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Goran Bregović, «se uno conosce il linguaggio della musica, comunica con tutti».

Intervista. Il famoso compositore balcanico si esibirà domani sera sul palco del Lazzaretto Estate con la sua «Wedding and Funeral band». A Bergamo porterà il suo ecclettico bagaglio artistico, anticipando qualche brano del suo nuovo disco che uscirà la prossima primavera. Un viaggio per scoprire la filosofia di un musicista che ha fatto il giro del mondo

Lettura 4 min.

L’emozione è alle stelle. Quando digito il numero di telefono, respiro a fondo e ripasso le domande che ho preparato per questa occasione speciale. Non mi sembra vero: sto per intervistare Goran Bregović, il musicista e compositore balcanico più celebre al mondo. Pochi secondi di attesa e poi ecco la sua inconfondibile voce, cristallina e diretta, un po’ come la sua musica, che ti entra nella pelle e non esce più. Parliamo in italiano, ci confrontiamo su tanti temi e mi offre alcuni spunti di riflessione. La chiacchierata è durata una mezz’oretta e da quello scambio di domande e risposte è nata questa intervista, in preparazione al concerto che l’artista terrà domani sera a Bergamo, sul palco del Lazzaretto (l’evento è sold out!) con la sua «Wedding and Funeral band».

Bregović, che canterà e sarà in scena con chitarra e sintetizzatore, porterà sul palco bergamasco il suo «turbo folk», in uno show tra passato e presente con alcuni suoi storici successi, alcuni brani degli album più recenti e con qualche preziosa anticipazione sul suo prossimo progetto. Il Lazzaretto farà quindi da cornice a un concerto imperdibile, che unirà vocalità bulgare, folklore slavo, polifonia sacra e pulsazioni rock, dando vita a una musica istintivamente riconoscibile.

Il compositore 74enne – la cui popolarità è legata anche a una serie di colonne sonore per cinema che ha composto negli anni per registi quali Emir Kusturica, Patrice Chereau e Roberto Faenza – continua così il suo ecclettico percorso artistico, iniziato nel segno del rock a soli 16 anni nella sua città, Sarajevo.

LA: Maestro, ha più volte dichiarato che la musica le ha salvato la vita. Come?

GB: Io ho cominciato molto presto a suonare, quando avevo 17 anni suonavo già nei bar e a 18 anni ero in Italia, a Napoli. Ho avuto poi un problema con la droga e ho promesso a mia madre di studiare e non suonare mai più. Per quattro anni ho così studiato filosofia: ero destinato a diventare professore di marxismo perché erano gli anni del comunismo. Non ho mai finito gli ultimi esami e non sono mai diventato un professore di filosofia, ho fatto il mio primo disco con il mio gruppo rock (seguiranno quindici anni con il suo gruppo White Button e tredici album venduti con 6 milioni di copie, ndr) e sono diventato subito una star. Questa cosa è stata positiva per me, ma anche per i ragazzi che avrebbero dovuto imparare solo il marxismo! Non ho quindi mai fatto altro oltre alla musica, grazie a Dio faccio un mestiere privilegiato.

LA: La sua città, Sarajevo, è stata ferita da un grande conflitto. Oggi in Europa soffiano ancora venti di guerra. Come vede questa situazione internazionale?

GB: È molto triste vedere questi Paesi in conflitto, specialmente perché conosco l’Ucraina e la Russia, ho suonato molti concerti lì, ho suonato in quasi tutte le grandi città ucraine, ho amici che vivono lì e ho fatto anche delle musiche insieme a degli artisti locali. Quando non conosci un posto è diverso, ma per me che conosco tutta quella zona – dove suonavo almeno dieci concerti ogni anno - è veramente triste. Vedo in quelle terre lo stesso destino di Sarajevo. Per questo nelle musiche che faccio c’è sempre la volontà di mettere insieme le cose che sono difficili per la politica o per la religione. Viviamo in un momento triste che spero passerà e finirà presto, intanto dobbiamo continuare a credere e a coltivare un mondo migliore.

LA: La musica può essere uno strumento di pace? Può avere un compito sociale così alto?

GB: La musica è un potere forte, ma non cambia il mondo. Il mondo viene cambiato dai generali, non dalla musica. Facciamo finta però di non sapere questa cosa e continuiamo a fare quello che facciamo, con tutta la forza che abbiamo. Proviamo a migliorare il mondo, tutti indistintamente: i giornalisti, chi fa le scarpe, chi coltiva il grano e chi compone musica. A cosa serve la vita se non per rendere migliore il mondo di come lo viviamo?

LA: Una provocazione. Se avesse un ruolo politico importante, cosa farebbe per facilitare il confronto e il dialogo?

GB: Non credo farei meglio di quello che già c’è. Il mondo è diventato troppo complicato perché il capitalismo è complicato. Il capitalismo non si può fermare, produce guerre per la sua natura. Il problema è che oggi non abbiamo nessuna nuova ideologia che può cambiare davvero il mondo. Le ultime nuove idee nella politica vengono da Marx, ma era il diciannovesimo secolo.

LA: Nel suo ultimo disco, «The belly button of the world», ha scritto cinque brani per tre violini solisti, un’orchestra sinfonica, un sestetto di voci maschili e per la sua «Wedding and Funeral band». In questo lavoro ha saputo unire influenze provenienti da liturgie cristiane, ebraiche e musulmane. Un viaggio musicale per riflettere.

GB: Questo lavoro è nato da una commissione che ho ricevuto dalla Basilica di Saint Denis di Parigi. Il mio primo strumento è stato il violino e vengo da un posto dove già il violino si suona in più maniere. Per questo il concerto che trovate in questo disco è stato scritto per tre violini che vengono da queste tre tradizioni e sono intrepretati da tre musicisti provenienti da Tunisi, Tel Aviv e Belgrado. Ed è per questo che dico che, come compositore, sono un privilegiato: per me è facile mettere insieme le cose perché nella musica c’è sempre armonia, non come nel mondo che ci sentiamo nemici. La scienza dice che la musica è il primo linguaggio umano; sono stati infatti ritrovati flauti risalenti a 20mila anni fa. Prima della lingua, della politica e della religione, la musica è stata uno strumento di comunicazione. Se uno conosce il linguaggio della musica, comunica con tutti.

LA: Ha parlato di commissioni. Quanto le commissioni private oggi sono importanti per mantenere viva l’arte e la musica?

GB: Guardiamo la storia dell’arte e pensiamola senza commissioni. Non avremo Michelangelo, non avremo Shakespeare, non avremo Chopin, Beethoven, nessuno. La storia della musica è stata scritta dalle commissioni, così come l’arte in generale. Agli artisti piace essere commissionati perché c’è una piccola frontiera intorno a te da rispettare, c’è il rispetto della scadenza – che è una cosa molto positiva per gli artisti che non finiscono mai – e poi sei pagato, che è lo stesso importante.

LA: Dopo una carriera costellata ancora di successi internazionali, nutre ancora dei sogni?

GB: Alla mia età cerco di non fare cose di cui potermi vergognare. Spero di fare ancora qualcosa in futuro, adesso sono in una buona condizione per scrivere ancora. Sto facendo, dopo tanto tempo, due piccoli film, uno americano e uno serbo. La produzione americana, che nasce da un libro best seller, parla di guerre locali e di una storia molto triste. Sono tornato al cinema e mi sto divertendo. Sto lavorando anche a un nuovo disco, più semplice rispetto al precedente, per ballare e bere. Mi piace l’idea che la gente balli e si diverta con la mia musica. Questo album uscirà la prossima primavera, ma alcuni brani li suonerò già nei concerti che farò in Italia.

LA: Tra poco sarà a Bergamo. Che spettacolo offrirà al pubblico?

GB: Suonerò un concerto per l’estate, anche io mi voglio divertire, non solo il pubblico. Suonerò dei brani vecchi e alcuni nuovi: la promessa è che ci divertiremo insieme. Quando faccio un concerto e vedo il pubblico, penso che le persone hanno scelto di dedicare a me due ore della loro vita: sento la responsabilità di fare per loro un buon concerto.

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