Il nuovo – e primo – disco degli ISIDE, “Anatomia Cristallo” (potete trovarlo comodamente su Spotify) è una piccola-grande bomba. Perché è difficile trovare qualcuno che in Italia faccia così bene quel colorato miscuglio di pop e hip hop che in America è spadroneggiato da nomi come Brockhampton, Toro Y Moi, Tyler the Creator eccetera. È difficile trovarlo in Italia (ci vengono in mente giusto un paio di nomi), figuriamoci a Bergamo.
Invece Dario, Daniele, Dario e Giorgio a suon di cantato in italiano e basi ricchissime di contaminazioni, hanno trovato la loro via a una proposta aperta a tutti ma allo stesso tempo ricercata: facilmente potabile senza scadere nel banale, colta e lavorata a sufficienza per risultare interessante senza eccedere negli intellettualismi. Potremo ascoltarli allo Spazio Polaresco sabato 10 luglio 2021, a partire dalle 20:30. Noi ci siamo preparati al live raggiungendoli per una bella chiacchierata in cui ci hanno spiegato origini e sviluppi del loro progetto, di cui – ne siamo sicuri – sentiremo parlare sempre più spesso.
LR: Partiamo dall’inizio: vi siete conosciuti al liceo, giusto?
IS: In realtà da molto prima, almeno ai tempi dell’asilo. Siamo tutti di Treviolo, eravamo insieme alle elementari e abbiamo passato i pomeriggi all’oratorio a giocare a ping-pong. Abbiamo iniziato a fare musica insieme partendo dalla lingua inglese, soprattutto con pessime cover anche se in realtà fin da piccoli abbiamo sempre provato a scrivere i nostri pezzi. Poi tre anni fa ci siamo detti “perché non proviamo a farlo in italiano?”. Non tanto per mire “espansionistiche”, ma perché erano uscite delle cose che ci piacevano: il primo Generic Animal, Venerus, i Verdena (ma loro da sempre). Così abbiamo deciso di farlo anche noi.
LR: Ora come ora quanto vi trovate lontani dall’idea di musica con cui eravate partiti?
IS: Se intendi per quanto riguarda il progetto ISIDE, in realtà siamo ancora abbastanza vicini. Invece rispetto a quanto eravamo partiti come band da ragazzini, beh suonavamo Metal e rock. Quindi era una cosa piuttosto distante da quello che facciamo adesso, anche se lo spirito è rimasto ed è sempre quello. Anche e soprattutto è rimasto il fatto che ci piaccia molto suonare dal vivo: ai tempi ci gasava tantissimo, e anche ora fare i live per noi è fondamentale.
LR: La vostra è una formula molto ibrida e contaminata. Quando devo descrivervi a qualcuno che non vi conosce vi definisco “i Brockhampton italiani”. Quali sono le cose che nei vostri ascolti sono poi confluite nel progetto ISIDE?
IS: Sicuramente non sbagli citando i Brockhampton: loro ci piacciono veramente tanto, ma in generale tutto il pop che abbia grandi contaminazioni hip hop. Insomma tutta quella scena che va da Tyler the Creator a Frank Ocean. In Italia Venerus, anche se probabilmente alla fine non ci assomigliamo neanche poi così tanto. In generale tutto quel pop che ha l’hip hop nelle batterie, nel flow, nelle strofe magari un po’ più rappate. Ci piace molto anche il fatto che tutti questi progetti abbiano la parte più romantica da un lato e dall’altro anche quella un po’ più “cattiva”. Infatti nel disco ci sono pezzi molto contrastanti da questo punto di vista. Anche il feat – l’unico – che abbiamo scelto è un rap “screammato”.
LR: Nonostante queste infiltrazioni più incazzate la vostra proposta resta sempre e comunque molto pop, pur ovviamente inteso in senso non nazionalpopolare. Quanto vede spendibile questo progetto a livello pop, e soprattutto quanto vi interessa che lo sia?
IS: I pezzi che facciamo sono molto spontanei: non partiamo col presupposto che quello che stiamo per scrivere debba essere un pezzo pop. Bisogna solo fare la cosa migliore possibile. Forse abbiamo raggiunto un livello di maturità sufficiente a saper dire “non sovraccarichiamo, lasciamo l’idea ‘pura’”. Andiamo molto seguendo l’istinto, senza pensare al target. Facciamo quello che ci piace e basta. Abbiamo la nostra catena di strumenti, le nostre chitarre classiche molto trattate, il bassone, il mio modo di cantare eccetera (sta parlando Dario Pasqualini, il cantante, ndr), e sappiamo che andiamo a finire lì. Ma sempre molto spontaneamente.
LR: Come scrivete i pezzi?
IS: Il disco l’abbiamo composto letteralmente in un anno, con una pandemia mondiale che per due volte ci ha tenuti lontani, quindi non sappiamo quanto possa essere indicativo. Ci mandavamo idee di produzioni e note vocali cantate sulle note del telefono. Ora il flusso è un po’ più normale, nel senso che ci vediamo e buttiamo giù le idee insieme, poi torniamo a casa e ci rimuginiamo su. Siamo molto amici e molto democratici, quindi non è che ci sia un metodo fisso.
LR: I titoli delle tracce di “Anatomia Cristallo” presentano tutti una v seguita da un numero. Come mai?
IS: Voleva essere una sorta di elogio al processo: sviluppiamo i pezzi in maniera quasi maniacale, spesso capita che una traccia da un giorno all’altro cambi faccia in modo radicale, e ogni volta lo salviamo come una versione nuova. Quindi ci piaceva l’idea di far uscire un disco che facesse sapere alla gente che quella versione del pezzo era semplicemente l’ultima a cui eravamo arrivati, e che prima ce n’erano state altre, spesso totalmente diverse.
LR: Immagino che nel caso di “Infarto v 666” la cosa abbia preso una piega più scherzosa…
IS: La cosa divertente è che in un articolo è capitato che scrivessero “un pezzo ha avuto addirittura 666 versioni”, perché non si sono accorti che in quel caso era una cosa messa lì per ridere. Negli altri casi invece la cifra è quella reale, ad eccezione di “Incantesimi v 96”.
LR: Dai vostri testi emerge quasi una volontà di sezionamento chirurgico della realtà.
IS: Generalmente parliamo di cose molto tangibili, non ci siamo mai dedicati ad approfondire chissà quali massimi sistemi. È più un approccio del tipo “cosa mi è accaduto oggi?”, cercando poi di rendere un po’ surreale la realtà. Partiamo dai dettagli più stretti che la quotidianità mentale di una persona può incontrare, e proviamo a portarli a un piano superiore. Inteso non superiore a livello di concetto, quanto piuttosto di immaginario.
LR: Non è comunque un disco sereno. Ci ho sentito molta sofferenza, soprattutto in certi passaggi precisi.
IS: Sicuramente l’anno non ha aiutato. In realtà non siamo persone tristi. Non siamo neanche i “gioppini” della situazione, sicuramente quando la sera andiamo a dormire ci vengono dei pensieri. Diciamo che più che tristezza la parola giusta è “sensibilità”. Visto che prima parlavamo di influenze e fascino rap, sicuramente siamo molto lontani dal classico stereotipo superomistico di quel tipo. Tendenzialmente ci mettiamo in secondo piano.
LR: Come ha influito la pandemia a livello di scrittura e produzione? Ha cambiato il vostro modus operandi anche solo da un punto di vista logistico?
IS: In un certo senso ha influito anche in modo positivo. Così avevamo il nostro tempo per scrivere, mentre solitamente quando ci si trova in studio si vuole uscire a giornata finita con qualcosa di ascoltabile, quindi si finisce con il buttare giù il primo testo buono che viene. Invece così ognuno di noi ha avuto più tempo per pensarci e rifletterci sopra, magari poter dire “ok, così ha più senso”. Quindi solo e unicamente a livello di scrittura l’abbiamo vissuta bene, perché ha dilatato i tempi di scrittura e composizione.
LR: Ora che è finalmente di nuovo possibile farlo, porterete in giro il disco live in estate?
IS: Assolutamente sì, in realtà abbiamo già fatto un paio di date e ne abbiamo un’altra decina già programmate per il resto dell’estate. Come abbiamo detto prima, è una cosa a cui teniamo moltissimo. Ci piace far rendere i pezzi anche dal vivo, e che comunque sia un live suonato. Tant’è che abbiamo apposta un batterista, proprio per rendere il più possibile questa idea di approccio suonato. C’è una componente più digitale, nel senso che la chitarra è sempre trattata, la voce ha l’autotune, però non è mai fatto con finalità di “correzione”. Sono suoni, è come mettere un pedale alla chitarra.
LR: So che proprio oggi state lavorando a un pezzo nuovo. State già guardando avanti al vostro prossimo passo?
IS: Ascoltiamo talmente tanta musica e facciamo talmente tanta musica nella nostra quotidianità che serve una qualche valvola di sfogo che permetta a tutti questi stimoli di venire fuori. In realtà non avevamo mai passato un momento così lungo “fermi”, perché la realizzazione del disco ci ha sfiancati, e poi abbiamo preparato il live. Ora che il live è pronto e lo stiamo portando in giro ci sembra che ci sia di nuovo quella frizzantezza di quando abbiamo iniziato a lavorare all’album. C’è voglia di fare cose nuove.
LR: Nuove nel senso che prendono nuove direzioni rispetto al disco e a quanto avete fatto finora?
IS: Non lo sappiamo, mi sa che lo stiamo capendo. In realtà il disco stesso è una somma di direzioni diverse. Visto che la realizzazione è durata un anno, è stata una sintesi di momenti diversi. Poi sta tutto nell’incanalare queste sintesi in un unico contenitore.