Fanno hip hop ma (per ora) senza rap, gli OTU: beat strumentali a cavallo tra downtempo, ambient, sampledelica e suggestioni cinematografiche, dove alla centralità di batteria e chitarre si affianca l’amore per il campionamento e la black music.
È uscito a luglio di quest’anno il loro nuovo ep “Q.TER_Vol.1”, 5 brevi pezzi che rappresentano l’assaggio saporito di un mondo tutto da approfondire, seguiti da qualche recente live: la settimana scorsa, allo Spazio Polaresco; sabato 18 settembre per Lab 80 allo Schermo Bianco di Daste e Spalenga con la sonorizzazione del film muto del 1920 “Pagine del Libro di Satana”, del regista danese Carl Theodor Dreyer.Un’ottima occasione per saggiare con mano (e occhio e orecchio) le potenzialità cinematiche della loro proposta. Noi intanto abbiamo chiacchierato un po’ con Francesco, la mente – e la batteria – dietro al progetto.
LR Come e perché nasce il progetto OTU?
FC Io arrivavo da esperienze musicali “altre”, e così Isaia. Volevo lavorare a qualcosa di nuovo e di fresco che comprendesse anche la musica elettronica. Da batterista la mia formazione è stata sulla musica strumentale, ma anche nelle mie esperienze precedenti ci sono sempre stati richiami all’hip hop, al campionamento, ecc. Così ho cercato di imparare a padroneggiare sempre meglio quelli che sono gli strumenti della musica elettronica, quindi la programmazione al computer, Ableton, ecc., e pian piano (sempre da solo) ho iniziato a partorire delle idee. Questo succedeva nel 2016/17.
LR E Isaia e Gregorio (Conti, fonico e bassista, ndr) quando entrano in gioco?
FC A quel tempo io ero già molto fan della band di Isaia all’epoca, i Verbal, oltre a suonare già con Gregorio, il suo bassista. Quindi ero già in contatto con loro. Così sono andato a proporre a Isaia questa idea, e lui mi ha risposto subito con tanto entusiasmo e dell’altro materiale. In quel momento è stato come se mi avesse aggiunto dei “tasselli mancanti”, e la cosa ha fatto “clic”. Abbiamo iniziato a lavorare insieme al progetto, nel senso che solitamente le idee le gestisco io e lui ci cuce sopra delle cose, mi dà del materiale a cui non penserei mai da solo. Aumenta la tavolozza dei miei colori insomma.
LR Questa cosa succede solo con lui?
FC In realtà la cosa si è progressivamente aperta ad altre persone: nel caso dell’ep che è uscito qualche mese fa ad esempio c’è stata l’interazione di Marco Brena, il batterista dei Vanarin e abbiamo lavorato in tre sui pezzi. Io faccio sempre un po’ da sarto e regista di tutta la faccenda. Nel caso di questo ep però il sound è diverso proprio perché molte idee sono passate da Marco. Isaia invece arriva in seconda battuta: succede che magari io stia lavorando a un pezzo da un paio di settimane, lui arrivi e in un giorno ci riesca a mettere il suo quid sempre fresco e a risolverlo.
LR Avete altre uscite in faretra oltre a questo ep?
FC Assolutamente sì, già questo è il volume 1 di 2. Il secondo arriverà nei prossimi mesi, non sappiamo ancora bene quando ma è pronto, il materiale c’è già. Poi ci sono altre diverse pubblicazioni già in cantiere, che riguardano altre persone ancora. Quello che era nato come un progetto singolo e portato in live da due persone, adesso sta diventando quasi un collettivo. Ora come ora quindi il progetto OTU si basa su interazioni tra persone diverse, “guidate” da me seguendo la passione della black music.
LR A proposito di black music, hai parlato di “sample”: tu i pezzi li scrivi/componi partendo da un campionamento che ti colpisce oppure li hai già intesta e vai a cercare il sample che ti serve? Come nascono le tracce?
FC I sample ci sono quasi al 99% dei casi, e molto spesso parto da lì, dal campionare qualcosa. A volte anche me stesso. Succede spesso che abbia però chiara in testa una gerarchia, un portamento. Tagliare un sample e decidere come flipparlo e trasformarlo ti porta subito al fatto che devi fare delle scelte, anche solo da un punto di vista ritmico: lì entra in gioco la batteria. Insomma spesso parto dal sample, ma non è quello il punto: il fulcro è il sound, l’impatto che voglio realizzare. Lavorare con i sample è un po’ come andare a funghi: inizi, ma non sai bene cosa trovi. Quindi c’è una parte di consapevolezza, perché lavorare con i campionamenti richiede comunque tutta una serie di tecniche e conoscenze, ma anche una parte in cui non sai esattamente cosa succederà. Non è come mettere in fila delle note se le conosci molto bene.
LR Se dovessi citare qualche produttore a cui ti ispiri o che ti ha influenzato particolarmente?
FC Senz’altro Madlib: lui è assolutamente il mio riferimento da un po’ di anni a questa parte, in relazione all’hip hop e al sampling, continuo a studiarlo e ad approfondirlo. Se invece penso a quella che è la parte un pochino più sperimentale e psichedelica ti dico Ivy Lab. È un duo di produzione inglese incredibile che fa downtempo, con tutta una parte di lavoro sui suoni molto sperimentale e con un gusto devastante, con tanti momenti di drone-music e ambient. Hanno un suono che ogni tanto si frammenta, ogni tanto si solidifica e va a creare dei pattern riconoscibili che ti fanno “scapocciare” e poi ritorna in un magma sonoro. Quando il progetto OTU è nato le cose che mi interessavano, anche se probabilmente non li si ritrova granché nel suono di adesso, erano James Blake e i Death Grips. Che sono apparentemente agli antipodi ma mi hanno fatto entrambi dire: “ok, suono la batteria ma ho bisogno anche di altro”.
LR Beh ma in effetti lo stesso Blake soprattutto ultimamente è andato parecchio a snasare in cose hip hop/trap…
FC Assolutamente, infatti tipo il pezzo di quest’estate con Slowthai non so quante volte l’ho ascoltato. Ma alla fine tutto il suo cantato viene dal soul, quindi la parte black c’è da sempre. Ma ti dico, un altro nome fondamentale per me è stato Knxwledge. Quando l’ho scoperto ho avuto la netta sensazione che fosse il figlio illegittimo di J Dilla, con quella precisa logica produttiva lì, ma sviluppata ulteriormente. Poi vabbè, c’è di mezzo anche Flying Lotus che ha contribuito a quella cosa lì in modo non scontato.
LR Hai mai pensato di lavorare con dei rapper per arrivare a un hip hop che possa essere non solo strumentale ma anche comprendente la parte rap?
FC Hai voglia. Certo, nella mia testa ci sono in ballo tutti questi dischi di cui sono super felice e che usciranno nel corso dell’anno. Ma nel futuro non proprio prossimo credo che il completamento del progetto possa andare in due direzioni, senza che una escluda necessariamente l’altra. La prima sono le immagini: ci è già capitato di andare in giro a suonare curando anche la parte visiva, ma non abbiamo mai costruito il live su quello. L’altra invece è proprio quella di avere una voce o una serie di collaborazioni. È una cosa che finora non è avvenuta semplicemente per caso: non mi sono mai trovato qualcuno davanti che avesse dei contenuti o uno stile con cui mi sarebbe piaciuto lavorare.
LR Se potessi scegliere la tua collaborazione dei sogni?
FC Una delle cose italiane (almeno a metà) che mi hanno colpito di più nell’ultimo periodo è stata Pufuleti (che doveva venire a Ink Club ma poi è saltato, ndr). A parte il sound psichedelico di Wun Two che è davvero pazzesco, lui cambia un po’ i temi, è quasi metafisica. Mi incuriosisce moltissimo. Se dovessi andare a prendere un rapper più dalla vecchia scuola, mi piacerebbe ipoteticamente fare qualcosa con Noyz Narcos. Tra quelli attivi che hanno mantenuto e portato quell’andamento anni ’90 un po’ hardcore, il suo sviluppo mi piace: perché ha mantenuto forte quella parte lì, però l’ha svecchiata sia nei contenuti che nell’immaginario che nelle produzioni. Premettendo comunque che io non ascolto molto hip hop italiano, e quando lo faccio la maggior parte delle volte lo faccio per capire cosa sta succedendo e restare aggiornato. Se mi chiedi invece la collaborazione dei sogni, ti dico MF Doom.
LR Secondo te quanto influisce nell’esposizione e nella risonanza del tuo progetto il fatto che sia nato a Bergamo? L’aura da “provincialotti” che abbiamo sempre e comunque addosso, per mille motivi diversi, l’hai mai percepita oppure nel 2021 questa cosa qui non esiste più?
FC I social possono anche moltiplicarsi all’infinito, l’importante resta essere in un posto. La qualità di quello che fai non può sempre fare la differenza, soprattutto rapportata al fatto che tu in quel momento sei dove sei. Essere a Milano fa molta differenza. Il fatto che tu sia a Milano una volta al mese anziché tutte le sere ti porta a dover far succedere le cose tutte in quella sera. Perché si tratta di comunicazione con le persone. Che sia il gestore di un locale, o un’etichetta, o persone più avanti di te nel percorso con cui vorresti collaborare, devi essere lì e riuscire a far passare il concetto. Quindi di sicuro il fatto che siamo a Bergamo mi influenza. Il mio obiettivo/sogno è quello di far sì che sia la musica a spostarmi: ad esempio, io il sud Italia l’ho visto per la prima volta grazie agli OTU. Non ci ero mai stato e siamo andati lì a suonare. Può sembrare una sciocchezza ma per me è stata importante. Quindi vorrei restare qui ma riuscire a muovermi, ecco.