Se osserviamo la sua storia millenaria, possiamo dire che la musica affonda le sue radici nel mondo maschile. Questa eredità si riflette non solo nel numero di artisti uomini che dominano la scena, ma anche nel modo in cui la creatività, il successo commerciale e la visibilità sono prevalentemente associati all’uomo. La figura dell’artista, in questo contesto, è sempre stata costruita su un’immagine di forza, di autorevolezza, di determinazione nel dettare le regole del gioco.
Eppure, ridurre il discorso a una semplice contrapposizione tra uomini e donne non fa giustizia a una realtà che è ben più complessa, sfumata e ricca di sfide che hanno a che fare con la società e il modo in cui le dinamiche di potere si sedimentano e prendono piede. La musica, oggi come ieri, è la cartina tornasole di un sistema che non riguarda solo le disparità tra uomini e donne, ma anche il modo in cui consumiamo l’arte, di come l’opinione pubblica premia determinate storie, di come tende a conformare l’immagine dell’artista in base a ciò che è accettabile o vendibile La discriminazione di genere è, certamente, un tema centrale, ma non è l’unico.
Nel mondo del rap e della trap, ad esempio, così come in molte altre aree artistiche, ci sono vari livelli di esclusione: c’è quella legata all’autenticità e all’approvazione del pubblico, che spesso premia l’immagine piuttosto che il talento. C’è quella delle etichette discografiche che ancora privilegiano una logica di mercato che si riflette più sulla quantità che sulla qualità. C’è la sfida di trovare una propria voce in un contesto che tende a omologare piuttosto che ad accogliere la diversità.
Non si tratta solo di quanto le donne siano discriminate, ma anche di come tutte le voci, indipendentemente dal genere, siano chiamate a misurarsi con il peso delle aspettative sociali e culturali. È questo che fa la differenza tra un’artista che emerge per la sua creatività e quella che viene costretta ad adattarsi alle «regole non scritte» del sistema. Le donne non sono solo giudicate in base alla loro capacità artistica, ma anche alla loro «presenza», a come vengono viste e consumate dalla società.
La pressione per essere diverse, per essere emancipate in un contesto che continua a essere dominato da figure maschili è un tema che ha spesso poco a che fare con il merito o la qualità della musica, ma più con l’immagine che viene imposta per diventare desiderabili, appetibili, acquistabili, anche quando parliamo di dischi. Mi ha fatto riflettere nelle scorse settimane una vicenda che ha coinvolto Rose Villain per l’uscita del suo ultimo album, «Radio Vega». L’artista si è ritrovata al centro di una polemica assurda: perché nel suo ultimo album non ci sono feat con altre donne? Una domanda che nessuno si sognerebbe mai di fare a un artista uomo. Eppure, a lei è stato chiesto di giustificarsi. Come se il semplice fatto di essere una donna nel music business comportasse un obbligo morale a fare squadra con le altre, come se la sua musica dovesse essere prima di tutto un manifesto politico e poi un’espressione artistica.
Il punto è questo: nessuno si chiede perché gli uomini non diano spazio alle colleghe. Nessuno chiede conto ai rapper maschi di quante donne abbiano coinvolto nei loro album. E allora perché una donna dovrebbe rispondere di scelte che, se fatte da un uomo, passano inosservate?
Le aspettative del mercato
Se da un lato la musica popolare italiana ha visto l’affermazione di artiste di talento come Laura Pausini, Giorgia, Elisa, e più recentemente Alessandra Amoroso, Emma e di altre grandi voci, la questione resta aperta quando si parla di rap e trap. Si è detto spesso, riferendosi a quest’ambito che le donne non “entrano” nel rap per una serie di motivi legati alla violenza, alla misoginia e alla difficoltà di adattarsi a un linguaggio duro e aggressivo. Ma, a ben vedere, molte delle difficoltà che affrontano non sono legate solo a queste caratteristiche, ma a una struttura sociale che ha difficoltà a riconoscere la donna come protagonista assoluta della scena musicale.
Nel caso di artiste affermate come Giorgia , il discorso è ancora più complesso. Il suo piazzamento a Sanremo nel 2025, ad esempio, è stato visto da molti come un’ulteriore conferma di una cultura musicale italiana che fatica a premiare il talento femminile, soprattutto in contesti come il «Festival di Sanremo», che è da sempre sinonimo di consolidamento della carriera. Ma il caso di Giorgia potrebbe essere letto anche in un’altra luce: forse la sua mancata presenza sul podio non dipende solo dal fattore genere, ma anche da una sua scelta stilistica che, nel 2025, potrebbe risultare meno appetibile per un pubblico giovane. Il fatto che la cantante si sia affidata a autore di vent’anni per il suo testo, piuttosto che scrivere e raccontare la propria verità, potrebbe essere visto come una mossa strategica che non ha funzionato, almeno in termini di riconoscimento.
Un altro aspetto della questione è che le donne nel panorama musicale italiano sono spesso viste come «altre», nel senso che devono adattarsi a un modello che non è il loro. Prendendo come esempi il rap e la trap sono generi fortemente associati all’immaginario maschile: sono voci di protesta, che raccontano le difficoltà di una vita di periferia, l’orgoglio maschile, la ricerca di un’identità forte e spesso legata alla strada. Le donne che decidono di entrare in questi mondi musicali devono fare i conti con un’industria che tende a incasellare in categorie precise la figura femminile. In altre parole, la donna che entra nel mondo del rap o della trap deve, in qualche modo, adattarsi, cambiare il suo stile, parlare di cose che sono percepite come maschili. La critica più forte che molte artiste muovono contro l’industria discografica riguarda infatti la mancanza di possibilità per affermarsi con una propria identità.
L’impatto dei media
Un fattore cruciale che merita attenzione è come l’immagine delle donne nella musica venga costruita e veicolata dai media. Non è un segreto che la visibilità delle artiste femminili dipenda in gran parte dalla loro capacità di essere “digeribili” per il pubblico mainstream . Prendiamo ad esempio la gettonatissima Baby K lanciata da Tiziano Ferro come una delle prime rapper nel panorama italiano con l’album «Una seria» che ben presto ha ceduto al fascino delle hit estive perdendo la cifra stilistica che le aveva permesso di distinguersi agli esordi.
Le ragazze trapper sono spesso ridotte a un’immagine che mescola la forza della ribellione con la sensualità, un mix che finisce per ridurre la loro identità a quella di «oggetti» da consumare visivamente. Di fatto, una trapper donna che non si conforma a questi canoni rischia di essere ignorata, nonostante la sua musica possa essere potente e autentica. Questo fenomeno è visibile anche nel confronto con l’estero: negli Stati Uniti, dove il rap e la trap sono nati e sono più sviluppati, la lotta delle donne per avere una rappresentazione più autentica è stata forte, con figure come Cardi B e Nicki Minaj che sono riuscite a sfruttare la propria immagine per affermarsi e fare pressione sul mercato per cambiarne le regole.
Il ruolo della società
Come il contesto sociale plasma l’immaginario musicale? La musica è anche una questione di cultura, di tradizioni e di valori che si intrecciano con la visione che abbiamo delle donne. La rappresentazione della donna nella musica italiana è, per certi versi, un riflesso di come la società stessa percepisca la figura femminile: fragile, sensibile, ma anche forte, ribelle, autonoma, ma sempre legata a certi confini culturali. La resistenza della musica rap e trap femminile in Italia può essere interpretata come una risposta a questi stereotipi e un tentativo di forzare una rielaborazione della figura femminile attraverso un linguaggio più crudo e diretto possibile. Le nuove generazioni stanno cercando di affermare la loro verità, senza necessariamente conformarsi a ruoli già prestabiliti. Ne sono esempi emblematici il collettivo La rappresentante di lista con Veronica Lucchesi oppure artiste come Big Mama o Joan Thiele.
Un altro elemento interessante riguarda la narrativa del successo nel rap e nella trap, soprattutto per le donne. A differenza degli uomini, che possono permettersi di raccontare la propria ascesa attraverso storie di potere, soldi e successo senza apparire fuori luogo, le donne spesso sono costrette a mediare tra il desiderio di raccontare una storia simile e il bisogno di mantenere un’immagine accettabile dalla società. Questo crea un conflitto narrativo dove le donne nel rap non sono sempre libere di raccontare il loro successo senza essere accusate di essere materialiste o di vendersi troppo. Le donne nel rap italiano devono fare i conti con l’aspettativa sociale di non sembrare esagerate o troppo sicure, con il rischio di essere percepite come arroganti o egocentriche, caratteristiche che invece sono ampiamente accettate negli uomini.
Piattaforme digitali e streaming
Infine, concentriamoci sull’impatto delle piattaforme digitali sulla scena musicale e come queste abbiano contribuito a ridurre alcuni dei limiti tradizionali imposti dalle case discografiche e dai media. Le piattaforme di streaming e i social media hanno democratizzato in parte l’accesso alla musica, permettendo anche a piccole realtà indie e a voci meno convenzionali di emergere senza doversi piegare alle logiche mainstream. Questo ha dato maggiore visibilità a molte artiste, che ora possono raccontare la loro storia senza il bisogno di essere “formattate” per un pubblico tradizionale.
Tuttavia, anche in questo caso, l a visibilità femminile è ancora più complessa. Le donne, pur avendo maggiore libertà di esprimersi su queste piattaforme, devono comunque affrontare il rischio di essere ridotte a oggetti di consumo visivo. La sfida è quella di riuscire a mantenere la loro autenticità in un sistema che continua a premiarle in base a quanto sono “spettacolari” o “diverse”, piuttosto che per la loro musica.
Qualcosa però si sta muovendo: è notizia di pochi giorni fa che Anna , giovane rapper di La Spezia, è stata riconosciuta da Billboard come «Global Woman of the Year» per la categoria italiana. Un premio che potrebbe aprire un dialogo ancora più forte sulla possibilità delle artiste femminili di affermarsi maggiormente anche in ambiti internazionali. Il futuro dipenderà dalla capacità dell’industria musicale di evolversi, abbracciando una pluralità di voci, senza incasellare le donne in ruoli predeterminati o limitanti. Solo allora la musica potrà finalmente diventare davvero un campo di gioco equo per tutti.