ne è la distanza… perlomeno nella musica.
In questo contesto che ruolo, posizione e visione avete?
PB - Nessun contesto, nessuna esistenza, nessun ruolo, nessuna posizione. Per questo abbiamo Visione.
MP - Nessuna, ci siamo dentro fino al collo, come tutti. Proprio come quando Carmelo Bene diceva di considerarsi nel “porno”… mica per questo era un attore porno
Entrambi siete accomunati da una straordinaria intensità sul palco, seppur diversa, io credo. Paolo è potente, animalesco, ironico. Marco è performativo nel senso più alto del termine, cristallino, denso. In voi c’è sempre un qualcosa che va oltre il mero eseguire la canzone, che cosa è?
PB - Non si FA una performance. Si è. O non si è. Viventi. Noi così risolviamo problemi.
MP - Ma in realtà la cosa che mi gratifica di più uscendo da un concerto è avere la coscienza a posto sull’esecuzione, il dubbio contrario non mi farebbe dormire la notte. Credo che ciò che tu definisci “eccedere le canzoni” abbia a che fare con il puro istinto, cosa assai diversa dall’istinto puro, ma il puro istinto lo puoi applicare a qualsiasi azione della vita, anche quella più banale, come cucinare per esempio. Personalmente sono azioni che faccio senza pensarci troppo.
Siete considerati dalla critica e dal pubblico come songwriters di grande qualità. Pensate di avere ottenuto fino ad oggi l’esatto riscontro di pubblico?
PB - Il Pubblico non esiste se non negli occhi. Gli occhi Tradenti, perché già essi stessi definiscono il limite. Esiste il Privato. La Privazione. L’Assoluzione, La Soluzione. Io ho sempre avuto il mio. Nascondimento per esseri nascosti. La critica musicale non esiste. La grande qualità non esiste. Esiste la meravigliosa appartenenza, la fantastica adesione, all’inganno.
MP - Sì, credo di sì. Di sicuro l’esatta conseguenza delle proprie scelte
Infine volete dare un consiglio a chi suona e anche uno a chi ascolta?
PB - Industriatevi al Sentire Ulteriore. Diffidate di voi stessi se siete adorati. Non Adorate nessuno. Alimentate la felicità. Sterzate dalla linea di conforto. Aiutate i miseri.
MP - Sì, a chi ascolta di ascoltare! A chi suona di suonare!