Di Giorgio Canali potrei raccontare tantissime cose e non so da dove iniziare. Quindi cominciamo a dire che venerdì 23 agosto sarà con i Rossofuoco a Edoné Bergamo, gratis. Lo conosco da parecchi anni (dal 2004, se non ricordo male) e quando ci vediamo – non troppo spesso, di solito ai suoi concerti a Bergamo e dintorni – ci parliamo (poco, perché tutti vogliono parlare con Giorgio) ma fra quelle parole prima e dopo il live ho sempre l’impressione di portare a casa tanto.
Perché? Perché Canali non è solo un songwriter di pregio, un produttore esperto, un chitarrista con un suono personale come lo sono spesso coloro che sono passati alla chitarra dopo altre esperienze strumentali (per lui l’elettronica). E non si può ridurre il suo percorso neppure all’essere stato il chitarrista degli ultimi CCCP, dei CSI (con quel suono disturbante e spesso rumoristico) e dei PGR (le canzoni attraversate dal suo e-bow eccezionalmente melodico ed evocativo).
Canali è molto di più: per tanti è una sorta di guida spirituale, uno che superati i sessant’anni (classe 1958), dopo aver fatto la storia del rock italico con le tre formazioni sopra citate, ha ancora la vitalità di un ventenne. Vitalità che significa spirito ribelle, arrabbiato, malinconico e straordinariamente urticante (anche quando parla di una dimensione privata). Un mood che ti fa sentire meno solo e ti investe con un’ondata di vita lontana da ogni cinismo e al contempo piena di disincanto e romanticismo.
Quando lo vedi urlare nel microfono le sue canzoni, cercando di dare sempre tutto, ecco, quella è un’infusione di forza che in pochi riescono a trasmettere. In altre parole Giorgio ha esattamente tutte le caratteristiche per essere l’ultimo dei rocker del nostro Paese. Così se il rock, come dicono in tanti, è morto, sappiate che Canali è vivissimo e non ha alcuna intenzione di tirare i remi in barca. Basta ascoltare l’ultimo disco “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”, uscito l’anno scorso, un lavoro carico di brani intensi, forse il suo più da cantautore, tracce che entrano ed escono dall’interiorità al sociale e viceversa con una densità emotiva che oggi in pochissimi posseggono. Se di cantautorato rock vogliamo parlare, in quelle canzoni, come nei dischi precedenti, c’è una forza espressiva che Ligabue e il Vasco Rossi degli ultimi anni nemmeno si sognano.
Insomma, Canali è l’incarnazione esatta di ciò che dovrebbe fare il rock’n’roll: elettricità, parole come schiaffoni, rivoluzione (sociale o interiore, purché rivoluzione sia) e irriverenza. Ma Canali è rock anche perché ad essere rock è prima di tutto l’uomo. Ho decine di aneddoti che lo dimostrano e il primo che mi viene in mente è che quando gli parli è un vero e proprio matto. Con una bella dose di incoscienza (sono mitologiche le sue testate al microfono fra una canzone e l’altra), il sorriso di un ragazzino (e le rughe di una persona che ha vissuto tanto) ma soprattutto la capacità di non prendere mai nulla troppo sul serio, a partire da sé stesso. Per questo è uno dei pochi che a qualche ventenne riesce a parlare ancora con le sue canzoni. Mentre quelli della sua generazione quasi sempre si trovano sotto il palco un esercito di over 30 o 40.
Canali poi è rock per il semplice fatto di essere nato a Predappio (sì, come Mussolini), ma di essere un anarchico convinto, per indole prima che per ideologia. Avendo frequentato da giovane i movimenti anarchici per poi allontanarsene come succede sempre a chi è troppo intelligente, lucido e mentalmente libero per farsi ingabbiare. Del resto lui è un cane sciolto e in quanto tale sul palco non ha paura di dire come la pensa. Due aneddoti a riguardo: ricordo una sua risposta all’interno di un mini-doc di Rockit sul Mi Ami nel quale i musicisti rispondevano alla domanda “Chi è il personaggio più rappresentativo della scena indie italiana?” e fra un Manuel Agnelli e un Lindo Ferretti lui tranquillo disse “Silvio Berlusconi”. Oppure ricordo un concerto al Rockisland di Bottanuco in cui metà pubblico se ne andò all’istante dopo un paio di uscite, diciamo così, “colorite” sulle campane che iniziarono a suonare nel bel mezzo di un brano. Ho aneddoti anche sui suoi epici gin-tonic (non fatevi preparare un gin-tonic da Canali se non reggete bene l’alcol) e sulle decine di volte che l’ho visto seguire attento e in mezzo al pubblico i gruppi di apertura ai suoi concerti e magari poi raggiungerli per complimentarsi con loro (anche questo è molto rock, perché di solito le band stanno asserragliate nei camerini).
Di Canali inoltre sono rock non solo i live, ma anche le interviste – cercatene qualcuna in rete, sono un gran bell’esercizio di imprevedibilità – e quel modo di muoversi nella scena alternativa italiana senza furberie, doppiogiochismi, compiacimenti verso gli addetti ai lavori giusti. In altre parole con quella purezza di chi ha scritto una canzone-manifesto come “Precipito”, autentico inno esistenziale, immancabile nelle scalette dei live, che dice tutto e vale per molti: “precipito, ammira il mio stile mentre scendo / precipito, guarda che precisione la mia rotta di collisione con il mondo”. È questo Giorgio Canali, splendido musicista e persona magnifica. Se già lo conoscete è molto probabile che venerdì sarete sotto il palco di Edoné. Ma se è la prima volta che ne sentite parlare cercate di esserci, personaggi come lui sono sempre più rari. E se, come spesso si dice, non c’è nulla di meglio di una bella botta di rock’n’roll sappiate che sarà ancora più speciale se a darvela sarà lui, l’ultimo dei rocker.