Primo appuntamento con una nuova rubrica di Eppen: #fareserata. Ogni mese chiederemo a un personaggio famoso di Bergamo come trascorre il tempo lontano dal lavoro. Consigli, suggestioni, abitudini inaspettate, ricordi ma soprattutto un modo diverso per conoscere le persone dietro i personaggi e lontano dai riflettori. Partiamo da Tiziano Incani, in arte il Bepi.
“Facciamo serata?” Per il Bepi la risposta è, quasi sempre, un secco: “No”. Il cantautore orobico è un orso, e raramente esce se non per lavoro. Quando lo raggiungiamo al telefono è a camminare con il cane, a Barbata, fra Colzate e Chignolo. Le passeggiate sono uno dei pochi motivi per uscire di casa, ma non è sempre stato così. Nei turbolenti anni della prima giovinezza, le serate del Bepi – o per meglio dire di Tiziano Incani – tracciano una mappa dei locali che furono della provincia bergamasca e della Val Camonica. Ora invece ama la montagna.
Montagna
Non sono il classico amante della montagna che si informa, prende la macchina, va lontano. Non mi piace alzarmi presto e detesto tutta la fase preparatoria per andare in montagna. Ho la fortuna di avere belle passeggiate anche fuori casa, a Rovetta. Fino a Clusone conosco come le mie tasche anche le tracce. Per me è una forma di allenamento, io sono stato molto sportivo. Ho fatto arti marziali, basket, sci, nuoto, vent’anni di pesi... Poi mi sono rotto, mi annoio facilmente. Sono anni che cammino in montagna quotidianamente, con la scusa del cane. Mi sembra di fare una bella cosa anche per lui. Vado dove non c’è un’anima, sono abbastanza asociale.
Asociale
Sono fatto così, lo hanno imparato anche le persone che mi sono vicine. Non vado neanche sentire musica dal vivo, esco solo quando suonano dei miei amici, ma di base non ho mai voglia. È un difetto, lo so. Apprezzo molto certe serate a casa con ottima cucina e del gran vino.
Cinema
Sono negato, faccio anche delle pessime figure perché non sono per niente aggiornato. Mi hanno portato a vedere “Transformers 4” all’Arcadia di Melzo. Una tragedia. L’ultimo film che avevo visto al cinema era “Salvate il soldato Ryan”. Ho ammirato gli incredibili passi in avanti della tecnologia, ma sono state tre ore di smaronamento.
Rovetta
È il mio baricentro. Ma avendo studiato a Lovere (Liceo Classico “Decio Celeri”) nell’età cruciale mi sono spostato sul Sebino: Lovere, Cosata Volpino, Pisogne. Andavo a ballare alla discoteca Capital di Pisogne, ma ero asociale anche venticinque anni fa e ci andavo da solo, non ricordo di avere mai conosciuto nessuno. Arrivavo al punto di dormire dopo cena, svegliarmi alle 23.30 uscire di casa e tornare alle 4, senza avere nessuno al fianco. Mi ero follemente innamorato di una tipa che ballava in pista e che mai saprei riconoscere.
Ballare
Mi piaceva proprio il gesto atletico, la dance. Nei miei tre anni discotecari ho apprezzato i derivati dalla break dance, con gente che ballava benissimo. Mi studiavo i passi a casa.
Lago
Del lago ho ricordi nostalgici del liceo. Aspettavo la mia morosetta che arrivava da Pisogne col battello Iris, che emergeva dalla nebbia del lago. Ricordo il parco di Pisogne, sempre con la morosa di allora.
Bar di paese
Il mio inserimento in paese è sempre stato difficile. Non sono di compagnia e pago questo mio atteggiamento. Non frequentavo i bar del paese perché già suonavo e cercavo posti dove farmi le ossa, in Seriana o in Val Camonica. Tutte le mie storie viravano sempre verso la val Camonica, mi trovavo bene, trovavo più ingaggi. Negli anni Novanta ho fatto il DJ al Con Fusione di Borno (ex Meeting, ex Impossibile, discoteca storica poi birreria, forse ancora aperta) che era gestito dalla mia amica Francesca, scomparsa qualche anno fa nel sonno, senza un perché. Ho suonato anche al Rooster di Bienno, che oggi di sicuro non esiste più.
Karaoke
Ricordo che vinsi appena ventenne una gara di karaoke al Jammin’ di Valbondione, oggi credo sia rimasto Ristorante Baci. Cantai “L’amore rubato” di Luca Barbarossa, ma soprattutto “Night Fever” dei Bee Gees. Con i soldini del premio io e il mio amico Paolo ce ne andammo a fare il Capodanno a Rovaniemi, in Lapponia…
Bergamo
Ci vengo poco, anche se subisco il fascino di Città Alta. Ma è lontana trentasette chilometri e c’è troppa gente trendy per i miei gusti. Mantengo una distanza istintiva, perché c’è una grossa differenza di mentalità e usi dalla provincia. Tra le mie poche uscite vado a mangiare la pizza nella trattoria di paese, dove trovo sempre quelle quattro persone che parlano solo ed esclusivamente dialetto. Io sono più a mio agio lì, con quell’aria da osteria. Non si può ricreare questa atmosfera in città. In certi locali di Bergamo mi parlano in bergamasco perché si sentono in obbligo. Quand’è così, per levare tutti dall’imbarazzo, faccio presente che lo capisco l’italiano. La gente mi riconosce e mi fa piacere, ma mi associano al dialetto. Mi guardano come uno che ha parcheggiato il cavallo di fuori, anche se spesso lo fanno con affetto.
Scendere dalla valle, andare a Bergamo e smascherare certo provincialismo da “city”. Grazie Bepi.