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Festival Organistico Internazionale, la vertigine dell’organo

Intervista. Al via il 27 settembre con cinque concerti che ospiteranno grandi nomi internazionali. E un mondo di storie tutto da scoprire. Qualche domanda al direttore artistico Fabio Galessi

Lettura 10 min.
Vincent Dubois

Incontrare Fabio Galessi, direttore artistico del Festival Organistico Internazionale “Città di Bergamo”, significa farsi accompagnare da una guida – speciale per passione e competenza – all’interno di un modo magico quale è quello dell’organo. Strumento meccanico, legnoso e insieme aeriforme, che richiede un’estrema devozione da parte dei suoi (straordinari) esecutori, genera una musica totale per intensità e coloriture. Nutrendo tutta un’aneddottica fatta di personaggi unici, tradizioni, regole e estrema creatività, perfettamente sintetizzati da un Festival che è un gioiello della nostra città.
L’edizione 2019, al via il 27 settembre con Vincent Dubois in un concerto che ricorda il grande Jean Guillou e l’incendio di Notre-Dame, è la ventisettesima di un percorso carico di storie e momenti eccezionali. Insomma organo significa soprattutto fascinazione, incanto, vertigine. E non stupisce che fra il pubblico in crescita del Festival ci siano anche tanti giovani.

L.B. - Ventisette anni di Festival Organistico Internazionale. Per voi questa è un’edizione quanto mai significativa.

F.G. - Siamo alla ventisettesima edizione con la medesima direzione artistica, fedeli quindi alle prerogative iniziali che sono state la fortuna di questa manifestazione: mettere al centro del concerto l’interprete, inteso come guida emotiva e spirituale per l’ascoltatore, reintrodurre l’arte dell’improvvisazione, dare spazio alle migliori giovani promesse internazionali e tenere un approccio quasi didattico per ogni singolo concerto.

L.B. - Andiamo per punti, partendo dall’improvvisazione.

F.G. - Siamo l’unico Festival in Italia che ha avuto l’idea (stiamo parlando del 1992) di riportare in auge all’interno del concerto l’arte dell’improvvisazione, che era completamente scomparsa nel nostro Paese, mentre invece nel nord Europa è sempre rimasta viva, sia a livello di conservatori che di attività concertistica. È un aspetto a cui teniamo molto, e spingiamo affinché i musicisti che chiamiamo inseriscano sempre nel loro programma una parte improvvisativa.

L.B. - Veniamo alla questione della didattica.

F.G. - Probabilmente è ciò che ha consentito il successo della manifestazione. Ci siamo posti il problema di allargare il pubblico: una volta quello dell’organo era un mondo di specialisti, una nicchia in cui ci si guardava un po’ tutti di sottecchi. Invece la musica d’organo nasce come musica popolare, tanto quanto la musica sinfonica, piuttosto che l’opera. È solo un problema di farla conoscere per quello che veramente è. Quindi la sera del concerto distribuiamo a tutti i presenti delle ‘note’, piuttosto dense, che aiutano con semplicità ad avvicinarsi a ciò che si ascolterà. È una strategia che ha premiato molto. Bello è vedere oggi come la gente che affolla i nostri concerti, quando entra, chiede come prima cosa le ‘note al programma’!

L.B. - Sono due gli accadimenti che in qualche modo hanno “costruito” il programma di quest’anno e in particolare l’appuntamento d’apertura sull’organo Corna in Cattedrale. Il primo è la scomparsa, lo scorso gennaio, del grande Jean Guillou. Un suo ricordo personale, in particolare della presenza a Bergamo…

F.G. - L’idea del Festival, che partì poi ufficialmente l’anno successivo, è nata nel 1992 con lui. Gli chiedemmo di venire a Bergamo giusto per mostrare alla città cosa volesse dire improvvisare. Allora era già un grandissimo, era l’organista titolare a St. Eustache a Parigi, dove è rimasto fino al 2015: lo facemmo suonare su un organo meccanico, che non era nelle sue peculiari caratteristiche, proprio per far capire che prima viene la musica e poi il mezzo. Lei mi chiede un ricordo personale: è quello di una lunga amicizia, intensa, con una persona generosa e dall’animo gentile. Dopo quel concerto Guillou venne a Bergamo altre sei volte, di cui quattro invitato da noi: due per il Festival (2002 e 2010), una per l’inaugurazione del restauro dell’organo delle Grazie (1996), un’altra ancora per un concerto in concomitanza con il grande convegno sull’organaria Serassi (1995). L’ultima volta che suonò a Bergamo fu appunto nel 2010, quando compì ottant’anni. In quell’occasione, in accordo con Claudia Sartirani, l’assessore alla Cultura di allora, abbiamo deciso di donargli una targa ricordo in cui c’era scritto: “A Jean Guillou, artista geniale, splendido ispiratore di bellezza”. Quando gliela consegnammo, c’erano mille persone, era l’inaugurazione del nuovo organo Corna della Cattedrale.

L.B. - Nel 2010 Guillou rifiutò la Legion d’Onore “in un momento in cui la musica cosiddetta colta arretra d’importanza presso tutti gli organismi ufficiali”.

F.G. - Jean era sicuramente un duro e puro, una persona di grande rigore. Il rifiuto è legato allo scarso apprezzamento ‘concreto’ verso il suo intenso lavoro di compositore e musicista a Sant’Eustache, ed alla messa in secondo piano della musica colta in generale da parte di tutte le istituzioni politiche (ma anche ecclesiastiche….). Perché accettare di essere premiati, se fino a quel momento si era stati ignorati? Cui prodest? Guillou era uno spirito libero, uno che ha sempre viaggiato controvento. Da lui abbiamo appreso l’importanza dell’interpretazione come atto creativo. Un concetto che nel mondo organistico, dominato dalla grande renaissance barocca, era visto come fumo negli occhi. Possiamo dire che il nostro Festival è nato un po’ come contro-rivoluzione rispetto al pensiero dominante. Per decenni s’andava affermando che fosse quasi più importante lo strumento di chi lo suonasse, e che per ogni tipo d’organo si potevano eseguire solo determinati autori. Quest’ultimo concetto è vero, ma altamente limitante per una diffusione popolare della musica d’organo. Per noi l’interprete è un creatore, che vive nel momento storico in cui opera, e prima viene la Musica, poi l’organo, che è solo un mezzo per fare musica, così come un pianoforte o un violino. Guillou la pensava così, e il Festival è nato con questo credo. Oggi le cose si sono molto più riequilibrate, amalgamando ‘visioni’ contrapposte.

L.B. - Ci spieghi questa cosa dei bigliettini…

F.G. - Secondo noi le persone vengono ai nostri concerti per conoscere l’anima dell’interprete, il carisma con cui sa ‘parlare’ ai cuori delle persone. Il linguaggio più diretto per far ciò è l’improvvisazione. La cosa interessante è che la ‘base’ dell’atto creativo viene decisa dalla gente, che entrando in chiesa scrive la musica su striscioline di pentagramma, suggerendo i temi. Quando ci siamo inventati questa cosa, fin dalla prima edizione, le striscioline erano poche, oggi il cestino con cui le raccogliamo è sempre pieno. La gente porta i temi da casa, e si appassiona, perché nell’improvvisazione riconosce i temi che aveva scelto. E il concerto diventa interattivo, coinvolgente. Quest’anno improvviseranno in questo modo Monica Melcova, il 18 ottobre, e Vincent Dubois, nel concerto d’inaugurazione.

L.B. - Ecco, parliamone. Anche dietro questo appuntamento c’è una storia particolare, che è poi il secondo accadimento.

F.G. - Dubois è il nuovo organista di Notre-Dame, uno dei tre titolari della cattedrale. Poco tempo dopo la sua nomina la chiesa, come tutti sanno, è bruciata, quindi lui non suonerà a Notre-Dame per chissà quanti anni. Così abbiamo pensato che sarebbe stato bello dedicare il primo concerto di questa edizione a Jean Guillou, morto a gennaio, e ricordare al contempo il tragico incendio della cattedrale parigina dello scorso aprile attraverso la presenza di Dubois.

L.B. - Ma oltre a questo c’è anche una coincidenza speciale.

F.G. - Vincent Dubois lo scorso Natale ci mandò la sua proposta di programma e all’interno spiccava la Fantasia e Fuga sul Corale “Ad nos, ad salutarem undam” di Liszt. Quando lo vidi, mi ricordai subito che al Festival fu suonata da Guillou nove anni prima, su quell’organo, ma che in fondo si poteva riascoltare, anzi sarebbe stato un bel confronto. Non potevo certo immaginare che il mese dopo Jean ci avrebbe lasciato! L’esecuzione di quella Fantasia assumeva ora un significato enorme. Dopo le esequie, proprio in Notre Dame, incontrai quindi Dubois, spiegandogli il nostro profondo legame con Jean, e gli proposi di costruire, attorno alla Fantasia di Liszt, un concerto commemorativo di Guillou e della sua ultima apparizione a Bergamo. Lui, entusiasta, ha aderito da par suo introducendo una trascrizione di un quartetto di Mozart, scritta da Jean, ma soprattutto proponendo un’improvvisazione sul nome Guillou, giocando cioè sulla corrispondenza lettere/note secondo la notazione tedesca. È un sottile richiamo al Preludio e Fuga sur nome d’Alain di Maurice Duruflè, secondo la migliore tradizione francese. Dubois peraltro, oltre che essere uno straordinario virtuoso, è un musicista di grande raffinatezza; non capita a tutti di diventare l’organista di Notre-Dame a quarant’anni!

L.B. - Mi sembra di capire che per ogni concerto lavorate con il musicista chiamato alla costruzione del programma.

F.G. - Sì, sempre. Lo facciamo per evitare che magari nel giro di due anni venga suonato uno stesso brano. Prendiamo la serata inaugurale di quest’anno: la prima parte è dedicata alle trascrizioni, di Guillou e di Dubois, una delle grandi arti della scuola francese. Al centro c’è il Liszt suonato da Guillou nel 2010, ma nuovamente richiamato, nella seconda parte, dall’improvvisazione sulla forma del Poema Sinfonico, amata da entrambi. Tutto si lega.

L.B. - Nella presentazione del programma definite questo concerto “una notte di preghiera in musica”…

F.G. - La musica d’organo nasce sostanzialmente per la liturgia. È vero che poi nei secoli se n’è anche distaccata molto – ci sono ad esempio magnifici organi nelle sale da concerto – ma non dobbiamo mai dimenticare che il concerto si svolge in chiesa. L’aspetto spirituale quindi resta centrale: non è mai uno spettacolo fine a sé stesso. Ricordare Notre-Dame e Jean con la musica sarà come una potente preghiera collettiva. Ma non sarà certo una serata mesta, tutt’altro. Del resto sono convinto che i nostri concerti abbiano questo enorme riscontro non certo solo per una questione spirituale, ma per la straordinaria qualità dei musicisti invitati. Ad ogni appuntamento si punta a coinvolgere emotivamente il pubblico, sia con questa interattività di cui parlavo prima, ma pure con la cura che cerchiamo di avere verso i programmi. Ogni anno le persone scoprono nuovi compositori, nuovi brani, alcune volte autentiche sorprese. Poi le persone vanno a casa, si informano, approfondiscono, la cultura si diffonde. La nostra filosofia è quella di creare un evento che sia ogni volta unico e diverso, dunque quell’organo per quel particolare musicista, che costruisce quel particolare programma.

L.B. - Ci fa un esempio riguardante questa edizione?

F.G. - Nel secondo concerto, quello del 4 ottobre in S. Maria Maggiore, un grande didatta come Stefan Engels, per dieci anni direttore del Conservatorio di Lipsia, suonerà brani di Sigfrid Karg-Elert. Ebbene Engels è l’autorità mondiale di questo autore, è da una vita che studia Karg-Elert, tanto che ne ha inciso tutta l’opera per organo in quindici cd. Ma questo compositore, a cavallo fra Ottocento e Novecento, è davvero poco conosciuto, eppure ha un’energia e un colore assolutamente straordinari. Sarà una grande sorpresa. Come è accaduto tante volte al Festival: mi ricordo ancora il silenzio e lo stupore della gente di fronte alla “Passion Symphony” di Marcel Dupré, prima mai eseguita a Bergamo. Tornando a Engels, suonerà anche alcuni brani di Bach. La scelta non è casuale: Karg-Elert fu un convinto utilizzatore del contrappunto, come due secoli prima J.S.Bach. Il confronto sarà anche sull’arte della trascrizione: un Haendel trascritto da Karg-Elert versus un Vivaldi trascritto da Bach.

L.B. - A chiudere un’altra annotazione: di Karg-Elert sulla parola Bach.

F.G. - Sì, l’Introduzione, Passacaglia e Fuga sul nome Bach sarà la sintesi di un programma di altissima qualità. E faccio notare che questo ‘gioco’ musicale sui nomi si avrà anche nel concerto di Zeinler (due fughe su Bach, di Schumann) e della Melcova (Menuet sur nome d’Haydn, di Ravel) creando un fil-rouge tra le prime quattro serate. Ecco il valore aggiunto che deve dare una direzione artistica.

L.B. - Qualche mese fa ho intervistato Pier Carlo Orizio, il direttore artistico del Festival Pianistico Internazionale. Mi disse che in questo momento storico abbiamo i migliori pianisti di sempre. Vale anche per l’organo?

F.G. - Assolutamente sì. Noi facciamo ogni anno un concerto con un giovane vincitore di un importante concorso internazionale, sempre nella chiesa delle Grazie. Quest’anno è Johannes Zeinler, classe novantatré, vincitore del Grand Prix des Chartres, che proporrà pagine di Bach, Schumann, Franck, Heiller e Vierne. La qualità di questi giovani, se comparata a quella di vent’anni fa, è straordinaria. C’è una crescita qualitativa continua, è incredibile. Il pubblico viene a questo concerto ad occhi chiusi perché sa che si tratta sempre di musicisti di venticinque-ventisei anni dal talento smisurato. Questo continuo aumento della qualità si deve ad un affinamento dell’insegnamento nelle scuole specializzate, e da una competitività fra musicisti sempre più spinta. Viviamo tempi difficili, però è vero che nei momenti difficili esce ancora di più il genio creativo, emerge la bellezza, anche come salvezza, personale e di tutti.

L.B. - Veniamo a Monica Melcova, il 18 ottobre.

F.G. - Qui andremo alla Chiesa dei Ss. Bartolomeo e Stefano, dove c’è un organo Locatelli del 1884, restaurato oltre trent’anni fa. Non è in perfette condizioni, ma Monica Melcova ha comunque accolto la sfida. Sarà un programma tutto incentrato sulla tradizione francese, perché lo strumento è un tributo della nostra organaria alla scuola d’oltralpe, con la presenza di un numero strabiliante di strumenti ad ancia. E siccome quest’anno ci sono due grandi anniversari di musicisti francesi, quelli di Marchand e di Lefébure-Wély, la scelta è stata facile. Melcova è una grandissima interprete ed improvvisatrice, slovacca, ma insegnante in Spagna, al Musikene di San Sebastian, una scuola d’eccellenza per l’improvvisazione, succedendo al grande Loic Mallié, già nostro ospite. La richiesta di aprire attraverso il Festival ad altri strumenti in città è dell’amministrazione comunale. Ma non sempre è possibile, bisogna stare molto attenti alle condizioni in cui si trova l’organo. Certamente il coinvolgimento di uno strumento in una manifestazione di questa levatura non potrà che stimolare i proprietari.

L.B. - Finale con il botto il 25 ottobre: Ton Koopman, che inseguivate da anni.

F.G. - Sarà a S. Alessandro della Croce in Pignolo e temo ci sarà tantissima gente perché è una delle poche date di Koopman in Italia. Stiamo parlando del numero uno al mondo per quanto riguarda la musica barocca, siamo onoratissimi di averlo. Lo stavamo inseguendo da quindici anni e stavolta, per tutta una serie di fortunate coincidenze, ci siamo riusciti. La cosa che mi fa molto piacere è che suonerà sull’organo dove è nato il Festival, quello in Pignolo, che è la nostra sede storica. Lo abbiamo coinvolto per ricordare l’imprenditore Silvio Albini, una figura molto importante per il Borgo e per tutta la città. Koopman è il riferimento vivente di quella che oggi viene chiamata “esecuzione storicamente informata”: si parte dai manoscritti, dai testi originali, e la musica viene proposta nel modo più fedele possibile alla partitura, senza ‘intermediari’ e ‘revisori’ accumulatisi nei diversi secoli.

L.B. - Qualcosa abbiamo già detto, infine, sul pubblico. Ma credo sia interessante saperne di più. Che tipo di pubblico frequenta il Festival Organistico Internazionale?

F.G. - Come le dicevo fino agli anni ottanta il pubblico dell’organo era un pubblico di nicchia. Il nostro non lo è per niente. Abbiamo ribaltato la prospettiva, chiamando a noi chiunque fosse interessato alla musica, quindi anche i non esperti, cercando di spiegare loro perché un musicista fa questa cosa, perché suona quest’altra, come la suona, cosa c’è dietro, creando curiosità e consenso. Fin dai primi anni il pubblico è stato numeroso, la novità è piaciuta subito. Oggi facciamo numeri impressionanti, impensabili quando iniziammo. E, cosa importante, abbiamo un’ottima presenza di giovani, intorno al 40% . Una cosa che mi dicono essere in piena controtendenza rispetto a tanti altri festival di musica classica. C’è da esserne orgogliosi.

Il programma completo del Festival è sul sito. A questo link è possibile scaricare la brochure.

http://www.organfestival.bg.it/

(grazie a Giulia Belotti per la collaborazione)