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#notedicasa: il mondo musicale della tradizione popolare bergamasca

Articolo. Campane, sifoi , flauti in legno e baghét. Un viaggio in cinque ascolti attraverso il territorio bergamasco, alla riscoperta di testimonianze che hanno segnato la storia di alcune realtà, divenendo talvolta simboli delle comunità stesse

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I Sifoi di Bottanuco, foto storica del 1998

Nelle serate natalizie, quando il freddo e la nebbia iniziano a calare sui tetti, da lontano, come dal nulla, emergono i primi suoni delle zampogne che intonano canti tradizionali e pastorali. Fanno così la comparsa, nelle piazze, uomini avvolti nel loro tabarro. Durante le feste patronali, invece, dall’alto dei campanili risuonano note di gioia: questo è il mondo della musica del nostro territorio, un mondo che ha radici importanti e una storia secolare. I protagonisti sono gli strumenti e le voci che parlano alle comunità, eseguiti e proposti dalle comunità stesse, espressione del vissuto di un popolo e testimonianza che vale la pena trasmettere al futuro.

Questo breve viaggio “sonoro” ci porterà alla scoperta di cinque tradizioni che si sono diffuse nella nostra provincia, abbracciando vecchie e nuove generazioni.

La tradizione campanaria in bergamasca

La nostra diocesi – insieme a quelle limitrofi di Lecco, Cremona, Milano e Brescia – conserva gioielli notevoli per quanto riguarda campane e campanili, diffusi in tutti i comuni.

La tradizione campanaria, inizialmente, era utilizzata quasi esclusivamente come mezzo di richiamo per le funzioni religiose e per gli eventi civili della vita pubblica; in seguito, le campane divennero strumenti musicali, probabilmente su influsso delle correnti mercantili e culturali provenienti da Francia, Belgio e Olanda, dove a partire dal 1500 si diffusero le prime campane “a carillon”. Lo sviluppo di un repertorio specifico, nella bergamasca, avvenne a cavallo tra il 1700 e il 1800, con campane sempre più variegate (quindi con la possibilità di fare più note diverse tra loro) e repertori diversificati a seconda delle aree geografiche. Centro importante di questa tradizione è Gandino, nella media Valle Seriana, dove sono testimoniate campane di ampie dimensioni fin dal 1788.

La tradizione ebbe un notevole sviluppo nell’Ottocento, per poi arrestarsi durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la quasi totalità delle campane fu requisita per la costruzione di armi e proiettili. Nella seconda metà del Novecento, anche grazie all’avvicinamento di molti giovani, l’interesse riprese con forza fino alla fondazione della Federazione Campanari Bergamaschi, che tutt’oggi si occupa di preservare questo importante patrimonio sonoro.

Nell’ascolto proposto, ecco un esempio della tradizione casnighese, un Valzerù suonato “a tastiera”, ovvero con i battenti collegati a martelletti percossi con le mani.

I Sifoi di Bottanuco

Nel piccolo comune di Bottanuco, nell’Isola Bergamasca, si tramanda ancora oggi una storia importante, divenuta simbolo della comunità: stiamo parlando del gruppo musicale I Sifoi , fondato con questo nome nel 1925 da Pietro Foglieni, anche se il gruppo era già attivo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
Ma che cosa sono i Sifoi ? È il termine bergamasco per definire il flauto di Pan, strumento dalla tradizione millenaria che si dice fosse nato dalla trasformazione della ninfa Siringa in canna di bambù per sfuggire alle attenzioni del dio Pan. Questo strumento ebbe un’ampia diffusione nel territorio bergamasco, in particolare a Bottanuco. La leggenda narra che un ex soldato garibaldino, giunto nel paese dell’Isola, portò lo strumento musicale che aveva conosciuto in America del Sud, per poi diffonderlo tra la popolazione.

Nel tempo, il gruppo dei Sifoi si è ampliato come organico, includendo – oltre ai flauti di Pan – anche percussioni di vario tipo, derivati direttamente dalle più comuni e diffuse bande. La storia dei Sifoi continua ancora oggi da cento anni e l’attuale direttore, Massimo Pozzi, è il testimone di un patrimonio musicale dalla forte identità.

Il baghèt , la cornamusa bergamasca

Lo strumento principe della tradizione musicale bergamasca è sicuramente il baghèt, la cosiddetta cornamusa bergamasca, strumento a fiato dalla storia secolare (lo troviamo raffigurato, ad esempio, in un affresco del 1347 della Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo e in uno della fine del XIV secolo nel castello di Bianzano).

Diffuso probabilmente nei secoli scorsi in tutta la provincia, è oggi sopravvissuto fino a noi grazie alle tradizioni della Valle Seriana e della Val Gandino. L’uso dello strumento era diffuso principalmente tra i contadini: come spiega lo studioso Valter Biella, infatti, «i suonatori si ritrovavano nelle stalle d’inverno per suonarlo». Il periodo di elezione di questo strumento era appunto il periodo del freddo e delle feste natalizie – abitudine rimasta ancora oggi – durante il quale venivano suonate le antiche “pastorelle”. «Passata l’Epifania, poco prima del carnevale, lo strumento veniva riposto, per essere ripreso agli inizi dell’inverno successivo» sottolinea Biella.

Ancora oggi, la tradizione del baghèt resta viva grazie all’impegno di molti studiosi (come Valter Biella) e anche grazie all’organizzazione di corsi didattici volti ad apprendere lo strumento. Trovate qui un breve ascolto di un brano popolare bergamasco – risalente al XVI / XVII secolo – eseguito al baghét.

Il sivlì , ovvero il flautino della Valle Imagna (h3)

Alcuni strumenti musicali si legano in modo importante al loro territorio: è questo il caso di un piccolo flauto a tre fori, chiamato sivlì, la cui origine è legata a una delle valli bergamasche, quella del torrente Imagna. Frutto dell’artigianato locale, questo strumento in passato era diffuso tra grandi e piccini: per i bambini rappresentava infatti un giocattolo divertente e accessibile e lo si poteva sempre trovare nei mercati e nelle bancarelle di paese; per i pastori, era invece uno strumento di compagnia durante il tempo passato nei campi.

La costruzione di questi strumenti era legata a delle famiglie specifiche. La più importante era quella degli Angiolini di Brumano: dal loro laboratorio infatti, già attivo nel 1800, uscivano flauti e trombette, strumenti che avrebbero riscosso un notevole successo fuori dai confini bergamaschi (giungendo anche a Londra, grazie al virtuoso cieco Giuseppe Picchi di Bobbio, che avrebbe consacrato la fama del flautino in legno all’estero). Un importante lavoro di riscoperta di questa tradizione musicale è stato condotto dal già citato Valter Biella in collaborazione con il Centro Studi Valle Imagna, ente attivo nella valorizzazione della storia e della cultura valligiana.

Ecco un breve ascolto di un brano popolare bergamasco, suonato al sivlì da Carlo Musitelli e accompagnato dal violino e dalla fisarmonica.

Il canto popolare bergamasco, anima conviviale per ogni occasione

Ancora di più che gli strumenti musicali, il canto rappresenta il vero spirito della comunità: ogni occasione conviviale è motivo di ritrovo per intonare melodie conosciute da tutti e divertirsi in compagnia. Il canto, oltre ad essere il simbolo della festa, era in passato anche legato al mondo lavorativo: pensiamo ai canti delle filande, molto diffusi nella Bassa bergamasca, che aiutavano le giovani (e giovanissime) operaie durante il lungo e ripetitivo lavoro manuale.

Alla fine dell’Ottocento iniziò una prima fase di ricerca e di catalogazione del repertorio popolare: in ambito bergamasco, furono fondamentali le ricerche condotte da Antonio Tiraboschi, che raccolse un notevole corpus di testi e melodie da tutta la provincia. Nel Novecento il panorama musicale si è arricchito, con molti gruppi e personalità che si sono occupati di diffondere questo repertorio: ricordiamo su tutti il fisarmonicista Tito Oprandi, ma anche il cantastorie Luciano Ravasio, cultore e studioso del mondo musicale bergamasco.

Concludiamo il nostro viaggio nel mondo popolare con un celebre canto, «Teresa di pom» ovvero «Teresa delle mele», eseguito da una compagnia folk contemporanea.

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