L’evento conclusivo di «Bergamo Jazz» 2022, domenica 20 marzo, sarà composto da due set in programma al Teatro Donizetti a partire dalle ore 21: aprirà la serata Michael Mayo, nuovo esponente del jazz vocale spruzzato di soul e hip hop, seguito poi dal progetto «Viento y Tiempo» di Gonzalo Rubalcaba & Aymée Nuviola. Il pianista, già ospite di passate edizioni di Bergamo Jazz, è uno dei più acclamati specialisti degli 88 tasti al mondo, nel cui stile il pianismo jazz si incontra con la florida scuola musicale cubana. Lei, vincitrice di un Latin Grammy nel 2018, è soprannominata “La Sonera del Mundo” ed è considerata l’erede di Celia Cruz.
Insieme, costituiscono la coppia del momento nel panorama della Latin Music: il loro sodalizio artistico è un omaggio alla musica cubana attraverso classici quali «Lágrimas Negras» di Miguel Matamoros, «Chan Chan» di Compay Segundo, ma anche di brani più recenti come «Viento y Tiempo» di Kelvis Ochoa, che ha dato il titolo all’album, registrato durante sei serate al Blue Note di Tokyo. Sul palco del Teatro Donizetti con Rubalcaba e Nuviola saranno presenti i musicisti Yunior Arronte al sax alto, Cristobal Verdecia al basso, Hilario Bell alla batteria, “Majito” Aguilera alle percussioni e i coristi Lourdes Nuviola e Alfredo Lugo.
Dietro all’album e a questi due artisti acclamati in tutto il mondo, che riempiono i palchi e vengono invitati nei programmi più illustri, c’è una storia bellissima che inizia con due mamme cubane, amiche, che accompagnano i figli al conservatorio di musica in una Avana degli anni settanta. Gonzalo e Aymée si conoscono da bambini, la musica della loro isola si è radicata in loro come il legame che li tiene stretti da sempre, fino a diventare due professionisti di fama mondiale.
La cantante, musicista, autrice e attrice Aymée Nuviola, come la musica della sua Cuba, incarna quella miscela di generi musicali. Nata in una famiglia di musicisti, i suoi primi ricordi sono al pianoforte. Più tardi, quando è diventata una pianista di formazione classica e compositrice diplomata al Conservatorio Manuel Samuell (la migliore accademia musicale di Cuba) torna a lasciarsi affascinare da tutti i generi musicali, da Debussy alla Bossa Nova, con influenze Classical, American Jazz, Cuban Son, Bolero e Fílin. Nuviola è anche una delle fondatrici del genere “Timba” e la prima donna a guidare una band “Timba” (un nuovo genere musicale cubano simile alla salsa, ma con dei caratteri peculiari) in tutto il mondo. Nelle sue ultime produzioni, «Como Anillo Al Dedo» (con cui vince il Latin Grammy nel 2018) e «A Journey Through Cuban Music» ha raggiunto la perfetta commistione delle variegate influenze artistiche e musicali.
Gonzalo Rubalcaba è considerato una delle stelle del jazz mondiale. 15 nominations ai Grammy Awards di cui due vittorie – con Jay Newland e Charlie Haden alla produzione – come «Best Latin Jazz Album». Ha lavorato a stretto contatto con i più grandi jazzisti del mondo e i suoi progetti sono in piano solo e frutto di collaborazioni, sia nel mondo del jazz che della classica. Il suo repertorio artistico non ha mai smesso di evolversi, reinterpretando le tradizionali sonorità afro-cubane e messicane, le ballate, i boleri e le opere classiche dell’isola. Dal 2010, Rubalcaba produce e registra per la sua etichetta discografica e società di produzione, 5Passion LLC.
CD: Lei e Aymée vi conoscete dall’infanzia, come vi siete ritrovati e cosa vi ha spinto a ripartire insieme dalle radici della vostra storia?
GC: Ci siamo conosciuti a scuola, eravamo davvero piccoli. Crescendo, le nostre carriere hanno preso strade diverse, ma abbiamo continuato a seguirci a distanza. Io, personalmente, sapevo sempre dove Aymée cantava e con quale orchestra e credo sia sempre stato lo stesso per lei con i miei passi. Quando lasciammo Cuba eravamo molto giovani, erano i primi anni Novanta e io mi spostai inizialmente nella Repubblica Domenicana e poi a Miami; lei in Costa Rica e Messico e ci perdemmo un poco di vista. Circa una decina d’anni dopo la vidi cantare in un programma tv qui negli States: rimasi impressionato dalla sua improvvisazione e da quel momento tornammo in contatto. Ci riavvicinammo molto e in quel periodo iniziò a crescere l’idea di creare qualcosa insieme, un disco nostro, e continuammo a parlarne per anni e anni: eravamo entrambi molto impegnati nei nostri progetti e ci volle tempo per trovare il momento giusto. Quando quel giorno arrivò, lo capimmo: ci siamo semplicemente seduti a parlarne, dando il via a tutto il processo.
CD: Al disco hanno partecipato musicisti straordinari.
GC: La maggior parte di loro, per non dire tutti, sono musicisti che già avevano suonato con Aymée in diversi progetti. È stata una sua proposta coinvolgere loro e l’ho accolta con entusiasmo, del resto si tratta di musicisti eccellenti e profondi conoscitori della musica cubana, niente di meglio.
CD: Per le persone cubane, la musica tradizionale è qualcosa di atavico, interiorizzato, una sorta di linguaggio trasversale nato per unire culture.
GR: La musica cubana ha una forte e determinante connessione con le persone africane, ma anche con gli europei e non solo. Nel diciottesimo secolo, Cuba era un fondamentale luogo di transito per la sua posizione strategica, anche indipendentemente dalla colonizzazione, le differenti provenienze hanno avuto un impatto determinante sulla cultura. Il fatto che fosse attraversata da persone provenienti da ogni parte del mondo ha permesso una ricchezza nella creazione artistica, straordinaria e unica. Quello che più va riconosciuto ai cubani, nel panorama della cultura caraibica, è questa capacità di fare mescolanza senza timore, di permettere la contaminazione senza paura di nuove tendenze o nuove forme di produrre musica.
CD: Quali sono gli archetipi, i fondamentali?
GR: La musica ha giocato certamente il ruolo da capitana tra le arti, assorbendo a pieno tutte le contaminazioni e le esperienze possibili. La ritmica cubana si basa chiaramente sulle percussioni africane, lì sono le sue radici fondamentali, ma gli schiavi che arrivarono a Cuba provenivano da diversi stati dell’Africa e per tutti era indispensabile mantenere l’essenza spirituale e culturale del proprio paese d’origine. Questa moltitudine di tradizione ha composto l’anima di Cuba, che si conserva tutt’oggi. I cubani fecero un esercizio straordinario per unire tutte queste esperienze e costruire un’identità, una sorta di “cubanìa”, adattando una concezione timbrica e armonica proveniente dall’Europa con le percussioni Africane, ma anche con l’influenza jazz del Nord America. Ci riuscirono creando qualcosa di unico e totalmente personale.
CD: Il repertorio dei classici cubani è infinito, sembra impossibile determinare il pezzo migliore, come avete selezionato quelli presenti nel disco?
GR: Nel processo di creazione di un disco, almeno per come lo intendo io, intervengono molte persone, sebbene il risultato non possa ovviamente corrispondere e obbedire alla opinione di tutti. Esiste un filtro determinato da chi si assume la responsabilità artistica e da chi realizza e detiene l’ultima parola. In questo caso, è stato importante sedermi a parlare con chi lavora con me, ascoltare le opinioni e i consigli, sempre tenendo chiaro il fatto che il progetto dovesse comprendere parte dì ciò che io e Aymée ascoltavamo da bambini. Erano gli anni settanta, nella radio e nella televisione cubane davano tantissima musica italiana come Mina e Raffaella Carrà, ma anche il pop spagnolo e il rock inglese, alternati alla musica bailable cubana. Per noi, era quindi importante raccontare più influenze possibili. Non tutti i pezzi del disco sono parte di questa memoria musicale, ce ne sono anche più attuali, ma quando io e Aymée abbiamo iniziato a ricordare, avremmo avuto canzoni sufficienti per venti dischi! Ci sarà un momento in cui faremo un «Viento y tiempo vol. 2», ma anche volume tre, quattro, mille (sorride, ndr)!
CD: Lei è uno dei pianisti cubani più acclamati al mondo, come guarda indietro? A quel bambino che viene spesso nominato quando si parla di questo disco?
GR: Io sono sicuro che, con il tempo, ci siano cose della vita che sfuggono dalla memoria e altre che tratteniamo con molta forza, ma anche queste ultime con il tempo subiscono una metamorfosi nel modo di pensarle e ricordarle. Io provengo da una famiglia di musicisti, mio padre aveva un gruppo in cui suonava mio fratello e i miei cugini. Tutta la mia vita è stata legata alla musica, non ricordo un momento in cui non abbia avuto un ruolo prioritario. Ti dirò, quello che io chiamo vita, è arrivato a me attraverso la musica. Ha determinato la mia crescita emotiva, spirituale e intellettuale, anche in forma di autoriflessione. Se non avessi fatto della critica verso me stesso, cosa potrei dire musicalmente?
CD: Ed è riuscito a comunicarlo.
GR: Ne sono grato. L’entusiasmo del pubblico io lo ricevo sempre con molta gioia, ma al contempo significa un enorme compromesso con me stesso, determinato dalle aspettative verso ciò che faccio, consapevole del rischio di deludere. Perciò in qualche modo si rimane schiavi del non perdere il filo, la concentrazione, il focus. Ma è pur vero che è difficile perdere il filo quando sei innamorato di un amore puro, come quello che io provo verso la musica.