Tra le realtà più valide e interessanti del panorama musicale bergamasco, i Vanarin tornano a un anno dal loro ultimo album breve “Ep2” con il nuovo singolo “Care”, che anticipa un nuovo disco. Si intitolerà “Treading Water” e uscirà per Dischi Sotterranei nel corso del 2021, con diverse novità rispetto al percorso del gruppo. Abbiamo fatto una bella chiacchierata con il cantante e frontman David Paysden, che ci ha raccontato genesi e direzione di questo nuovo lavoro tra spunti filosofici e infiltrazioni black, chiedendogli anche di partecipare alla nostra rubrica #cult.
LR: “Care” anticipa il vostro nuovo album “Treading Water”. Come è nato il disco, e che direzione avete seguito?
DP: Abbiamo preso una strada secondo me più introspettiva: ci sono più canzoni che si chiedono “perché?”, che provano ad andare più a fondo in discorsi anche filosofici, approfondendo pensieri che credo tutti abbiamo nella nostra vita. Insomma, non ci limitiamo alla solita canzone d’amore. Parliamo anche di social media e del mondo virtuale, della vita e della morte, del tempo che passa, dei successi e dei rimpianti. Abbiamo scelto “Care” come primo singolo perché crediamo sia una perfetta introduzione al disco. Parla proprio del tempo che passa: “Time is a missle”, non riesci nemmeno a battere le palpebre che la vita ti è già passata davanti. In questo senso affronta anche il tema del rimpianto, o più precisamente la realizzazione delle cose che non hai fatto, e dell’indifferenza (il ritornello dice “I don’t want to seem like I don’t care”).
LR: Lo scorrere del tempo e le opportunità perdute sono temi molto attuali vista la situazione sanitaria attuale. Quanto ha influito nella sua realizzazione il fatto che questo disco sia nato in lockdown?
DP: In realtà al tempo del primo lockdown eravamo già quasi a metà lavoro. È stato un grande colpo, anche se oggi ci siamo tutti abituati a portare le mascherine, non poterci muovere liberamente e non poter abbracciare i nostri cari. Chi avrebbe mai immaginato che avremmo vissuto una pandemia del genere nel ventunesimo secolo? Poi Bergamo è stato uno dei posti colpiti più duramente: vedere persone care o parenti di amici morire per il virus è stato difficile. Siamo riusciti comunque a portare avanti il lavoro nonostante tutto, ma sicuramente ha influenzato noi come tutti. È una cosa che ha portato ad avere tante giornate no, ad avere meno “spinta” e abbattersi di frequente. Ma se il risultato finale è stato inevitabilmente influenzato, non c’è stata nessuna canzone scritta “apposta” per il Covid.
LR: Tematiche come appunto lo scorrere del tempo, lo sfumare di tante opportunità, sono purtroppo molto attuali.
DP: Senz’altro. Ma sono comunque tematiche che tutti noi affrontiamo tutti i giorni, quando arrivi a una maturità in cui l’innocenza e l’ingenuità dell’essere ragazzini un po’ si sfumano, e ci si rende conto di cosa significhi vivere nel mondo reale.
LR: Il video di “Care” è molto espressionista nella scelta dei colori, e vive di questa continua contrapposizione tra il mondo mentale del protagonista e il grigiore dell’ambiente metropolitano che lo circonda.
DP: Ci tenevamo a creare qualcosa che riprendesse l’immaginario di un tramonto, perché per noi il disco è questo a livello visivo. È una persona seduta in cima a una collina, che osserva il tramonto scendere. Quindi colori caldi e oscurità, contrasto di luci: anche con il video abbiamo voluto catturare questa cosa. Abbiamo lavorato con Mirko Conte e Giovanni Pagani, ed è emersa questa idea di un viaggio metaforico di questa persona che non è chiaro se stia andando verso o stia scappando da qualcosa, in questo continuo conflitto tra mondo reale e immaginario.
LR: Nella vostra musica sono sempre più importanti le influenze black. So che tu sei un grande fan di Blood Orange e Tyler the Creator.
DP: Assolutamente, e anche di Steve Lacy, Mormor, insomma amiamo tutto quel movimento East Cost di nu-soul. Anche Frank Ocean e Toro Y Moi. Infatti non so quanto ci definirei ancora un gruppo alt-rock. Non credo che il rock ci appartenga più di tanto: sì abbiamo delle chitarre nelle nostre canzoni, ma ci definirei più alt-pop: mescoliamo r&b e soul a tutte quelle cose più britanniche.
LR: A livello di tuo cantato, è possibile che ci sia in futuro qualche infiltrazione rap, in continuità con questo discorso?
DP: Nel disco che verrà ci sarà qualche pezzo in cui toccheremo questa sfera. Quindi assolutamente sì. In realtà anche ai tempi del nostro primo disco ci eravamo già passati: c’è un pezzo funky in cui faccio una parte rappata, abbastanza anni ’80. Ma nel nuovo disco ce ne saranno diverse, a metà tra rappato e semi-cantato, ma sempre con quell’attitudine lì.
LR: Tornando alla situazione contingente: come pensate di promuovere il disco prossimamente, epidemia permettendo?
DP: La volontà sarebbe anzitutto quella di tornare a suonare in estate, se le cose migliorano abbiamo già qualche idea in ballo. Ci piacerebbe anche riprendere in mano il nostro tour, che avrebbe dovuto avere date in Germania e America. Sicuramente ci piacerebbe espandere un po’ il nostro territorio. In ogni caso l’idea è quella di suonare e farci sentire il più possibile.
LR: A te l’onore (o l’onere?) di rispondere alla nostra rubrica #cult.
#1disco
“Pet Sounds” dei Beach Boys
Un album che ci ha sicuramente influenzati moltissimo tutti e quattro. Lo ha fatto in un modo molto interessante, essendo Brian Wilson uno scrittore così particolare, per il periodo che era ma anche in generale. Abbiamo sicuramente preso un po’ della loro “pazzia” a livello di arrangiamenti, e nel modo di introdurre piccoli strumenti in piccoli spazi, facendo valere un certo tipo di sperimentazione.
#1film
“I Goonies” di Richard Donner
In sé non è un film che ci abbia ispirati a livello artistico, ma piuttosto ci ha legati come persone. È un film che conoscevamo già tutti ma che abbiamo anche visto insieme, e parla di questi amici anche un po’ improbabili che si mettono insieme a fare qualcosa: praticamente la nostra storia!
#1libro
“Alice in Wonderland” di Lewis Carroll
A me personalmente piace moltissimo come scrive e come si approccia al mondo Lewis Carroll. Questo libro poi è bellissimo perché è come se fosse una sorta di costante rivalutazione della realtà: Alice sta sempre guardando le cose da un punto di vista assurdo, e quando pensi di aver capito in realtà non hai capito niente, sempre in mezzo a questo mondo plasmato dalla follia. Quindi ci ha influenzati molto in questa fantasia artistica che poi cerchiamo di riversare nella nostra musica.
#1viaggio
Londra
È stato un viaggio che ci ha legati molto: qui abbiamo fatto una bellissima esperienza tutti insieme, per fare i master del nostro primo EP. È stato indimenticabile, abbiamo passato tre o quattro giorni in cui la nostra amicizia si è rafforzata e il nostro legame è diventato ancora più magico.