Proposte di legge per migliorare l’aspetto legislativo del settore; proteste come quella dei bauli contenenti il materiale tecnico per la realizzazione di un concerto, vuoti in segno di protesta, a Roma e a Milano; la nascita del PIU, il coordinamento fra promoter non legati alle multinazionali dello spettacolo dal vivo, nato per rispondere alle difficoltà legate alla pandemia e la raccolta fondi per i lavoratori del mondo della musica e dello spettacolo Scena Unita. La musica soffre ma non si tira indietro. E arriva ora un’altra forma di protesta che è un grido di aiuto e una provocazione, tutt’altro che irreale.
Il 28 gennaio scorso infatti è scattata l’operazione “L’Ultimo concerto?”, un’immagine con un grande punto interrogativo è comparsa in contemporanea sulle pagine social dei live club, che prima della serrata totale ospitavano abitualmente musica live in Italia. Ogni immagine ritraeva le facciate o i palchi, o ancora le porte di ingresso del locale, che sono state per tanto tempo il punto d’accesso a un concerto. Sull’immagine anche la data di fondazione del club e quella del 2021 suggerivano una possibile chiusura in questi mesi. Il tutto voleva raccontare come la musica in Italia sia a rischio, come evento sociale ma soprattutto come iniziativa imprenditoriale che, pur con tutte le difficoltà del caso, permetteva ad artisti italiani e stranieri di esibirsi nel nostro Paese.
L’iniziativa è stata promossa da KeepOn Live (un’associazione che raduna buona parte dei live club italiani), Arci e Assomusica con la collaborazione di Live DMA. Hanno aderito oltre 90 club italiani, di cui 22 in Lombardia (l’adesione è ancora aperta, non è un gruppo chiuso). Fra di essi tre club situati a Bergamo e limitrofi: il Druso, lo Spazio Polaresco e il Live Club di Trezzo d’Adda: “Al Live Club di Trezzo sull’Adda le porte si sono chiuse il 23 febbraio 2020 – ci racconta Fulvio De Rosa, managing director del Live Club di Trezzo – Uno dei primi concerti a essere annullati in Italia è stato proprio lo show dei Testament previsto per il 25 febbraio. Con dispiacere abbiamo spostato i primi eventi in programma inizialmente di poche settimane. Poi, come tutti, abbiamo fatto i conti con la drammaticità della situazione. Rinunciando a tutti i nostri appuntamenti primaverili e realizzando presto che anche la nuova stagione dei concerti ne sarebbe stata compromessa”.
È cominciato così il lungo periodo di chiusura dei club: “Dopo oltre 20 anni di attività in costante crescita per un locale considerato un vero e proprio tempio della musica live – continua De Rosa – per la prima volta, un lungo silenzio. Con consapevolezza e pazienza abbiamo accettato questo stop necessario, ma senza lasciar spazio alla rassegnazione. Da qui il tentativo, nel mese di ottobre, di tornare a proporre musica in una nuova configurazione ‘limited edition’, con posti a sedere e servizio ai tavoli. Un’esperienza che ha avuto purtroppo una vita brevissima (dovuta al Dpcm che chiudeva teatri, cinema, musei e locali, ndr), e che ci ha permesso di proporre soltanto tre serate prima della nuova chiusura”.
Non è molto diversa, almeno negli esiti, la situazione del Druso. Ce ne parla Stefania Tiburzi, che per il locale di Ranica si occupa di programmazione, ma anche di grafica e ufficio stampa: “Siamo chiusi dallo scorso 22 febbraio, la situazione è difficile perché non vediamo uno sbocco, non sappiamo quando si riaprirà. La scorsa estate siamo riusciti a fare tre concerti a Songavazzo e qualcosa sembrava si stesse muovendo. Poi sappiamo com’è andata”. Le persone che abitualmente frequentavano il Druso hanno però dato una mano importante: “Siamo riusciti a stare in piedi grazie alla raccolta fondi che abbiamo fatto e che è andata molto bene. Inoltre ci è stato dato un ristoro e abbiamo partecipato a diversi bandi, senza sapere ancora com’è andata. Ora con ‘L’Ultimo concerto?’ vogliamo attirare l’attenzione delle persone e delle istituzioni. È innegabile che sia un gesto che nasce anche da una certa disperazione. Del resto, questo dell’avere un locale e fare concerti, anche importanti, è il nostro lavoro. Avere una realtà medio-grande come la nostra, molto legata alla musica live crea un sacco di problemi. Ma cerchiamo di resistere e andare avanti”.
La musica live è sempre stata l’occasione di vivere un’emozione condivisa, un’esperienza piena di attesa e gravida di spensieratezza. Se mi volto indietro e ripenso a questi trentasette anni di vita, vedo come la musica sia stata qualcosa di più di un manipolo di note messe insieme bene. E non mi riferisco solo ai grandi concerti (ad esempio di Marco Mengoni o Emma Marrone) e neanche alle mitologiche sortite dei grandi del nostro tempo (Bob Dylan e Nei Young per dirne due), ma a tutto quel sottobosco di musicisti, etichette, locali e festival negli anni sempre meno carbonari – basta vedere i nomi dell’ultimo Sanremo: molti vengono da quel mondo lì – e sempre più meritevoli di rappresentare la vera musica importante italiana.
Luoghi come il Motion (di cui ho parlato qui),il Castello di Solza, Edoné, Ink e via dicendo hanno contribuito a formarmi prima come persona – e poi anche in quanto professionista, dato che per anni mi sono occupato di comunicazione musicale – e come me tanti altri, che hanno trovato nella musica live una possibilità di conoscere persone, di scoprire nuovi artisti e di abbeverarsi a quella bellezza (di un disco, di una canzone, di un intero concerto) che, ricordiamolo, migliora la vita e scaccia la solitudine.
Esperimenti e streaming
Poi c’è stata la serrata, inevitabile sia chiaro ma che forse poteva essere fatta in maniera meno tranchant. Perché se è vero che andare al cinema o a teatro rispettando le regole può essere davvero poco pericoloso (e ritengo che il mondo del cinema e del tetro abbiamo tutto il diritto di lamentarsi a riguardo), per la musica dal vivo il discorso è diverso, tuttavia basta trovare una soluzione. In questo senso qualche tentativo è stato fatto: in Spagna il Primavera Sound ha organizzato Prima-Cov, un concerto in sicurezza di cui si è parlato molto, ed è probabile che la prossima estate sia come la scorsa, o magari meglio grazie ai vaccini: nei mesi più caldi Fresh Agency, Shining Production e Live Music Club hanno pensato all’esperienza bike-in e Rock sul Serio ha organizzato due serate (con Margherita Vicario e Dente) in completa sicurezza.
Inoltre c’è chi ha fatto di necessità virtù e ha portato in Italia la piattaforma DICE, che originariamente serviva per il ticketing ma si è velocemente trasformata in un’app che permette di assistere a dei concerti dal vivo in streaming. Mentre Spazio Polaresco, oltre ad aver approntato un servizio di delivery, a dicembre ha organizzato Plugged @PolaMolloy, una serie di concerti in streaming a pagamento: “Abbiamo cercato di reinventarci sia come food che come musica – spiega Aldo Macchi di Spazio Polaresco – Con Plugged @PolaMolloy l’idea era di proporre un nuovo canale streaming, utile anche quando tornerà la musica dal vivo. Abbiamo coinvolto i musicisti, ma anche una serie di professionisti, tecnici audio e video che hanno reso possibile la cosa”. Insomma, nessuno è rimasto con le mani in mano, anche perché chiudere le sale da concerto significa togliere lavoro a musicisti, tecnici, promoter (ne abbiamo parlato qui) e a tutte le categorie che girano intorno alla musica e rendono possibile un concerto.
Cosa ha fatto lo Stato
A questo punto chi legge si chiederà magari perché le persone legate al mercato della musica dal vivo non hanno preso i ristori stanziati dal Governo. Li hanno presi, ma per capire in che modalità bisogna fare almeno una distinzione a cui abbiamo già accennato: per quanto riguarda le agenzie di booking e non solo, c’è tutto un mondo indipendente – parola che oggi ha un significato molto differente da quello che aveva nei primi anni Zero o in precedenza – un mondo che ha dovuto lottare con le grandi multinazionali planetarie dei concerti come Live Nation per accaparrarsi i finanziamenti. Lo Stato insomma qualcosa ha combinato, ma poco è giunto a chi ne aveva davvero bisogno – ed il paragone con la Germania in questa direzione è a dir poco impietoso (qui un articolo che spiega cosa ha fatto il Governo tedesco nei mesi scorsi). Le multinazionali ad oggi hanno in pancia i soldi dei voucher per i grandi concerti annullati o rimandati, quindi vivono le difficoltà in maniera diversa rispetto alle agenzie dei concerti indipendenti e aderenti al PIU. Questo si riflette in parte anche sui locali, chiusi da mesi e senza molte prospettive.
Il Decreto 34, quello dei ristori per capirci meglio, indirizzati alla musica pop (nel significato più esteso del termine) ha alimentato soprattutto le multinazionali (secondo Internazionale, che riprende le parole di un addetto ai lavori, la Live Nation ha preso quasi 3 milioni di euro), mentre al mondo indipendente è rimasto poco. Lo stesso discorso vale per i locali: anch’essi, come i ristoranti, hanno preso poco. “Ci sono state delle opportunità da parte del Governo, in altre parole c’è stato un riconoscimento delle nostre realtà – spiega sempre Macchi dello Spazio Polaresco – Ma per i locali il bando CUS e il bando per il mondo dello spettacolo non sono stati sufficienti. Per capirlo basta vedere i dati SIAE, che spiegano bene la situazione. Nello specifico invece Spazio Polaresco non ha ricevuto direttamente fondi dai bandi destinati alla categoria dei live club perché la gestione dello Spazio è affidata a Doc Servizi che ha ottenuto ristori su scala nazionale più che locale”.
I dati SIAE, ripresi dall’annuario di novembre 2020, raccontano di una diminuzione di 1,8 miliardi nel primo semestre del 2020 della spesa del pubblico rispetto a novembre 2019 (ci si riferisce a teatri, cinema, club e musei). Il Sole 24 Ore ha quantificato in -72,9% la spesa in meno, mentre la spesa al botteghino è stata di 847 milioni (-66,9 per cento).
I concerti non adesso
Un aspetto da specificare bene riguarda la volontà che sta dietro ad un’iniziativa come “L’Ultimo concerto?”: nessuno vuole aprire ora, ma avere la possibilità di riaprire quando le condizioni pandemiche lo permetteranno. Dunque sopravvivere adesso, per ripartire poi. Il Twiggy di Varese, un locale storico e fondamentale per chi ama la musica live, in questi giorni ha annunciato la propria chiusura. È un duro colpo e un brutto segnale, ed è questo che dobbiamo evitare quando tutto (o quasi) riaprirà: un’ecatombe di locali, che avrà conseguenze su tutto il comparto. Platone diceva che la musica arricchisce l’animo. Ma per chi la fa, o permette di farla, è prima di tutto un lavoro.