Ci sono realtà a Bergamo che sono diventate il palcoscenico adatto per lanciare le nuove generazioni di artisti. Tra queste, nonostante sia un’istituzione attiva da più di cent’anni, spicca la Società del Quartetto che, in Sala Piatti, organizza programmi di alto profilo con musicisti di fama internazionale e con un occhio particolare verso i giovani. Un aspetto, questo, molto caro al nuovo direttore artistico Marco Mazzoleni , imprenditore nel settore delle costruzioni, appassionato e cultore di musica e, recentemente, anche scrittore. Nella stagione 2024 – 2025, la prima da lui curata, sono infatti tanti i giovani musicisti che si esibiranno in Città Alta, grazie anche alle sinergie con il Politecnico delle Arti e con l’Accademia Musicale Santa Cecilia. L’obiettivo è costruire una rete per valorizzare le nuove generazioni per rendere Bergamo una vera «città musicale». Approfondiamo il tutto in questa intervista con il nuovo direttore artistico.
WL: Perché un giovane dovrebbe frequentare la Società del Quartetto? Riesce a darci cinque ragioni?
MM: Una prima ragione può essere – semplicemente – quella di ascoltare musica: per i giovani, questo rappresenta una possibilità, certo, ma anche un bisogno concreto. Il nostro ruolo è quello di cercare di mettere in condizione più gente possibile di venire a conoscenza della musica. Una seconda ragione è quella di una possibilità lavorativa nell’ambito: la musica è un mestiere, che in Europa rappresenta una concreta occupazione, ma che fatica ad avere lo stesso riconoscimento in Italia.
La musica poi – questa la terza ragione – dovrebbe rappresentare un fattore socializzante e aggregativo importante per i ragazzi: i teatri europei, in questo senso, rappresentano un modello a cui ambire e, anche nel nostro piccolo, dobbiamo riconsiderare il concerto non solo come evento musicale fine a sé stesso, ma come occasione sociale preziosa. Andare ad un concerto, come quarta ragione, può diventare una vera e propria lezione: io sostengo che ogni composizione che ascoltiamo rappresenti un fatto sociale e una testimonianza di vita che ci più insegnare molto più di tanti libri di storia, permettendoci di entrare nel vissuto dell’autore e di comprendere nel profondo il suo pensiero e la sua estetica. In ultimo…la musica fa innamorare, in ogni senso.
WL: La stagione 2024 – 2025 della Società del Quartetto è caratterizzata dalla forte presenza di giovani protagonisti. Quali risorse offrono al pubblico?
MM: I giovani talenti sono sempre stati un nostro punto di riferimento, anche in passato. Abbiamo ospitato giovani artisti che poi sono diventati grandi nomi. Oggi è importante valorizzare i giovani talenti anche del nostro territorio: da questo punto di vista è fondamentale la stretta collaborazione con le istituzioni di formazione musicale della città, come il Politecnico delle Arti e l’Accademia Santa Cecilia, con i quali è stata stipulata una convenzione. Per il primo sono ospiti i pianisti Daniele Martinelli e Filippo Gorini, vincitori in passato del «Premio Nazionale delle Arti», mentre per l’Accademia Santa Cecilia il 31 marzo sarà protagonista la giovane e premiata violinista Yuki Hirano, allieva del corso internazionale di violino di Pavel Vernikov a Bergamo e vincitrice del «Concorso violinistico internazionale Jascha Heifetz» di quest’anno. L’obiettivo è quello di far suonare i giovani meritevoli delle nostre istituzioni, oltre alle promesse vincitrici dei concorsi internazionali: in questa rassegna è infatti ospite anche Dmytro Udovychenko, pianista ucraino recentemente vincitore del «Concorso Queen Elizabeth» di Bruxelles.
WL: Nel programma c’è sempre un dialogo tra il repertorio classico e quello della nostra contemporaneità.
MM: Dal mio punto di vista la musica è sempre in continuità, dal passato al presente: è un legame profondo che attraversa le epoche, dove l’espressione rappresenta l’aspetto più importante e più significativo all’ascolto. È proprio nell’espressione che sta la chiave che attraversa il repertorio, da Wagner fino ai giorni nostri, ed è nostro dovere farlo conoscere. Anche nella musica d’oggi l’espressione è importante: l’eredità che Schönberg e la sua scuola hanno lasciato, agli inizi del XX secolo, è ancora profondamente viva nel nostro tempo e nel nostro modo di pensare la musica.
Chi è curioso e non ha preconcetti è interessato al “viaggio”: l’inizio di stagione della Società del Quartetto di quest’anno lo dimostra, avendo affiancato Schubert, Brahms, Webern, Adés e Berio in un unico discorso, riscuotendo un ottimo successo a livello di pubblico e di interesse. Tutta la musica è infatti romantica, diceva Bruno Maderna, e questo il pubblico curioso – anche il giovane – lo sa: per creare dei legami duraturi, la musica deve creare ponti, non dighe.
WL: Com’è nata la sua passione per la musica?
MM: Ero musicista da ragazzo. Mi piaceva molto ascoltare e suonare musica “complicata”. Poi, ho intrapreso la strada professionale, scelta che però mi ha permesso di continuare a coltivare la musica come hobby. Ultimamente le proporzioni sembrano invertite.
WL: Cosa rappresenta per lei la Società del Quartetto di Bergamo?
MM: Quello che più mi ha colpito di questa istituzione è stata la sua lunga storia dal punto di vista musicale, per molti aspetti comune a quella della città. Per me è molto importante mantenere una continuità con un ente che ha più di cento anni, cercando il più possibile di incentivare i legami con le istituzioni: Bergamo è una città che ha ricoperto – in passato – una grande centralità musicale. Aspetto che, dal mio punto di vista, dovrebbe essere riportato in luce.
WL: Quali sono gli obiettivi per il futuro e quali sogni sono nel suo cassetto?
MM: Il mio desiderio più grande è di poter vedere Bergamo, un domani, come città centrale che viva di musica. Mi rifaccio, in questo pensiero, ai «Maestri Cantori di Norimberga» di Wagner: il modello sociale pensato dall’autore rispecchia quello bergamasco, basato sulla cooperazione e sul lavoro, con la musica come piacere condiviso al termine della giornata, nella quale tutti si ritrovano e possono goderne. Il mio sogno è quello di una «Bergamo musicale» che sappia interagire con il proprio territorio a tutti i livelli (sia sociale che economico), in un dialogo stretto tra le istituzioni e valorizzando i nomi e i protagonisti che l’hanno resa grande come città assieme ai giovani talenti che la abitano. Questo obiettivo è possibile riportando al centro gli spazi piccoli (come la Sala Piatti), offrendo alle giovani generazioni un patrimonio tutto da vivere. Le istituzioni culturali possono fare molto in questo, ma non bisogna sottrarsi dalla nostra realtà e dal nostro valore personale: le famiglie, in tutto ciò, ricoprono un ruolo importante nel far avvicinare i giovani ai gioielli che la musica conserva.
WL: E per chiudere cosa è per lei la musica?
MM:La musica è tutto ciò che non possiamo spiegare, ma che possiamo sentire e capire.