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Il sax di Roger Rota per l’installazione “Ogni vita è un racconto”

Intervista. Il progetto memoriale de L’Eco di Bergamo si trova nel piazzale antistante la sede del quotidiano. Venerdì prossimo il sassofonista in una breve performance in cui reinterpreterà un classico del canto gregoriano

Lettura 4 min.

Venerdì 8 maggio alle ore 19:45, Bergamo TV e i canali social di L’Eco di Bergamo e di Eppen trasmetteranno in diretta una breve performance di Roger Rota, una delle voci più rappresentative del jazz bergamasco. Un piccolo omaggio musicale per le persone decedute che vengono ricordate dall’installazione memoriale “Ogni vita è un racconto”, a cui corrisponde anche un sito dove è possibile lasciare il proprio ricordo.
Abbiamo scambiato due parole con Roger, dialogando sul presente e sulle prospettive future per i musicisti come lui.

MR: Come stai vivendo questa quarantena che piano piano si sta “slegando”?

RR: Sto facendo quello che bisogna fare, è giusto seguire le indicazioni e continuare a fare quello che dobbiamo fare. Su questo sono assolutamente d’accordo. Certo, ultimamente sta pesando un po’ questa mancanza di libertà, si sente insomma. All’inizio ero più positivo, trovavo da fare, mi sono concentrato sulle mie cose, ho scritto roba, ho suonato. Ogni giorno che passa però il pensiero si intristisce, non vedo una nuova forma, e sul lungo periodo la situazione sta diventando pesante.

MR: Che idea ti sei fatto del presente e del prossimo futuro per quanto riguarda la tua categoria?

RR: Sono tutti fermi ormai da parecchio tempo. C’è gente con cui io lavoro regolarmente che a differenza mia ricava da vivere solo da quello. E sta facendo molta fatica. Non si può insegnare perché le scuole sono chiuse, i locali sono chiusi, concerti non se ne fanno. Noi musicisti continuiamo a fare video, ci organizziamo con i telefonini, facciamo i video-spot su Facebook perché comunque è una cosa a cui non riusciamo a rinunciare. Però di fatto la situazione è drammatica.

MR: Come credi ne uscirà il mondo della musica?

RR: Io credo che comunque si possano fare delle cose. Un musicista può suonare in un teatro vuoto, lo può fare un trio, un quartetto, con le dovute distanze. Al Modernissimo di Nembro è stato fatto ultimamente un concerto [con Stefano Montanari, Gianluigi Trovesi e Gianni Bergamelli, ndr] per le vittime di Nembro. Hanno suonato da soli in teatro, in tre, a distanza, c’era una ripresa video, ed è stato un bellissimo concerto che la gente ha visto da casa. Certo ora pronunciarsi è impossibile rispetto a cosa si potrà fare, ma se invece di fare i video a casa come stiamo facendo si potessero fare dei concerti live in qualche teatro, in qualche chiesa, per poi essere trasmessi, la gente ne gioverebbe. E ovviamente anche i musicisti, chi ci deve vivere insomma.

MR: Prescindere dalla presenza del pubblico per ricominciare a lavorare...

RR: Certo, poi non sarà la stessa cosa, ma anche quando fai un disco non suoni in pubblico, ma sei abituato a farlo e lo fai. La categoria va ricordata: la musica la vogliono tutti, la musica fa bene a tutti, ma sembra l’ultima delle cose a essere trattate, anche a livello politico. È importante invece. Come può essere importante la partita a porte chiuse per il tifoso di calcio, che perde due ore della sua giornata a vedere una partita e si nobilita d’animo perché sta bene. La stessa cosa vale per i concerti. Porte chiuse, va bene, ma facciamo qualcosa.

MR: Tutti fruiamo continuamente di spettacoli ed eventi e la cultura è parte integrante della nostra vita e della nostra economia. Tuttavia perché il tema è quasi derubricato, secondario?

RR: Credo sia perché ci è arrivata addosso questa bomba atomica e vista la portata, la situazione talmente grossa da gestire, il pensiero si è concentrato più su “usciamo da questa cosa e vediamo dopo”...

MR: Una questione di priorità dici...

RR: Sì, ma penso anche che si potrebbe cominciare a pensarci adesso. Poteva essere così un mese fa, nel pieno del problema, quando la cosa era grossa, sconosciuta, difficilissima da gestire. È chiaro che ci possono essere delle disattenzioni rispetto a certe categorie, questo lo capisco benissimo. Adesso però, in questi decreti, un minimo di attenzione potrebbe anche esserci. Certo, capisco che non ci si poteva pensare un mese fa, quando ti sfilavano sotto casa i camion dell’esercito pieni di bare...

MR: Adesso sarebbe ora di dare una prospettiva concreta però, anche perché c’è un sottobosco di musicisti completamente scoperti in termini di tutele...

RR: Adesso sì. Come si pensa di darla a tutte le categorie. La cultura e la musica sono una fetta importante della giornata di una persona, e naturalmente lo sono per il musicista stesso, che senza non può vivere. Ci sono poi tante situazioni che non rientrano nei parametri dei rimborsi che stanno prevedendo. Con queste regole, se non sei un “grande” musicista, non sarà facile.

MR: Come credi che sarà tornare a esibirti davanti a un pubblico?

RR: Io credo che usciremo da questa batosta cambiati, sento che la cosa mi ha pesantemente influenzato. Non so come sarà, ma credo che un segno abbastanza pesante rimarrà. Tra musicisti ora gira la battuta “I locali non ci chiederanno più di portare gente”. Si suonerà magari in un locale da cinquanta persone davanti a un pubblico di venti, e per un periodo sarà così, ognuno a un metro di distanza dall’altro. Cambieranno molte cose, e non sarà una cosa veloce il ritorno alla normalità.

MR: Per quanto riguarda l’installazione per cui ti esibirai, che brano hai scelto e perché?

RR: Volevo fare un brano della liturgia cristiana, di derivazione gregoriana, il “Regina Coeli”, che in genere viene fatto in chiusura delle messe. Volevo proporre questa cosa un po’ perché mi sembra la situazione giusta per farlo, e un po’ perché è un brano molto bello. Parto dall’impianto e poi ci improvviso sopra.

MR: L’avevi già eseguito in passato?

RR: Una volta, l’anno scorso, l’ho eseguito con un chitarrista durante un concerto in cui abbiamo eseguito una rivisitazione di brani dedicati a Maria. Tra l’altro c’era stato un riscontro bellissimo dal pubblico. In questa situazione, in cui suonerò da solo, cambierà completamente. È un brano che conosco, che ho studiato e analizzato. Sarà narrazione non legata alla struttura tradizionale, ma un’interpretazione solitaria, diversa, alla mia maniera.

MR: E cosa ne pensi del progetto memoriale “Ogni vita è un racconto” de L’Eco di Bergamo?

RR: È un’iniziativa molto bella, credo che sia una cosa importante ricordare questa cosa e farlo anche attraverso un evento artistico, con una performance, non semplicemente come bollettino di guerra.

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