Natura e musica. Due entità in grado di suscitare nell’animo umano emozioni potenti, in grado di smuovere meccanismi mentali difficilmente attivabili in altro modo. Lo sa bene Marco Pasinetti, musicista di professione e appassionato di trekking, che ha unito le due passioni per tentare un’impresa personale: esibirsi nel corso di una settimana, da lunedì 29 luglio a domenica 4 agosto, in sette rifugi montani, seguendo il sentiero dello Orobie Orientali. Ad accompagnarlo nel viaggio la sua amata chitarra e un amplificatore, strumenti pesanti sulle gambe ma capaci di alleggerire i cuori degli spettatori. Curiosi di farci raccontare il suo tour « Sonorobie », abbiamo fatto due chiacchiere con lui.
GT: Come è andato il viaggio?
MP: Direi che è andato molto bene, sono molto felice. Non ci sono stati imprevisti, c’è stata la fatica, che però era prevista. Sono stato fortunato perché durante le ore di cammino non ha mai piovuto. Ci sono stati dei temporali, ma li ho sempre “beccati” quando ero già arrivato al rifugio. In più sono quasi sempre riuscito a suonare all’aperto, che era il mio obiettivo. Sono riuscito a suonare sulle terrazze, mettendomi tra la gente e il panorama di montagne, con un contesto sempre bellissimo. Ho ricevuto dei bellissimi feedback dalle persone che, dopo il concerto, si avvicinavano per raccontarmi che le avevo fatte sognare o avevo fatto ricordare loro delle sensazioni particolari. In ogni occasione si è creato un ambiente d’ascolto molto educato e silenzioso perché sono sempre riuscito a raccogliere i presenti – gruppi composti da un minimo di quindici a un massimo di quaranta persone – in punti tranquilli, dove l’ascolto ne giovava tantissimo. In più parecchi amici sono venuti a trovarmi, alcuni mi hanno anche aiutato nelle tratte a portare un po’ di peso.
GT: Dal punto di vista musicale era tutto come ti aspettavi o hai dovuto adattare qualcosa?
MP: È stato un work in progress. I concerti sono andati sempre meglio, avevo previsto una scaletta, ma mi sono accorto che alcune cose funzionavano meglio di altre e quindi ho dovuto invertire l’ordine di alcuni brani. Volevo creare un concerto di musica d’ascolto, l’opposto di un aperitivo con sottofondo musicale, con la gente in silenzio ad ascoltare. Ho adattato la scaletta per mantenere alta l’attenzione, invertendo alcune canzoni e cambiandone altre tra una serata e l’altra. Tendenzialmente, però, è stato esattamente come l’avevo immaginato: i miei brani collegati con improvvisazioni e un paio di brani non miei.
GT: Qual è stata la tratta più difficile del viaggio?
MP: Come distanza sicuramente Albani-Curò, perché è la più lunga, in più ho sbagliato strada perdendo un’ulteriore ora rispetto alla tabella di marcia. Come difficoltà tecnica invece Coca-Brunone, perché sul Monte Simal bisogna arrampicarsi con le catene e in più c’erano parecchi nevai, per cui determinati tratti li ho dovuti affrontare con i ramponi.
GT: Quali emozioni hai provato durante questa traversata?
MP: È davvero difficile rispondere a questa domanda perchè ne ho provate davvero tante. In alcuni momenti, in cui ero totalmente solo, mi è capitato addirittura di avere le lacrime agli occhi per quello che stavo facendo, perché i posti in cui stavo camminando e suonando erano a dir poco suggestivi. Quasi tutti li conoscevo già, sia chiaro, però essere lì in quel momento, da solo in mezzo alla montagna con questi paesaggi incredibili, sovrastato da giganti di pietra è qualcosa di indescrivibile. Per di più in giornate bellissime perché ho camminato per tutti e sette i giorni con il sole e quindi ho potuto godere appieno della vista degli animali, della neve e della roccia, oltre a godermi la brezza che arrivava quando scollinavo da una valle all’altra. Sono cose che mi sono entrate nella pelle. Durante i concerti quasi sempre finivo ad occhi chiusi e, quando li riaprivo alla fine di un brano o durante un applauso, c’era sempre una specie di capogiro di ritorno sulla terra, perché davvero l’ho vissuta con molta magia e con molto trasporto, grazie anche alle persone che si sono lasciate “trasportare” con me.
GT: Come è stato l’ultimo concerto al rifugio Alpe Corte?
MP: È stata una festa. Da un lato perché avevo finito, ce l’avevo fatta, dall’altro perché sono arrivati i miei genitori insieme a tanti amici. In più c’era anche quel pizzico di malinconia che già cominciava a salire dal basso, perché era finita. Riguardando video e fotografie della giornata, mi rendo conto di aver avuto sempre il sorriso stampato in faccia, per cui ero veramente felice.
GT: Come ti è venuta l’idea di questo «viaggio musicale»?
MP: La parte musicale è presto spiegata: è la mia vita. Faccio musica ogni giorno e la porto con me in tutto ciò che faccio. Per quanto riguarda la parte sportiva e montana, è una passione che mi accompagna da quando ero bambino, grazie a mio padre che mi portava sempre in montagna. Come tutti gli adolescenti, ho messo da parte questa passione per un po’, ma poi l’ho riscoperta intorno ai 25 anni. Essendo da sempre appassionato di montagna, quando mi chiedevano di suonare in un rifugio, accettavo volentieri. Un giorno, parlando con un amico che è un ex gestore di rifugi che ora lavora stagionalmente al rifugio Brunone, una delle mie mete, è nata la proposta di fare un concerto da loro. Da lì ho cominciato a chiedermi se non si potesse fare un giro musicale dei rifugi. Non ricordo nemmeno come sia nata l’idea, parliamo dell’inizio della primavera, ma è diventata una sfida affascinante. Volevo fare il giro completo dei rifugi in un’unica volta, cosa che non avevo mai fatto prima. D’estate, con i concerti, non riesco quasi mai a prendermi una settimana intera per andare in montagna, quindi ho pensato: «Sai che c’è? I concerti li faccio, ma li faccio in montagna».
GT: Riproporrai ancora progetti del genere?
MP: Mi piacerebbe, però non credo che farò altro quest’anno. O meglio, in realtà ho incontrato due persone che hanno dei rifugi meno grandi di quelli dove sono stato che mi hanno detto che sarebbero felici di vedermi suonare da loro, però non so se la cosa sia effettivamente fattibile in questo 2024. In ogni caso, l’estate prossima mi piacerebbe rifare qualcosa del genere, magari percorrendo l’altra parte del sentiero delle Orobie, quello occidentale, che in questo giro non ho toccato. Oppure, ma questo è solo un sogno e non so se sarà davvero possibile, rifare questo sentiero ma non più da solo, in duo o addirittura in trio. La difficoltà sarà trovare altri “matti” disposti a ripetere l’impresa.