Musica e internet culture sono due concetti sempre più legati e interconnessi. È un dato di fatto, senza che la cosa assuma connotati necessariamente positivi o negativi.
C’è anche chi però ha sfruttato i meccanismi della rete cavalcandone le sinergie negative; e così negli ultimi dieci anni abbiamo assistito alla scalata al successo di tutta una serie di personaggi parossistici, esageratamente sopra le righe, spesso accomunati sotto un’unica etichetta: trash.
Per chi non ha troppa dimestichezza con parole come meme, troll, flame, bait e simili, oltre che magari con le tendenze musicali più recenti, può risultare difficile se non impossibile orientarsi in questo mare magnum di fenomeni virali partoriti dal web negli ultimi anni.
Capire perché un certo tipo di trash sia diventato virale, mischiandosi indebitamente con l’hip hop e generando ondate di commetti, condivisioni, indignazioni e insulti sui social, non è per forza immediato. Può capitare di imbattersi per la prima volta in un video di Young Signorino e rimanere confusi. Perché nonostante una bruttezza oggettiva, si tratta di fenomeni capaci di dare vita a risposte anche opposte: c’è chi – magari più comprensibilmente – si infervora per denigrarli, e ci sono anche degli insospettabili studiosi che si battono per difenderli, riconoscendovi persino un valore artistico.
In principio erano i Cypress Hill
Da sempre nella musica hip hop c’è una tensione allo storto, al freak, a una psichedelia deviata che spesso ha regalato episodi memorabili: dagli incubi oppiacei dei Cypress Hill al più recente Danny Brown, dai macabri esoterismi dei primi Three Six Mafia alla compiaciuta coprolalia del Fabri Fibra di “Mr. Simpatia”, passando per tutta la scuderia Anticon e i seminali Clouddead.
https://www.youtube.com/watch?v=0I_V8IccAnk
Ma che succede quando questa tendenza viene estremizzata fino al parossismo e trasformata in scherzo, in pernacchia, in provocazione gratuita? Quando una cultura viene travisata e diventa un meme?
Per capire il percorso che ha portato certi fenomeni a macinare milioni di visualizzazioni su YouTube grazie a contenuti spesso e volentieri molto discutibili, partiamo da una definizione “accademica” del concetto di meme.
Alessandro Lolli, autore di “La Guerra dei Meme” (2017), definisce un meme come “un contenuto virtuale che si distingue da tutti gli altri per la sua capacità di riadattarsi, di essere preso in mano dalle persone ed essere riempito di contenuti sempre nuovi pur rimanendo, in un certo modo, sempre uguale a sé stesso”.
I concetti di meme e di viralità online sono ovviamente molto legati: ad esempio i tatuaggi in faccia di Young Signorino sono diventati a loro volta un meme, tanto da avere un filtro Instagram dedicato. La stessa cosa si può dire per i versi onomatopeici del singolo che l’ha definitivamente portato al successo (“Mmh ha ha ha”, che al momento ha superato i trenta milioni di views su YouTube).
Spitty Cash e Truce Baldazzi
Per capire meglio questi meccanismi di memetica e viralità virtuali occorre fare un passo indietro, tornando a dove tutto è iniziato. Spitty Cash nel 2008 è stato il primo episodio di trash rap diventato virale: “Difficoltà nel Ghetto” elencava in un italiano decisamente improbabile una serie di cliché, mentre nel video – casereccio nel senso peggiore – il protagonista si atteggiava a pose da duro.
Truce Baldazzi è stata invece la prima vera star di questo fenomeno provocatorio: “Vendetta Vera” nel 2010, poco più di un minuto di assurdità blaterate fuori tempo, diventa virale e viene derisa da chiunque per lo stridore tra gli atteggiamenti da gangsta del “rapper” e la sua aria da patatone.
Sia Spitty Cash che Trucebaldazzi sono esempi particolarmente riusciti di troll: personaggi che volutamente interagiscono con gli altri utenti (in questo caso i fruitori dei video in questione) tramite messaggi irritanti, fuori tema, senza senso o del tutto sgrammaticati, con un approccio volutamente ingenuo. Lo scopo è provocare, istigare alla risposta violenta, in generale far parlare di sé seguendo quella massima di Oscar Wilde per cui buona o cattiva non importa, qualsiasi pubblicità va bene.
In particolare Spitty Cash si è rivelato negli anni un personaggio fittizio, dietro cui si nascondeva Dj Apoc (producer che ha collaborato addirittura con un’istituzione hip hop come Havoc dei Mobb Deep).
I due esempi che abbiamo citato sono due casi in cui gli evidenti – ed esibiti – limiti tecnici, siano essi voluti o meno, sono talmente grossolani che le reazioni possibili sono due: un sorriso divertito per chi capisce il giochino, e l’indignazione di chi si arrabbia e contribuisce ad alimentare la polemica.
Bello Figo
Il passo successivo nell’escalation del trash è rappresentato da Bello Figo. Questo ragazzo di Parma non si limita a essere oggettivamente incapace e a fare musica oggettivamente brutta come i suoi due poco illustri predecessori: la sua provocazione è ancora più radicale, e nasce apposta per indispettire e far litigare.
Si tratta di una figura che riesce a far incazzare senza discriminazioni sia a destra che a sinistra: chi non capisce la commedia vede incarnati (ed estremizzati) tutti i luoghi comuni sull’immigrato lazzarone che si spaparanza in albergo rubando i soldi agli italiani; chi invece capisce l’intento di trolling vede esattamente servito all’altro schieramento il pasto desiderato.
Bello Figo insomma è l’evoluzione successiva del troll, è un flamer: le sue forme e i suoi contenuti non si limitano ad essere senza senso o ingenuamente sgrammaticati, ma vogliono istigare alla guerra verbale, vogliono indignare e generare insulti, polemiche e condanne. Il punto d’arrivo è litigare con Alessandra Mussolini su Rete 4, portandosi in dote sempre più pubblicità, visualizzazioni e diatribe.
L’ulteriore passo in avanti di Bello Figo rispetto ai casi precedenti è dato anche dalla continuità: se Spitty Cash e Trucebaldazzi sono rimasti delle meteore, con una sola “hit” a testa, Bello Figo continua ancora oggi e macinare video su video senza significative flessioni di ascolti (vedi anche l’ultimo, discutibilissimo “Coronavirus”).
Young Signorino
E qui, finalmente, arriviamo a Young Signorino. Come si inserisce e in cosa si differenzia rispetto al continuity di trash-, troll- e flame-rap che abbiamo appena descritto? Perché è arrivato a ricevere apprezzamenti ed endorsement anche da parte di personaggi insospettabili come Vinicio Capossela o Manuel Agnelli?
Nel suo caso la trama si infittisce. Nonostante a prima vista la sua proposta sia assimilabile a quella di Bello Figo (faccia da schiaffi e sbandierata miseria di contenuti), in realtà la complessità aumenta esponenzialmente.
Young Signorino è un bait (“esca”, in inglese). Con lui il focus non sono i tratti volutamente ridicoli ed eccessivi del personaggio, ma la ricerca di legittimazione attraverso le produzioni. Alcuni dei suoi pezzi sono stati firmati da nomi altisonanti del panorama hip hop mainstream, come Big Fish (Sottotono, Fabri Fibra, Mondo Marcio, Two Fingerz, Nesli, Vacca, Emis Killa) e Low Kidd (Nitro, Salmo, Jack the Smoker, Lazza).
In altre parole (e con le dovute proporzioni) è come se David Lynch facesse un film con Gabriel Garko: l’unione di alto e basso diventa veramente difficile da sbrogliare e decifrare.
Spesso la parte strettamente musicale delle tracce di YS guarda a trend di avanguardie elettroniche, e vengono tirati in ballo addirittura l’accelerazionismo o Aphex Twin. Questo è un modo molto subdolo e molto efficace per aprire flame riguardo una sua presunta validità artistica.
Così chi abbocca si sente legittimato a vedere qualcosa di buono nel fenomeno di Young Signorino. Chi non vuole abboccare taccia i primi di ingenuità. Chi invece non capisce il gioco continua ad alimentare il flame urlando che questa non è musica, anzi è la morte della musica stessa.
Anna
Diverso ancora è l’inquadramento di un altro fenomeno esploso in tempi recenti: la diffusione di TikTok, il nuovo social in costante crescita tra i giovanissimi, ha dato il via ad un nuovo trend “musicale”. Parliamo del cosiddetto baby-rap, il cui brano simbolo è “Bando”.
Cantata dalla classe 2003 Anna Pepe, il pezzo è un innocuo tormentone in cui la protagonista rappa di tutto senza dire assolutamente niente.
L’utilizzo di basi truzze per un rap abbondantemente oltre i confini del trash è tra l’altro un fenomeno che da noi arriva in ritardo e già vecchio di un paio di anni abbondanti. In Russia già nel 2017 uscivano bangercome questa, che sono a tutti gli effetti la stessa identica cosa.
Prima ancora, a partire dal 2009, ci sono stati i sudafricani Die Antwoord, e poi ancora i Little Big, sempre dalla Russia: praticamente i sogni malati di un Rob Zombie imbottito di metanfetamine, freak show mutanti con nani e clown malvagi, esoterismi di plastica.
Nulla di nuovo sotto il sole insomma: TikTok ha dato semplicemente vita al fenomeno che avremmo avuto se nel 2009 avessero dato una base rave al Justin Bieber di “Baby”.
Pufuleti
Fortunatamente non tutto il non-sense viene per nuocere. Un esempio di “stortezza virtuosa” lo possiamo trovare in Pufuleti, rapper siciliano fresco di pubblicazione del suo nuovo album “Catarsi Aiwa Maxibon” per La Tempesta Dischi.
Nel suo caso prendiamo un flow clownesco – sulla scorta dei Cypress Hill e di Danny Brown che abbiamo già citato prima – e rallentiamolo all’inverosimile. Poi spalmiamolo su un tappeto di beat che guarda proprio a quelle avanguardie anni ’90 tra Anticon e J Dilla, e via libera a testi che procedono per libera associazione di idee, surrealismo, ermetismo e tanti riferimenti al trash italiano di inizio Duemila. In più, una serie di video deliziosamente amatoriali, con un’estetica vaporwave ispirata alle VHS.
La dimostrazione che si può fare hip hop di qualità e stonato il giusto anche senza prendersi troppo sul serio.