Quando ascoltiamo della musica cerchiamo di allontanarci dai pensieri della quotidianità e di evadere dai problemi per concederci qualche minuti all’insegna di una nuova avventura. La musica ha da sempre questo straordinario potere: quello di riuscire a trasportare l’ascoltatore verso nuovi e meravigliosi orizzonti. Talvolta sono sentieri lontani, immagini di luoghi remoti o ritratti contrastanti, spazi dedicati a culture nuove, vicine o lontane.
Ma la musica ci può guidare anche appena fuori il nostro uscio, nelle vie della nostra città attraverso la sua storia e i suoi protagonisti che, proprio della musica, ne hanno fatto una ragione di vita. Per questo vorrei proporre questi cinque ascolti: un breve viaggio tra i compositori “nostrani”, che hanno contribuito in modo determinante alla musica nella nostra terra e all’estero. Questi autori, alcuni dei quali ancora poco conosciuti, occupano infatti un importante posto nella storia della nostra città, avendo direttamente “plasmato” le realtà musicali di Bergamo.
Tenetevi forte: la nostra macchina del tempo è pronta per fare un bel viaggio attraverso tre secoli di storia!
Giovanni Legrenzi
Il primo ascolto che vi consiglio è «Lumi, potete piangere», dall’opera «La divisione del Mondo» del clusonese Giovanni Legrenzi. Siamo nel XVII secolo e a Clusone nacque il 12 agosto del 1626 il compositore Giovanni Legrenzi. Figlio d’arte (il padre Giovanni Maria era musicista), Legrenzi seguì fin da subito contemporaneamente sia la carriera musicale che quella ecclesiastica. Per quanto riguarda la prima, fu organista della Basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo tra il 1654 e il 1657, per poi spostarsi a Ferrara assumendo l’incarico di Maestro della Cappella ducale. Dal 1672 si trasferì definitivamente a Venezia (città nella quale morirà nel 1690) divenendo alcuni anni dopo Maestro della Cappella Marciana e insegnando a molti giovani musicisti, tra i quali Francesco Gasparini e forse un giovane Antonio Vivaldi.
La sua produzione è ricchissima: molte sono le pagine strumentali (sonate a tre, a quattro), brani composti per la liturgia ed opere liriche (punta di diamante della sua produzione). Nell’ascolto che propongo, ecco un breve ma meraviglioso duetto tratto da una delle sue opere più famose, «La divisione del Mondo» e magistralmente interpretato dalla coppia formata da Philippe Jaroussky e Nuria Rial, tra più apprezzati interpreti a livello internazionale del repertorio barocco.
Pietro Antonio Locatelli
Il secondo ascolto che vi proponiamo è di Pietro Antonio Locatelli: il Concerto Op. 3 no. 12 «Il labirinto armonico». Facciamo ritorno tra le mura di Città Alta: nei pressi dell’antica chiesa di Sant’Agata del Carmine (oggi non più esistente con la struttura che è divenuta parte del ristorante Il Circolino) nacque il 3 settembre 1695 Pietro Antonio Locatelli, tra i più importanti esponenti della scuola violinistica italiana prima di Paganini. A quindici anni divenne membro dell’orchestra della Basilica di Santa Maria Maggiore, essendo forse allievo di Carlo Antonio Marini e Lodovico Ferronati. Ma la carriera e la fama di Locatelli erano ancora all’inizio: dopo una breve esperienza a Roma (dove fu allievo del grande Arcangelo Corelli) e a Mantova, si trasferì definitivamente ad Amsterdam fino alla sua morte, avvenuta nel 1764, dove diede vita ad un collegium musicum, una piccola orchestra di strumentisti che si riuniva in case di qualche nobile per alcuni concerti nei salotti.
Pietro Antonio Locatelli rivoluzionò la scrittura per violino, conferendo allo strumento una definitiva connotazione virtuosistica. Ciò avviene in particolare nell’Opera Terza, una raccolta di dodici concerti per violino ed archi in ognuno dei quali furono inseriti due capricci, destinati al violino solo, in grado di mettere in mostra la bravura e la spiccata dote virtuosistica del violinista. L’ultimo concerto della raccolta, che qui ho proposto come ascolto, reca come sottotitolo «Il labirinto armonico», proprio a testimonianza della notevole difficoltà tecnica e musicale di questi passaggi destinati a segnare inevitabilmente la letteratura dello strumento nel corso dei secoli successivi.
Girolamo Forini
Set, Trì, Quàter, Sich: insieme ad un sempre apprezzato cáles de vì, era questa la colonna sonora di molte osterie e frasche diffuse sui colli di Bergamo fino alla fine del secolo scorso. Il «gioco della mùra» era infatti estremamente diffuso e spesso era motivi di diverbi a causa degli imbrogli messi in campo da uno dei due giocatori. Ed è proprio ispirandosi a queste scene di realtà popolare che il poeta dialettale Pietro Ruggeri da Stabello scrisse il testo (completamente in dialetto bergamasco) per il duetto «Oh de la müla» , musicato da Girolamo Forini.
Il compositore nacque a Bergamo nel 1806 e fu allievo delle «Lezioni Caritatevoli» di Giovanni Simone Mayr. Dopo gli anni di “apprendistato”, divenne un apprezzato compositore d’opera e un insegnante di canto nella città natale, dove morirà nel 1876, e anche presso le famiglie nobili in Baviera. La composizione del duetto che propongo all’ascolto risale al 1843. I protagonisti di questa breve “azione teatrale”, Ol Tone meulinér e Ol Bortol meulatér, sono due avventori di osteria. La scena comica si svolge presso l’Osteria delle Tre Corone (attualmente Locanda Crotti, presso la località Brughiera di Almé, poco distante da Bergamo), dove i due protagonisti si ritrovano dopo una estenuante giornata di lavoro per godere di un po’ di vino e della compagnia reciproca.
Bortol racconta al caro amico le disavventure della giornata e della malattia della propria mula, destando preoccupazione. Tone, forse per risollevare l’amico giù di morale, propone una partita alla morra che, però, ben presto degenera in lite a causa dei reciproci imbrogli, fino all’intervento risolutivo dei gendarmi. La musica di Forini rispecchia pienamente la freschezza delle pagine rossiniane e donizettiane dell’epoca la quale, insieme alla spontaneità delle parole di Pietro Ruggeri, rendono questa composizione davvero un gioiello da riscoprire e da godersi in tutta serenità.
Angelo Mascheroni
Con i nostri auricolari ci addentriamo a poco a poco nel Novecento, con una celebre romanza (qui nella meravigliosa interpretazione del grande Enrico Caruso), composta dal bergamasco Angelo Mascheroni, «Eternamente». Nato a Bergamo nel 1855, fu allievo prima dell’Istituto Musicale «Gaetano Donizetti», sotto la guida di Alessandro Nini e Antonio Dolci, per poi proseguire gli studi a Parigi sotto la guida di Leo Delibes.
Sempre nel capoluogo francese cominciò la propria attività come maestro di canto e pianoforte, per poi dirigersi in Grecia come direttore d’orchestra. Mai stanco di viaggiare, ottenne il vero successo come compositore di romanze a Londra. Dopo una vita di grandi successi esteri, ritornò a Bergamo dove morì nella sua casa di Borgo Canale nel 1905. «Eternamente» riassume perfettamente il carattere delle composizioni che rese celebre Mascheroni fuori dal suolo italico: un testo amoroso, una cantabilità sempre semplice e mai banale, capace di far breccia nel cuore dell’ascoltatore.
Emilio Pizzi
Sulla tavola di ogni vero bergamasco non deve mancare il piatto simbolo della nostra tradizione culinaria: la polenta. Un tempo considerato alimento povero, umile, oggi è invece sinonimo di festa, da consumarsi nelle domeniche insieme al contorno più disparato (dai formaggi alla carne, ai funghi…). La polenta è da sempre l’emblema della “bergamaschità” più pura e sincera (non dimentichiamo che anche il nostro Arlecchino è rappresentato con il celebre piatto a base di mais posto sopra un tagliere), e anche la musica ha voluto celebrare questa importante leccornia.
La composizione della «Cansù de la polenta» (qui proposta nell’interpretazione dello chansonnier bergamasco Luciano Ravasio) risale al 1931: il testo fu scritto da uno dei più importanti rappresentanti della poesia dialettale bergamasca, Giacinto Gambirasio, e musicata alcuni anni dopo la stesura del testo dal compositore Emilio Pizzi. Veronese di nascita nel 1861 ma bergamasco fin dai primissimi anni, Emilio Pizzi studiò all’Istituto Musicale «Donizetti» con Vincenzo Petrali, Alessandro Nini e Matteo Salvi. Pochissimi anni dopo la conclusione degli studi, nel 1884, viaggiò a lungo tra Inghilterra e Stati Uniti, dove acquisì notevole successo come operista e direttore d’orchestra.
Nel 1897 fece ritorno a Bergamo come Maestro di Cappella di Santa Maria Maggiore, trasferendosi nella sua «Villa Rosalba» presso la località «Vetta» di San Pellegrino Terme. Morirà nella sua città adottiva nel 1940. La musica di Pizzi rappresenta perfettamente quello spirito conviviale che la musica popolare è capace di conferire: anche il soggetto del brano, la polenta, contribuisce ad enfatizzare l’atmosfera solare del carattere musicale.