Fino a qualche tempo fa, nei nostri paesi, il momento comunitario più importante era rappresentato dalla Messa domenicale: tutta la popolazione era chiamata a partecipare. Non solo: le campane, che oggi scandiscono le ore tra l’indifferenza della gente, un tempo rappresentavano lo strumento principale per segnalare l’inizio e la fine delle giornate lavorative nei campi. In un certo senso, dunque, la musica “regolava” lo scorrere dei giorni. E oltre al rintocco delle campane c’era un altro strumento che rappresentava il simbolo di questa ritualità: l’organo, che con le sue note ha allietato generazioni di fedeli durante le funzioni, “elevando gli animi” verso il divino.
La storia della nostra provincia vanta una grandissima tradizione organaria, di costruzione cioè di questo strumento. Partendo dal 1400, con la dinastia degli Antegnati (provenienti da Brescia), la storia organaria ha visto nei secoli XVIII e XIX il suo più importante momento di splendore: in primis grazie alla famiglia dei Serassi che, con le sue pregiate opere, ha influito notevolmente nel formare uno stile musicale ottocentesco; poi, la generazione dei Bossi, che ha condotto la storia dell’organo fino all’inizio del secolo scorso, ma anche molte altre famiglie (Perolini, Piccinelli ad esempio) hanno dato vita a veri capolavori artistici nel nostro territorio.
Oltre ai preziosi strumenti di cui la bergamasca è ricca, moltissimi furono anche i nomi che seppero esprimere il loro talento attraverso l’anima dell’organo: d’altronde, questo strumento è stato (ed è tuttora) per tanti giovani musicisti il primo approccio al mondo della musica.
In questo articolo vorrei illustrarvi cinque nomi e cinque composizioni che, oltre a segnare la storia della musica e dell’organo, hanno tracciato un percorso. Un percorso di cura e di amore verso questo strumento che ancora oggi, grazie a molte realtà concertistiche e associazioni, viene tenuto vivo.
Giovanni Simone Mayr, «Sinfonia per organo»
Giovanni Simone Mayr, compositore bavarese di nascita (nato Johann Simon Mayr) ma pienamente bergamasco di adozione, giunge nella nostra città sul finire del 1700, diventando alcuni anni dopo Maestro di Cappella della Basilica di Santa Maria Maggiore. Un ruolo di prestigio: la cappella della Basilica bergamasca, infatti, restava un punto di riferimento a livello internazionale di bravure e competenze (molti, infatti, furono i nomi che attraversarono le navate della chiesa nei secoli, come Franchino Gaffurio, Giovanni Legrenzi, Maurizio Cazzati, Antonio Lotti e, dopo Mayr, Amilcare Ponchielli, Alessandro Nini e molti altri) e, in questo contesto liturgico, l’organo rappresentava lo strumento d’elezione nell’animare le funzioni.
Mayr, vicino agli ambienti musicali veneziani e viennesi, porta il suo stile musicale a Bergamo, rappresentato da un ibrido perfetto tra austera classicità tedesca ed estro teatrale tipico della Serenissima. Non dimentichiamo, inoltre, il fatto che Mayr fu il fondatore, nel 1806, delle «Lezioni Caritatevoli» a cui prese parte anche il giovanissimo Gaetano Donizetti. Nell’insegnamento riservò un posto speciale all’organo (non dimentichiamo il fatto che la prima composizione attualmente conosciuta del “genio di Borgo Canale” è una breve «Pastorale» destinata all’organo, composta nel 1813).
La composizione che propongo al vostro ascolto risente pienamente dello stile maturo e consapevole di Mayr, diviso tra l’anima teutonica e quella italiana. Un’eredità che saprà portare in auge, nel pieno Ottocento, uno dei suoi più illustri allievi, Padre Davide da Bergamo, del quale propongo l’ascolto successivo.
Padre Davide da Bergamo, «Versetto solenne con Armonia di Trombe alla Tirolese»
La figura per eccellenza dell’Ottocento organistico italiano è senza ombra di dubbio Padre Davide da Bergamo, al secolo Felice Moretti. Nato a Zanica nel 1791, si trasferì giovanissimo con la famiglia a Bergamo, dove iniziò a studiare con Antonio Gonzales e Giovanni Simone Mayr. Intraprese fin da subito una grande carriera concertistica all’organo, divenendo anche titolare di diverse parrocchie del bergamasco (Torre Boldone, Gandino). Rassegnò poi le dimissioni da quest’ultima realtà nel 1818, prendendo i voti minori ed entrando nel convento di S. Maria di Campagna a Piacenza, dove rimarrà fino alla morte, avvenuta nel 1863. Sempre attivo come collaudatore di organi in tutto il territorio lombardo, intessendo anche importanti rapporti con le famiglie organarie Bossi e Serassi, fu prolifico compositore (circa 1800 sono le composizioni di sua fattura), soprattutto di pagine organistiche.
Nello stile organistico di Padre Davide, risulta molto evidente l’influenza del melodramma, rappresentato da uno “stile teatrale” volto soprattutto a stupire l’ascoltatore, lasciando spesso letteralmente “a bocca aperta” i fedeli che avevano occasione di ascoltare le sue esibizioni durante le funzioni liturgiche. Oltre al melodramma, anche la musica popolare e gli echi di strumenti tradizionali sono presenti nelle composizioni di Padre Davide, come ad esempio in questo breve «Versetto», che rievoca le sonorità degli ottoni diffusi nel territorio tirolese.
Vincenzo Antonio Petrali, «Primo Versetto per il Gloria, in Re maggiore»
Come Padre Davide, anche il cremasco Vincenzo Antonio Petrali (anche lui, come Mayr, naturalizzato bergamasco) rappresenta un degno punto di riferimento nel panorama organistico italiano, tanto da essere definito al suo tempo il “principe degli organisti”. Nato nel 1830 da una famiglia di musicisti (il padre Giuliano era organista e maestro di cappella del Duomo, la madre era zia del grande contrabbassista Giovanni Bottesini), dopo gli studi a Milano si trasferisce nel 1853 a Bergamo, riscuotendo un buon successo con alcuni suoi titoli teatrali e collaudando diversi organi nella provincia, talvolta anche insieme a Padre Davide. Nella nostra città fu anche insegnante di pianoforte e organo, oltre che fondatore, nel 1875, della prima Società del Quartetto. Morì a Bergamo, presso Palazzo Terzi, il 24 novembre 1889.
Le opere per organo ricoprono la maggior parte del corpus musicale petraliano (formato anche da una ventina di pagine pianistiche, moltissime pagine sacre, composizioni per banda e diversa musica da camera). Rappresentano il passaggio dallo stile “operistico” di metà Ottocento a uno stile più osservato che, negli ultimi decenni del XIX secolo, passerà sotto il nome di “stile ceciliano”, volto a ripristinare una sobrietà nelle musiche per la liturgia lontana dalle influenze profane che fino ad allora le aveva caratterizzate. Appartenente al periodo di prima maturità, il versetto qui proposto all’ascolto rappresenta a pieno il talento di Petrali come organista e come raffinato melodista, già aperto ad una dimensione sonora tipicamente francese.
Mons. Giuseppe Pedemonti, «Pastorale su “Verbum caro”»
Figura di riferimento del Novecento musicale bergamasco, Giuseppe Pedemonti nacque a Foresto Sparso nel 1910. Dopo gli studi, divisi tra Bergamo e Roma, fu ordinato sacerdote nel 1932. Contemporaneamente agli studi teologici, si diplomò in composizione sacra al Pontificio Istituto di Musica Sacra (Roma) con Casimiri e Refice. Molto attivo sul territorio, nel 1950 ridiede vita alla soppressa Cappella musicale di Santa Maria Maggiore a Bergamo (che aveva cessato l’attività durante la Seconda Guerra Mondiale), dirigendola dal 1972. Nel corso della sua vita, ampissimo fu il repertorio composto da Mons. Pedemonti: Messe a tre e a quattro voci, cantate, composizioni sacre, tra cui le «Sette Parole di N.S. Gesù Cristo in Croce», oltre a moltissime pagine per organo, pubblicate da Carrara. Fu inoltre attivo, oltre come compositore, come studioso della musica sacra, in particolare modo approfondendo quella di Giovanni Simone Mayr. Morì a Gorle nel 2003.
Ecco alcune parole che descrivono a pieno il carattere delle pagine composte da Pedemonti, scritte da L. Mologni: «L’opera di Mons. Pedemonti, nel campo della Musica Sacra, rappresenta un originale innesto sul tronco millenario del canto liturgico e costituisce uno un tentativo ma una forma mirabilmente raggiunta di arte sacra». Anche la sua musica organistica corrisponde perfettamente a questa descrizione, semplice ma comunque raffinata e in perfetta sinergia e continuità con il passato: il brano che ho scelto, infatti, prende a riferimento un celebre canto natalizio, «Verbum caro», rielaborandolo in uno stile semplice ma assolutamente efficace.
Alessandro Poli, «Scherzo pifferata»
Concludiamo il nostro viaggio con il nome di Alessandro Poli, compositore, organista e organario. Nato a Bondo di Colzate nel 1932 da una famiglia sensibile alla musica (i suoi fratelli furono tutti quanti cantanti o strumentisti a livello amatoriale), a 14 anni iniziò lo studio a Bergamo alla Scuola Santa Cecilia, approfondendo l’armonia e la composizione con don Angelo Covelli, parroco di Colzate e musicista egli stesso. Fu amico di don Andrea Castelli e don Giuseppe Pedemonti, entrambi compositori appartenenti alla cosiddetta «riforma ceciliana». Dopo gli studi accademici, si trasferì a Fiorano al Serio, dove divenne organista e direttore della corale parrocchiale per il resto della vita, terminata nel 2014. Fiorano sarà il suo paese d’adozione definitivo: per la sua chiesa costruì un importante organo, ancora oggi utilizzato durante le funzioni.
Compositore ispirato, anche lui, come Pedemonti, si lega alla solida tradizione musicale del suo territorio e del suo passato. Dimostrò infatti una profonda sensibilità nell’uso delle sonorità dell’organo, come testimoniato in questo «Scherzo pifferata», eseguito dal M° Roberto Mucci presso la chiesa parrocchiale di Chignolo d’Isola qualche anno fa.
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