Chi pensa che la musica per organo sia un qualcosa «da vecchi» o da specialisti, dovrebbe partecipare ad una delle serate del «Festival Organistico Internazionale “Città di Bergamo”». Che da trent’anni porta in città i più grandi esecutori di musica per organo. Uno strumento tanto complesso da suonare quanto capace di creare atmosfere straordinariamente affascinanti. Della storia del Festival e dell’edizione di quest’anno abbiamo parlato con il suo Direttore artistico.
LB: Galessi, il «Festival Organistico Internazionale “Città di Bergamo”» compie 30 anni. La prima volta fu nel 1992. Invitaste il grande organista francese Jean Guillou (scomparso nel 2019, ndr) a suonare sull’organo Serassi della Chiesa di S. Anna, chiedendogli d’introdurre nella programmazione del suo concerto l’improvvisazione estemporanea. Che ricordi ha di quell’inizio?
FG: Indelebili. Come fosse ieri. Anche perché l’intuizione alla base di quella proposta è stato il pilastro fondante su cui s’è poggiata tutta la storia del Festival. Fu inoltre l’inizio di una lunga storia d’amicizia con Jean – io, giovane ingegnere col pallino della musica, lui, un genio inarrivabile – che m’ha profondamente colpito: tanto in pubblico appariva una “star”, sfiorando il mito del “superuomo”, quanto in privato era di un’affabilità e disponibilità uniche. Di quella sera ricordo lo stupore nei visi delle tante persone intervenute, fra cui il mio caro maestro Luigi Rossi, organista in Sant’Anna, che davvero s’entusiasmò come un bambino, fino a commuoversi. Lui era uno dei pochissimi che ancora conosceva e praticava quell’arte nella liturgia. Sentirla in concerto, finalmente, fu quasi un’esperienza catartica.
LB: Allora l’improvvisazione, nelle chiese e nei conservatori, non si faceva più da cinquant’anni. Come mai?
FG: Sì, è così, fra le due grandi guerre cominciò una tendenza che dopo il 1945 divenne stabile. In negativo. Anche nei programmi ministeriali dei Conservatori sparì. Eppure l’improvvisazione è alla base del linguaggio musicale in tutte le epoche: ce lo spiegherà molto bene Giovanni Bietti nella sua conferenza di giovedì 22. In molti paesi non è infatti mai venuta meno, anzi, è considerata tra le discipline indispensabili per formare qualsiasi musicista. Da sempre.
LB: In questo senso foste dei grandi innovatori…
FG: Innovatori? Sì, forse. Volevamo solo ribaltare la prospettiva. Il contesto organistico in cui nascemmo era quello della filologia più esasperata, che confondeva la doverosa conoscenza delle fonti con l’imporre “metodi” d’esecuzione che alla lunga appiattivano la creatività ed il ruolo, per noi centrale, dell’interprete. Noi volevamo mettere al centro la personalità dell’esecutore, il suo carisma, il suo saper dire qualcosa di unico, hic et nunc. Come del resto succede in tutte le sale da concerto per qualsiasi altro strumento. E l’improvvisazione su tema dato è la sublimazione perfetta di questo concetto: creatività allo stato puro (frutto di studi rigorosissimi), specchio dell’anima e della sensibilità del musicista. L’organo diventa così una macchina meravigliosa per fare Musica, di qualsiasi epoca e foggia esso sia, senza limiti. Ma pur sempre una macchina. Ciò che conta è chi lo suona.
LB: Ma avete poi dato il via a una tendenza che si è trovata anche in altri festival?
FG: Per l’Europa non era una novità, per l’Italia sì. A distanza di trent’anni ciò che ci veniva contestato come “eretico” oggi è preso a modello, e spesso imitato. Rimaniamo comunque ancora l’unico festival italiano che dedica così tanto spazio ad arti come l’improvvisazione e la trascrizione.
LB: L’anno dopo cominciò ufficialmente il «Festival Organistico Internazionale». Individuaste nell’Organo Serassi 1860 della Parrocchiale di S. Alessandro della Croce in Pignolo lo strumento giusto per l’idea di Festival che avevate in mente, idea che poi arrivò anche ad altri organi del nostro territorio. Ce la può raccontare?
FG: Il grande Serassi 1860 di Pignolo è uno strumento meraviglioso, e l’acustica della chiesa è perfetta. Era appena stato restaurato. Pur essendo un organo figlio d’una ben precisa epoca, pensato per uno specifico repertorio (l’Ottocento italiano), per la sua qualità fonica e la sua dimensione ci pareva fosse lo strumento ideale per affrontare quel cammino di apertura e conoscenza a molti altri repertori, spiegando ovviamente al pubblico (per scritto, con approfondite note ai programmi) quello che si stava facendo. E il pubblico l’ha capito in fretta. Questo era l’altro grande obiettivo: dimostrare che la musica d’organo non è un linguaggio da cerusici o iniziati, ma una musica popolare, che tocca il cuore e le menti degli uomini senza una preparazione specifica.
LB: In trent’anni nel nostro mondo sono cambiate tante cose, ma il «Festival Organistico Internazionale “Città di Bergamo”» ha superato tutti questi cambiamenti. Come? Cambiando anch’esso o ponendosi come una garanzia di qualità imperitura per gli ascoltatori?
FG: D’imperituro credo non ci sia nulla nella vita. Il nostro percorso penso lo dimostri. Dopo quattro anni in Pignolo il Festival s’è allargato ad altri strumenti (su preciso invito del Comune di Bergamo, visti i lusinghieri risultati) e, ad oggi, ha avuto nella sua “disponibilità” dieci strumenti cittadini, presentando oltre 4 secoli di musiche, in particolare facendo conoscere il grande repertorio sinfonico e novecentesco. Per primi in Italia abbiamo lanciato tante sfide, poi riprese da molti: penso alle improvvisazioni su immagini, su film muto o su testi letterari, le contaminazioni con il jazz (Barbara Dennerlein, Wayne Marshall), le maratone.
LB: E gli ascoltatori come sono cambiati?
FG: Il pubblico cambia con noi, come deve essere, come le stagioni della vita. Per colpa del Covid, due anni fa abbiamo introdotto le dirette su YouTube. Chi mai avrebbe pensato che queste avrebbero ulteriormente allargato gli orizzonti? Oggi l’obiettivo primario è promuovere Bergamo e il Festival oltre confine in vista del 2023, quando Bergamo sarà Capitale della Cultura. L’operazione del 19 marzo scorso, un film interamente girato a Bergamo in occasione di un concerto singolarissimo – una sfida d’improvvisazione tra due grandissimi docenti – proiettato al «1° Festival Internazionale Organistico Online» di Monaco di Baviera, va in questo senso.
LB: Veniamo all’edizione di quest’anno. Non comincia con un concerto, ma con una relazione del musicologo Giovanni Bietti, «Improvvisazione: la libertà rigorosa».
FG: Chi, amante della buona musica, non conosce Giovanni Bietti? Credo pochi. Bietti è la voce di «Lezioni di Musica», un programma radiofonico su Rairadio3 a cadenza settimanale nel quale vengono “spiegate” e vivisezionate le partiture più complesse, facendo anche esempi dal vivo al pianoforte, rendendo fruibile al grande pubblico ciò che ad una prima occhiata può non apparire tale, e per questo intimorisce i più, facendoli allontanare. Non le ricorda nulla questo approccio? È, in piccolo, il nostro, da trent’anni. La musica va divulgata, spiegata, fatta amare. Noi siamo profondamente lusingati che Giovanni Bietti abbia accolto il nostro invito a celebrare il nostro percorso trentennale. Chi ancora ha qualche perplessità sull’importanza dell’improvvisazione nel corso della Storia della Musica venga ad ascoltare la conferenza di giovedì 22 al Donizetti. Ne rimarrà affascinato.
LB: Lei è un ottimo narratore dei programmi che il Festival propone. Proviamo a percorrere brevemente il programma di quest’anno, a partire dal concerto di venerdì 23 settembre in Cattedrale di Jean-Baptiste Dupont?
FG: La premessa di quest’anno sta nel titolo dell’intera edizione: «Improvisation & Friends». Per festeggiare abbiamo infatti riunito a Bergamo personaggi oggi di grande spicco che da qui erano già passati da giovanissimi, spesso come vincitori di Concorso, tenendo Bergamo e il nostro Festival nel cuore. A livello artistico, oltre all’improvvisazione, abbiamo tenuto conto anche del duecentesimo anniversario di nascita di Cesar Franck, padre della sonata ciclica e del sinfonismo francese, ma abbinandolo sempre a situazioni imprevedibili e per certi versi sorprendenti. Dupont, per esempio, titolare della grande Cattedrale di Bordeaux, magnifico improvvisatore e trascrittore presenta un trittico che a prima vista pare disomogeneo: Bach – Franck (2° Corale) – Stravinsky. Eppure… In omaggio a Bergamo Jean-Baptiste porterà una sua “premiere”, la trascrizione della prima Suite per orchestra di J.S. Bach. Si deve sapere che nel periodo di Kothen, Bach scrisse moltissima musica strumentale ispirata agli stili dei paesi vicini che aveva studiato: i Concerti Brandeburghesi dagli italiani, le Suite dai francesi, in particolare dai “balletti” portati alla perfezione stilistica da Jean-Baptiste Lully. E i fantasmagorici tre «Mouvement de Petroushka» di Igor Stravinsky, non sono forse tratti da un balletto omonimo, voluto da Daghiliev, scritto per i suoi «Ballets Russes» a Parigi? Et voilà, ecco un programma che nel nome della danza si tinge improvvisamente tutto di parigino, chiuso da un’intera Sinfonia improvvisata in 4 tempi – su temi dati dal pubblico – in rigoroso stile sinfonico francese. Da non perdere.
LB: Una settimana dopo arriva Karol Mossakowski, alle Grazie. Classe 1990, ha un account Instagram. Sfatiamo il mito: gli organisti non sono vecchi polverosi, ma musicisti intrepidi che amano la sfida: governare uno strumento che, a mio giudizio, è la cosa più simile che esista a un “grande animale”…
FG: Condivido, avere a disposizione decine e decine di registri con cui puoi inventare gli impasti sonori più disparati è una sfida esaltante. Puoi passare dal ruggito distruggente alla supplica più commiserevole. La cosa ancora più bella è che ogni organo è unico, e quindi la preparazione del concerto diventa una sfida nella sfida. Karol in questo è un mostro… di bravura. Questo giovane ha vinto, ex-equo, «Chartres 2016». In questi sei anni ha raggiunto traguardi pazzeschi: è l’organista in residence di Radio France, nella cui hall esiste un fantastico organo Grenzing da concerto, è organista della Cattedrale di Lille, insegna già ad altissimo livello improvvisazione, al Musikene di San Sebastian, una cattedra tenuta da personaggi del calibro di Loic Maillé o Monica Melcova. In programma, al fianco di Franck, lui suonerà musica tedesca romantica d’estrazione pianistica. Forse pochi sanno che Franck era ammiratissimo come compositore da Franz Liszt e da tutto il mondo accademico tedesco, ben prima dei successi ottenuti alla tribuna del grande organo di Saint-Clotilde…
LB: Il 7 ottobre è la volta di Gerben Mourik, olandese. Cosa ci dice il fatto che tra il 2012 e il 2015 abbia pubblicato la serie di CD, acclamata a livello internazionale, «Audite Nova», nella quale ha presentato dieci organi neo-barocchi (costruiti tra il 1950 e il 1975), attraverso un’ampia selezione di musica e improvvisazioni del XX secolo?
FG: Ci dice che è un grandissimo esploratore dei nuovi linguaggi, a partire da quelli influenzati dalla storica Orgelbewegung (riscoperta della purezza dell’organo barocco per approcciare la chiarezza della polifonia) fino alle sperimentazioni più ardite. È un musicista completissimo, di una creatività spesso stupefacente. Bellissimo sarà vederlo alle prese proprio con il Serassi di Pignolo affrontando autori del Novecento olandese e, su nostra richiesta, il Franck minore, quello dei «Pieces per harmonium» della raccolta postuma «L’Organiste». Il tutto intervallato da ben tre improvvisazioni. Ci sarà di che divertirsi.
LB: Martin Baker, il 14 ottobre, viene considerato dalla critica un grande improvvisatore…
FG: Sì, ha infatti vinto nel 1997 il concorso di St. Albans e per questo venne a Bergamo l’anno seguente. E lo è assolutamente ancora. Ma ciò che più conta è che in questi venticinque anni Martin è diventato un personaggio leggendario per la Musica Sacra tout court. È stato infatti, fino allo scorso anno, il manager musicale dell’intera Cattedrale di Westminster, dirigendo il suo magnifico coro in giro per tutto il mondo. Un musicista che ha acquisito un’esperienza di linguaggi e stili enorme, tutti regolarmente travasati nelle sue improvvisazioni. Mi piace anche segnalare un fatto diventato in questi giorni cronaca. Nel suo programma, ricco di autori inglesi, Martin aveva previsto in tempi non sospetti la Marcia «Orb and Sceptre» di William Walton, cioè la musica appositamente composta nel 1953 per l’incoronazione della Regina Elisabetta II… Diventerà il tributo emozionante di tutta la Basilica di Santa Maria Maggiore ad un personaggio che ha segnato un’epoca.
LB: Il 21 ottobre invece arriva Juan de la Rubia, organista residente della Sagrada Família di Barcellona, noto per le sue interpretazioni di Johann Sebastian Bach e le sue improvvisazioni in stile barocco…
FG: E non solo. De la Rubia è un altro musicista piuttosto eclettico. Vero, nelle improvvisazioni predilige la forma barocca. Lo si evince anche dall’apertura del programma in San Bartolomeo (una ouverture in stile francese e una partita su un Corale). Ma poi… possiamo dire che il concerto di Juan è il più “storicamente informato” di tutti: su organo d’ispirazione francese come il Locatelli 1884, suona autori francesi coevi di Franck, e intervalla miniature improvvisate che richiameranno le composizioni appena eseguite.
LB: La chiusura, il 28 ottobre, sarà con un duo: Jurgen Essl e Jeremy Joseph. Che si cimenteranno in un’improvvisazione a due organi. Ci può spiegare quali differenze ci sono con un’improvvisazione di un solo organo?
FG: Una differenza enorme, sostanziale. L’improvvisazione su un organo è un processo mentale dell’organista che in una frazione di secondo pensa alla direzione che vuol dare alla composizione in quel momento, la sua struttura, il giro armonico. Quando ad improvvisare si è in due, qualsiasi strumento esso sia, pensi al jazz, la cosa più importante è intuire il percorso dell’altro. Spesso ci sono codifiche, ma l’abilità è proporre e rispondere in accordo con l’altro. Questo è avvantaggiato dalla vicinanza fisica dei musicisti. Un trombettista può vedere anche negli occhi il suo pianista, non solo ascoltarlo. Bene. I due organi della Cattedrale, il Corna, sinfonico, e il Bossi, del 1842, sono “opposti”. Gli organisti non si vedranno. Saranno in ascolto l’uno dell’altro. E improvviseranno su temi scelti da loro 10 minuti prima fra quelli donati dal pubblico. Una sfida enorme, un vero regalo ai nostri trent’anni.
LB: Per chiudere vorrei che mi togliesse una curiosità: le improvvisazioni finali dei vari concerti nascono dai famosi “bigliettini” del pubblico che vengono raccolti e ispirano l’esecutore. Ciò significa che il pubblico del Festival è musicalmente preparato, giusto? Ma al contempo ai concerti possono partecipare anche chi non ha una preparazione musicale. Ci suggerisce, per questo ultimo tipo di pubblico, quale sia la “strada” ideale per fruire al meglio di un concerto d’organo?
FG: Ne abbiamo parlato fra le righe prima. Il primo approccio deve essere sensoriale, di predisposizione a conoscere qualcosa di nuovo, e che magari fino ad allora “faceva paura” perché «di queste cose non capisco nulla». Lasciarsi avvolgere. Ma al contempo va fatto un lavoro didattico e divulgativo che con semplicità dia delle chiavi di lettura su quello che si sta ascoltando. Le nostre «Note al programma», che prepariamo per ciascun concerto da trent’anni, sono state la vera chiave del successo di questa manifestazione. Spesso chi arriva in chiesa disdegna la brochure e vuole le note che, seppur scritte troppo in piccolo – mi rimproverano sempre – diventano un’inesauribile fonte di curiosità e spunti, che poi l’ascoltatore potrà approfondire da solo a casa, su internet, sui libri. In trent’anni abbiamo creato un pubblico totalmente nuovo, giovane, attivo, preparato al Bello. Questa è la vera sfida vinta.