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Il cantautorato indie-pop a tinte pastello dello “scienziato” Calabi

Articolo. “Scrivere canzoni è come aprire un rubinetto”. Abbiamo scambiato due chiacchiere con la voce dei Plastic Made Sofa in occasione dell’uscita del suo primo disco, “Viaggio Post Maturità”

Lettura 3 min.
Andrea Cominoli

Andrea Rota, voce dei Plastic Made Sofa, ha un progetto solista. Si chiama Calabi, ed è uscito da poco “Viaggio Post Maturità”, il suo vero e proprio esordio sulla lunga distanza dopo la title-track ad affiancare la release e i brani “Manifesto”, “Sferica”, “Domani” e “Le terrazze” ad anticiparla nei mesi scorsi.
Quello che ci troviamo tra le orecchie è qualcosa di radicalmente diverso dallo psych-rock settantiano del suo gruppo d’origine.
Parliamo piuttosto di un indie-pop, in un certo qual modo sempre morbidamente psichedelico, ma più sognante, melodico, e con lo sguardo puntato verso una tradizione di cantautorato che parte dagli anni ’70 (sempre loro) e arriva fino all’it-pop più radiofonico di oggi, passando per qualche synth anni ’80.

Un po’ Venditti e un po’ Calcutta insomma, un po’ Woods nella voce e vagamente Peaking Lights negli arrangiamenti più elettronici. Oppure prendiamo Syd Barrett e mettiamolo a cantare pezzi di Tommaso Paradiso, se vogliamo (magari quello di “Vol. 1”, che forse è meglio). Si risentono Dente e Colapesce, ma anche I Cani. I riferimenti stilistici si sprecano, ma la scrittura resta personale e tutta sua.

Sferica” inizia il viaggio con uno sfarfallio di synth e coretti liofilizzati, la title-track danza assonnata tra chitarre acustiche e tramonti di slide-guitar, celebrando un’estiva malinconia (post) liceale, mentre “Manifesto” è il primo di una serie di morbidi pezzi house – ma sempre con le chitarre saldamente presenti – così come Bon Iver. Poi arrivano tiepide ballate minimal (“Diluvio”), invocando “un vento caldo che asciughi la mia malinconia” (“Mani”), e in coda c’è spazio pure per un breve intermezzo di solo piano (“Ieri”).

Andrea, che è stato soprannominato “lo scienziato dell’indie” per il suo dottorato in fisica, ha un background di studi scientifici che solo apparentemente stona con quella che è la sua controparte musicale. Il luogo comune che vede scienza e arte come due compartimenti stagni e non comunicanti è generosamente disatteso.
Proprio il nome di questo progetto, dedicato al matematico Eugenio Calabi, simboleggia un trait d’union che sfuma i confini tra teoria delle stringhe e indie-pop. Abbiamo scambiato due chiacchiere con lui per conoscerlo meglio e approfondire questo nuovo capitolo del suo percorso musicale, iniziando proprio dall’apparente ossimoro tra scienza e vocazione artistica e dal loro legame: “La fisica è eleganza e creatività, così come la musica, semplicemente non si esprime con le parole ma con il linguaggio della matematica. Ho imparato molto dai miei studi e non soltanto di attinente alla scienza”.

Calabi diventa così lo sfogo di un’indole musicale quasi primigenia: “La musica mi appartiene sin da quando ero piccolissimo, mi racconta mia madre che già ad un anno e mezzo cantavo le canzoni degli alpini con il nonno [da buon bergamasco, ndr]”.
Lo scarto rispetto al suo percorso per come lo avevamo conosciuto nei Plastic Made Sofa sta poi anche (forse soprattutto) nella lingua utilizzata: inglese allora, italiano adesso (e pure qualche fugace parentesi in francese, vedi “Madeleine”). Alla base di questo cambiamento “un lasso di tempo nel quale ho sofferto molto e sono cambiate molte cose nella mia vita. Mi sono rialzato scrivendo canzoni, e la transizione all’italiano è stata una naturale evoluzione della mia esigenza espressiva, un fatto puramente istintivo e non certo ragionato”.

Proprio l’assenza di ragionamento e di studio (inteso come pianificazione a freddo) è un altro caposaldo della musica di Andrea: “Scrivo di getto e non studio nulla a tavolino. Per me scrivere canzoni è come aprire un rubinetto”.
Questa istintività compositiva è palpabile nei pezzi – scritti chitarra in mano – che compongono il disco, un sogno estivo a tinte pastello venato di una vaga nostalgia ma sempre e comunque rassicurante. Sembra di tornare in un porto sicuro e conosciuto, crogiolandosi in quella gioia screziata di tristezza che tutti abbiamo provato nel crepuscolo dell’adolescenza. Qualcosa di cui potremmo aver bisogno in un momento storico così delicato. “Credo fortemente che, così come la scrittura, anche l’ascolto di una canzone sia un gesto istintivo ed empatico. Le persone interpretano le canzoni in base al proprio stato d’animo. La stessa canzone ascoltata in momenti diversi può produrre risonanze differenti. In questo momento storico la gente ricerca conforto, e la musica avrà certamente curato molte ferite”.

Circondati dalle mura di casa, l’attuale impossibilità di viaggiare può essere momentaneamente risolta appoggiandosi a letture e ricordi. Così, sottoposto alla nostra rubrica #cult, Andrea si è mosso tra dischi, film, libri e viaggi, raccontandoci “cosa negli ultimi mesi ha reso speciale la mia quotidianità”.

#1libro
“La vita bugiarda degli adulti” di Elena Ferrante
Amo Napoli e tutto ciò che evoca nella mia memoria ricordi di quella città.

#1disco
“Antonio Carlos Jobim” di Antonio Carlos Jobim
L’ascolto del padre della bossa nova brasiliana mi ha regalato inaspettati momenti di serenità con le sue atmosfere rilassanti e raffinate.

#1film
“Gli anni più belli” di Gabriele Muccino
L’ultimo film che ho visto al Capitol la sera prima che i cinema chiudessero. Me lo ricorderò sempre, così come ricorderò la omonima canzone di Baglioni sui titoli di coda e l’emozione che ha suscitato in me.

#1viaggio
Andalusia
La rilettura del diario di un viaggio in Andalusia, un’avventura condivisa con cinque amici, con pochi soldi in tasca e tanta voglia di conquistare il mondo.

Approfondimenti