Un nuovo ep uscito il 21 giugno, titolo “CSDP”, e la presentazione domenica 6 settembre live all’Ink Club di via Carducci a Bergamo. Abbiamo incontrato Fede Rich Goat per un aperitivo en plein air all’Edoné e fare due chiacchiere sul suo percorso e sul disco. Davanti a uno spritz e a un paio di generose porzioni di patatine fritte il rapper bergamasco si è aperto a 360°, raccontandoci dei suoi inizi tra break e rime a cavallo tra piazza Dante e Ardens, dei suoi ascolti e delle sue ispirazioni e del perché per lui l’hip hop sia così importante.
LR: Quando e come hai iniziato a scrivere?
FR: È stato abbastanza naturale. A inizio liceo, grazie a giri di amicizie vari, assistetti a un giro di freestyle al campetto di Almenno pensando subito “che figo”. Poi ci fu la cogestione al Natta, con gruppi hardcore rap come Teste Complesse e Lumazzi, un genio del freestyle, e mi presi benissimo. Così decisi di provare, e mi ritrovai con un paio di amici a fare questa cosa. Iniziai a scrivere e registrare solo un paio di anni dopo però, perché sapevo di dover crescere e farmi un’idea più precisa di quale potesse essere la mia coscienza politica e sociale. Non volevo fare robe frivole e ignoranti, ma qualcosa di serio. Quello che sentivo proposto dal mainstream non mi entusiasmava del tutto, anche se con il senno di poi finisci con l’apprezzare anche quelle cose.
LR: Il tuo percorso passa poi da piazza Dante, luogo simbolo di Bergamo per quanto riguarda dell’hip hop…
FR: Nel 2013 conobbi Giovo Dust, e finimmo a fare freestyle in Piazza Dante insieme dopo una manifestazione studentesca. Pensammo che sarebbe stato bello riportare un po’ in auge quel luogo culto dell’hip hop bergamasco, quindi da lì l’idea fu di ricreare un giro hh incentrato sul freestyle che fosse un punto di convergenza per tutti i giovani interessati. Poi da lì venne automatico legarsi a posti come il Pacì Paciana, andare a Milano e Brescia sempre nel giro dei centri sociali. È stato veramente un bel periodo, anche se poi si è un po’ perso per vari motivi: vuoi perché la gavetta è diventata sempre meno importante, vuoi perché tiravano altre cose a livello musicale. Comunque è stato bello, perché in un ambiente per definizione abbastanza elitario e chiuso siamo riusciti a includere tanti ragazzi diversi senza nonnismi.
LR: Com’era il rapporto con i nomi storici della scena?
FR: Andando a registrare all’Ardens ho imparato moltissimo grazie a ragazzi un poco più grandi di me, che mi hanno insegnato a lavorare in modo più “professionale” e con strumentazioni più adeguate. Io inizialmente ero abituato a registrare tutto in one take, per cui mi hanno aperto un mondo. Dal punto di vista del live invece c’era quella “cosa” per cui dovevi essere abbastanza forte da guadagnarti il rispetto e poter fare l’evento o la jam con loro. Per carità, non voglio male a nessuno, però un po’ di merda l’abbiamo dovuta mangiare in questo senso qua.
LR: Hai parlato della necessità di trovare una tua coscienza socio-politica. Come ti collochi da questo punto di vista?
FR: Il fatto di aver frequentato ambienti autogestiti dai 16 anni in poi mi ha influenzato particolarmente. Ora come ora non saprei, non mi piace darmi troppe etichette. Considero molto di più il dialogo in casa e l’essere critici delle varie figure politiche. Una cosa che ho maturato negli anni – e lo dico con il senno di poi, lo studio mi ha aiutato tanto da questo punto di vista – è che in passato ho appoggiato lotte e manifestazioni che ora non mi rappresentano più. Quindi mi chiedo: allora ero convinto o semplicemente trascinato? Ma penso che faccia parte di un percorso di crescita individuale di ciascuno. Quindi vado a votare e tutto quanto, ma non ho la bandierina in mano.
LR: A livello di ascolti cosa ti ha influenzato di più?
FR: All’inizio facevo break su cose di cui ignoravo l’autore, per poi magari ritrovarle anni dopo e dire “ecco!”. Quindi diciamo che tutta la roba funk di fine anni ’80/inizio ’90, da Eric B e Rakim a Kool and the Gang o James Brown, l’ho respirata tanto. Quando ho iniziato a studiare hip hop seriamente, il nome che inizialmente mi ha intrippato più di tutti è stato Eminem. Mi gasava molto che nelle sue interviste, spiegando il motivo per cui aveva iniziato a fare rap, rispondesse “perché volevo essere rispettato”. Mi ci ritrovo molto in questa cosa; senza millantare esperienze assurde, tante volte l’avere appiccicata l’etichetta di “rapper” può rendere anche soggetti a prese in giro. Era uno stereotipo facilmente attaccabile, e io volevo dimostrare di saper fare quella cosa senza essere solamente uno che si atteggiava. Il tutto mi gasava molto: anche nel nostro giro di amici, fare freestyle era comunque qualcosa in cui dovevi dimostrare di essere più bravo degli altri in qualcosa, con una sana competizione. Io non sono mai stato un asso in qualche sport particolare, e mi sono trovato bene in quella dimensione lì.
LR: Tornando alle influenze, nulla di italiano?
FR: Tornando alle influenze, in ambito italiano mi piacque tantissimo l’Xtream Team perché riuscivano a venderti facilmente una cosa molto difficile tecnicamente. Poi la scena romana, Machete eccetera, era il periodo in cui erano ancora molto indipendenti e c’era ancora quella sensazione per cui era possibile spaccare restando nell’underground. Poi approfondito anche il rap più impegnato: Assalti Frontali, Inoki, Signor K, giro Unlimited Struggle, Blu Nox, o anche cose più ignoranti tipo i Fratelli Quintale.
LR: Parliamo un po’ del tuo disco: quando sono nati i pezzi?
FR: Il più vecchio credo sia del 2017. Sono tutte tracce che – a parte “Sogno” che è più romantica e personale – avevo già fatto in sede live. Erano tutte strofe che avevo scritto su altri beat, ma siccome non mi andava di buttarle fuori come singoli/video ho preferito raccoglierle in un “progettino” che racchiudesse tutto. L’acronimo “CSDP” sta per “ci si deve pensare”, che ha una tripla valenza: anzitutto non avevo un’idea precisa di come chiamarlo, poi è stato un progetto abbastanza lungo e ponderato, e infine è una piccola presa in giro perché non c’è dietro nessun concept. Non è che siccome ci ho messo due anni per realizzarlo debba essere per forza super impegnato. Poi la mia scrittura è molto istintiva, scrivo di getto sul treno o prima di andare a dormire, tutto sul cellulare. Quindi il titolo è anche un po’ un ossimoro.
LR: Domanda idiota ma sono curioso della risposta: un lettore che non ascolta hip hop perché dopo aver letto questa intervista dovrebbe aver voglia di sentire il tuo disco?
FR: Guarda, non è affatto una domanda stupida. Nel disco ci sono dentro pensieri e paure di un ragazzo normalissimo. Non ho la pretesa di essere Dio per qualcuno, ma penso anche di non meritarmi di essere additato come un cretino o un cazzone. Spero che si senta, e lo dico senza volermela assolutamente menare, che comunque dietro al disco c’è una ricerca sul linguaggio e sulla parola, sull’inserire citazioni anche culturali di un certo tipo (film, libri o quant’altro) o raccontare situazioni quotidiane. Poi non so come possa venire recepito da altre generazioni. Per dire, i miei genitori non hanno mai ascoltato nulla di mio. Mio papà ha sentito giusto una volta per puro caso il mio pezzo “Scusa le Skillz”, e mi ha detto “oh, suona bene”. Però voglio dire, lui è uno che si ascolta la PFM e simili, insomma musica fatta in un certo modo, non rap. Ma ad ogni modo spero che la spontaneità nel raccontare ricordi di infanzia, oppure sensazioni nella mia quotidianità, si avverta lo stesso. La mia ambizione è un po’ quella.
Programma della serata
19:30 aperitivo + Dj set a cura di Dj Edo
21:00 show case T Shake U-Max
21:20 show case Anima Flacko
21:40 show case Joe Cagliostro
22:00 live Fede Rich Goat + guests
23:00 Dj set Joe Cagliostro
L’ingresso è gratuito (con tessera Arci) previa prenotazione tramite mail all’indirizzo [email protected] e specificando di voler vedere il live con dei posti davanti al palco.