Ore 7 e 17. Lorenzo sbadigliò due volte e nemmeno la scarica di Heavy Metal che giungeva dalla radio riuscì a dargli una scossa.
“Non riesco a capirti” disse al figlio. “Ieri hai voluto stare da me e poi sei via tutto il pomeriggio…”
Ero in biblioteca a studiare, replicò Riccardo.
“…la sera non ti fai vedere…”
Ero a judo.
“…e la mattina mi fai svegliare all’alba per portarti a scuola.”
C’è lo sciopero dei bus, papà.
Lorenzo tagliò corto con un gesto della mano.
Ormai siamo qui.
“Ieri ho chattato con un’amica di Firenze” disse il ragazzo, cambiando argomento. “Mi ha raccontato delle discoteche della sua città.”
Lorenzo non disse nulla ma abbassò la musica.
“Perché a Bergamo non ci sono discoteche?”
Lorenzo si grattò la testa.
“Quella discoteca dove sono venuto a prenderti la settimana scorsa non è in città?”
È a Orio.
Lorenzo rimase sorpreso.
“Quindi niente è cambiato in tanti anni” commentò.
“Ci sono dei disco pub” spiegò Riccardo. “Ma non sono vere discoteche”.
Dunque, papà: perché non ci sono discoteche a Bergamo?
Il padre obiettò che Riccardo aveva sempre detto di odiare le discoteche.
“Allora perché ti interessa?”
Curiosità, replicò il ragazzo.
Lorenzo disse che essere curiosi è positivo.
“Lo sapevi che Bergamo” chiese “durante la seconda guerra mondiale non è mai stata bombardata?”
Gli alleati scaricarono bombe su Milano e Brescia ma non su Bergamo. Solo Dalmine.
Per via delle acciaierie.
“Cosa c’entra con le discoteche a Bergamo?”
Un pochino di pazienza, Ricky.
Quello che stava per dirgli stava a metà tra la leggenda e la diceria popolare, ma era una cosa che a Bergamo tutti sapevano e che nessuno aveva mai smentito.
Il viso di Riccardo si fece più attento: come si dice, era tutto orecchi.
Lorenzo raccontò che, durante la guerra, a Bergamo tutti erano preoccupati per i continui raid da parte degli “alleati” (americani e inglesi) – chiamati bombardamenti strategici e fatti per fiaccare la resistenza di fascisti e nazisti – e sembrava che dovesse toccare anche a loro da un momento all’altro; costruirono perciò rifugi antiaerei d’ogni tipo (la galleria di Viale Vittorio Emanuele non è altro che un grande ex rifugio anti aereo).
Naturalmente, chi doveva pregare lo fece: pare allora che il Vescovo di Bergamo abbia fatto un Voto alla Madonna perché Bergamo venisse risparmiata dalle bombe. In sostanza, per richiamare l’aiuto divino il Voto impegnava Bergamo a non costruire mai discoteche in città.
“Perché le discoteche?” chiese Riccardo.
“Prima di tutto io credo il termine discoteca sia moderno, forse nato negli anni Sessanta”.
Durante gli anni Quaranta, probabilmente, erano i cosiddetti locali notturni.
“E credo” continuò Lorenzo “che li usarono per il Voto alla Madonna perché allora quel tipo di luogo era visto come qualcosa di peccaminoso”.
Sembra una favola, disse Riccardo con aria dubbiosa.
“Può essere, Ricky”.
“Ma resta il fatto che a Bergamo, ancora oggi” insistette Lorenzo “le vere discoteche non esistono”.
E, soprattutto, che la città non fu bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale.
Riccardo pareva soddisfatto.
“Erano così importanti le discoteche quando eri giovane?” chiese.
Lorenzo rise in modo gioviale.
“Non erano solo dei posti dove ascoltare musica e ballare”.
Ci si andava per conoscere gente nuova – ragazze, disse facendo l’occhiolino – incontrare gli amici, bere dell’alcool per sentirsi un po’ grandi o per sciogliere le inibizioni giovanili. Ci si misurava con gli altri, si imparava a far valere la propria individualità. Ed essendo luoghi avvolti dal fumo – fumare dentro i locali era permesso – e dall’oscurità, emanavano anche un po’ di fascino proibito.
“Anche quello faceva parte della crescita”.
Riccardo gli chiese di raccontare ancora.
“La mia prima discoteca” partì Lorenzo mentre nei suoi occhi si accese un vivido bagliore “si chiamava Gech Gech e stava a Curnasco di Treviolo, nella zona industriale”.
Ai suoi tempi era un posto molto frequentato. Lorenzo aveva quindici anni. Ottenuto il permesso di andarci – dovetti implorare tuo nonno in ginocchio e promettendo tutto quello che potevo – si vestì secondo i canoni di quegli anni: jeans stretti e sdruciti, giubbotto di pelle stretto in vita e scarpe sportive.
Ci arrivò con un compagno di classe, sul suo Bravo – uno dei motorini in voga, insieme al Ciao – e quando arrivarono davanti al capannone si sentì emozionato e in procinto di entrare nel tempio della musica e del ballo.
Ci tornai per un concerto di Vasco Rossi, allora astro nascente.
Passò un po’ di tempo prima che tornasse in una discoteca, esattamente a diciassette anni.
“Quando iniziai a frequentare i fighetti”.
La loro discoteca preferita era il Bla Bla, a Scanzorosciate. Un seminterrato piccolo ma molto accogliente frequentato da ogni compagnia di paninari o fighetti – che dir si voglia. In un certo senso, era il territorio neutrale dove avvenivano gli scambi di saluti ma anche gli innamoramenti misti, ossia tra compagnie diverse. Il suo patron era Franco Mussita del quale ti ho già parlato a proposito dei gruppi Rock.
“Ricordo che il momento clou era il sabato pomeriggio e che tutti ci arrivavano in motorino, moto – ovviamente solo 125, data l’età media che era di sedici anni – o addirittura in autobus.”
Un’altra discoteca che Lorenzo frequentava spesso in quegli anni era il Motion Unlimited a Madone, un ex cinema che, oltre a essere una fantastica grande discoteca, aveva anche ospitato negli anni dei grandi concerti: i Soundgarden – ricordo ancora il concerto fu il 6 giugno 1989 – Doctor & the Medics, Litfiba, Ligabue ed Eugenio Finardi.
Se il Bla era il rifugio dei paninari, il vero tempio dei fighetti era il Capriccio 2 a Castelli Calepio: un locale elegante, con luci discrete e musica disco molto ricercata.
Il Bobadilla di Dalmine – tuttora esistente – era ed è una discoteca molto chic dove si entrava con la tessera ma l’età media è sempre stata alta, quindi a quei tempi Lorenzo ci entrava in punta di piedi.
“Trovavo strano allora essere nello stesso posto a ballare con gente che aveva l’età dei miei genitori.”
Il patron Benvenuto era sempre in smoking e questo si rifletteva sull’atmosfera del locale, sempre molto elegante. Il martedì sera era chiamata la festa del segno e le donne non pagavano, quindi era pieno di donne che entravano gratis ed era pieno di uomini che ci andavano perché era pieno di donne.
“Anche al Boba, però, ci sono stati grandi concerti. Soprattutto Jazz.”
All’Antares di Albino invece si facevano feste e serate dedicate, era una discoteca frequentata in modo trasversale e con ottima musica.
La Vigna di Pontirolo era un altro gran bel posto: musica assordante ma disco di ottima fattura più i successi pop più attuali. La sirena suonava sempre a metà serata per caricare il pubblico. Il suo patron era Bobo che organizzava sempre serate molto divertenti. E a Zingonia c’era anche il Kit Kat Club.
“Anche grazie alla formula del bar libero”.
E non ti dirò altro, ammonì scherzosamente Lorenzo.
D’estate uscivamo dalla città e cambiavamo discoteche: lo Scaccomatto a Predore, tuttora esistente, e che chiamavamo solo Scacco, un bel locale sul lago con giardino e terrazze.
Invece, quando salivamo sulle nostre montagne, a Foppolo era obbligatorio andare al Cristallo o al Deux Alpes, mentre a Clusone era fisso l’appuntamento al Collina Verde.
“Non c’erano solo le discoteche dei fighetti” disse Lorenzo.
L’Anghelus era un’ottima discoteca, molto spaziosa, a Carobbio degli Angeli; il Quien Sabe di Albano era il regno di chi amava il liscio; il Capriccio 1 di Arcene era del proprietario di RTL, la più proprietà di una grande radio privata italiana, e ovviamente la sua programmazione seguiva quella dell’emittente radiofonica – c’era all’esterno un gigantesco ripetitore della radio; il XX Secolo stava a Seriate ed era gigantesco; lo Studio Zeta a Caravaggio e infine rimaneva il Meeting, considerato una discoteca di Bergamo perché era sulla Maresana ma forse era nel territorio di Ponteranica.
Quindi non fregava niente a nessuno della mancanza di discoteche in città perché erano comunque tante e dappertutto. Lorenzo disse di non ricordarle tutte, nemmeno quelle dove lui era stato.
“Ma ci andavi spesso?” chiese il ragazzo.
Lorenzo rispose che per alcuni anni anche quattro o perfino cinque giorni la settimana.
“Noi vivevamo fuori, stavamo sempre in giro, sempre con gli altri.”
A voi vi hanno fregato, caro Ricky: la tecnologia vi ha messo davanti agli schermi.
Il figlio rise ma con un’aria perplessa.
“Posso cambiare stazione?” chiese, cominciando a schiacciare tasti sulla radio.
Anche per questo dovresti ringraziare i vecchi come me.
Riccardo lasciò la manopola su, neanche a farlo apposta, “Radio Gaga” dei Queen.
L’espressione stupita di Riccardo obbligò il padre a spiegare la sua frase.
Fino agli anni Settanta le stazioni si contavano sulla punta delle dita. Non esistevano le radio private, e del resto neanche le televisioni private (ma questa era un altro tema).
Nel 1975 nacque Radio Milano International, la prima radio di un privato che cominciò a trasmettere, a diffondere musica o dialoghi grazie a un ripetitore, un’antenna, un mixer e una cassa.
“Nessuno aveva mai pensato a fare una legge per disciplinare il settore delle radio o delle televisioni fino ad allora solo statali”.
Così, quella radio di Milano generò una vera e propria ondata di nuove radio private che nel giro di pochi anni furono prima centinaia e poi migliaia. Arrivarono poi ripetitori più grandi e quindi crebbe la copertura delle radio e la loro diffusione. Insieme alle radio vide la luce la figura del DJ, ossia il Disc Jockey, quello che faceva “girare” i dischi. In una radio o anche una discoteca.
A Bergamo nacquero così molte radio: le prime furono Radio Alta, che ora è un’emittente importante; RTL che cominciò a trasmettere in Città Alta e fu la prima radio italiana a trasmettere in stereofonia; RTB (Radio Trasmissioni Bergamasche), Radio Bergamo, Radio Centro che trasmetteva da Chiuduno, Radio Lago 1 da Sarnico, Radio Atlantide che diffondeva solo musica però senza dj; Radio Millenote da Bergamo, anche lei solo musica e tuttora esistente; Radio Ponte, ovviamente da Ponte San Pietro; Radio Pianeta da Cividate al Piano e tante altre.
Negli anni Settanta e Ottanta chi ci lavorava era spesso un volontario, un appassionato che viveva con entusiasmo la fase pioneristica delle radio private. Organizzavano programmi nelle differenti fasce orarie con relativo tipo di pubblico. La pubblicità sulle radio private fiorì di fatto insieme a loro.
“Fermati qui papà.”
Ma Ricky…
Lorenzo accostò, facendo una smorfia contrariata.
“Mancano almeno cento metri al liceo”
Il figlio sorrise e scese. Prima di chiudere la portiera, guardò il padre.
“Sai come funziona alla mia età, papà.”
Genitori lontani.
“Grazie per la chiacchierata, papà.”
E stai tranquillo.
“Non sei palloso.”
Anzi!
Lorenzo osservò suo figlio raggiungere un gruppetto di amici e spense il motore: era in anticipo e gli era venuta voglia di ascoltare un po’ di musica.
Con lo pseudonimo di Max Dahl, Massimo Daleffe ha pubblicato i romanzi “Beau Rivage” (Gonzo Editore) e “L’arca” (0111 Edizioni).