Una canzone d’amore può significare tante cose (gioia, sensualità, tristezza, malinconia) e può essere scritta in tanti stili diversi, che a loro volta vengono declinati secondo la propria sensibilità: hip-hop, pop (che può voler dire tutto e niente), rock (idem) e songwriting (per i meno anglofoni cantautorato, che però non è proprio la stessa cosa).
Sono i quattro macro-generi con cui abbiamo costruito quest’anno la nostra playlist di canzoni (bergamasche) per San Valentino, dopo che l’anno scorso provammo a farvi scoprire 10 canzoni d’amore che forse non conoscevate. Una quarantina di pezzi di musicisti solisti e gruppi nati a Bergamo e in provincia, o residenti sul nostro territorio. Da ascoltare su Spotify e Youtube (alcuni sono solo su una delle due piattaforme). Un viaggio letteralmente per tutti i gusti, che è anche un modo per scoprire cosa si suona a Bergamo al di là dei Verdena e dei Pinguini Tattici Nucleari, ad oggi le due realtà più importanti a livello nazionale della musica di casa nostra.
La playlist non comprende tutta la musica bergamasca, non ha pretese di completezza, e se qualcuno è rimasto fuori non si offenda: questioni di memoria di chi scrive, che ha chiesto agli artisti in elenco di consigliare una loro canzone d’amore (sofferente o allegra che sia) per realizzare una speciale colonna sonora. Utile per il giorno degli innamorati, certo, ma anche per gli altri giorni. Perché se la musica vale sempre, l’amore non deve essere da meno, no?
Playlist Spotify:
Playlist Youtube:
Hip hop
E allora partiamo, rotta verso l’hip-hop. Bergamo ha una scena hip-hop molto movimentata, rappresentata nella nostra playlist da Eleven e la sua “Regina degli scacchi”, abile manipolatore di una metafora presa dall’omonima serie tv. Ci sono poi Fede Rich Goat, che in “Sogno” stende un flow accattivante su un bel ricamo di pianoforte, e Marlon con “Quando finisce”, che ammicca al pop, ricorda i furono Amari o Coez e si posiziona fra i migliori del lotto con un bel lavoro sui suoni.
Marlon torna poi con T-Shake in “Ultima vista” di U_Max: ritmica serrata, testo di gran classe e un’atmosfera sospesa, vagamente jazzata, che chiude con un’intrigante coda strumentale. TIZLE con “Sangue e miele” si avvale invece di un’ottima produzione e tanta maturità, sia nelle liriche che nell’interpretazione.
Ma il brano che più di tutti mi ha colpito è sicuramente “Fiero” di Willy Valanga, un minuto e cinquantasei di pura intensità che gira sull’anafora del titolo. Un inno in cui l’amore è vitalità, fierezza e rabbia, a chiudere al meglio una sezione hip hop che regala solo tracce di qualità.
Pop
Lo dicevamo, pop vuol dire tutto e niente. Un’attitudine prima che un genere, che assume di volta in volta fattezze diverse. Elettronica, che in parte segue le tendenze contemporanee, per ENNE con “Nene”, buoni i suoni e la produzione. New wave aggiornata all’oggi per i bravissimi Forse Danzica con “Seta”, cassa dritta, chiaroscuri mesmerici, alto gradiente emozionale. Gli ISIDE sono una certezza della nostra scena musicale e con “Margherita v11” mescolano elettronica, frequenze basse (robuste il giusto), influenze hip hop, una vaga indolenza alla Dargen D’Amico e quell’espressività trascinante del tutto personale. Chapeau.
Il discorso vale anche per gli UFO BLU di “Miele”, anche se siamo da tutt’altra parte a livello sonoro: quadratura di basso, un pizzico di jazz ed elettronica per un future-pop dal vago sapore battistiano. Respiro decisamente internazionale, filigrana funk e un ottimo artigianato sonoro elettrico-elettronico fanno della rotondità di “A break” dei Vanarin un brano assai godibile, che non ha bisogno di conferme. La nervosa ossatura funk e la bella voce di Carolina Pasinetti rendono “FWY” dei Tamashi Pigiama l’assaggio black di una band da tenere d’occhio.
Riki Cellini porta eleganza e classicità alla nostra playlist con “Trallallero”, pop da manuale su saliscendi di pianoforte. Infine il pezzo che non ti aspetti: “Siamo ragazzu” di Fantahouse, scritta dal rapper Giovo Dust. Cassa dritta, bislacca ironia e istanze politiche sull’identità di genere. Nel complesso, tanti colori, tanta roba buona: pop a Bergamo vuol dire fantasia e qualità.
Rock
Ammetto di avere un debole per il rock contaminato ma anche per quello Novanta-primi Anni Zero – d’altra parte nella veloce fluidità della musica d’oggi risulto un vecchiardo (classe 1983). Per questo motivo sono attratto da ciò che stanno facendo i Low Polygon, vedi “Come sto”: cassa dritta, colorature elettroniche, qualcosa d’esotico qua e là e un’ansietà molto attuale che attraversa tutto il pezzo. Come stai? Mmmh, non troppo bene. Per la serie “forse non lo sai ma pure questo è amore”.
Stanno invece dalla parte dei furono Marta sui Tubi i Moruga di “Sweet sound stereo” con i loro ricami di chitarra acustica intrecciati e il cantato possente (in altre tracce tirano meno il freno rispetto e danno vitamina al loro rock godurioso). Giocano (bene) con un rockettino acid-punk i Blue Wit, da X Factor alla prima uscita di Edoné Dischi; in “Butterflies” guardano anche ai Beatles ma ad una distanza che significa personalità. Per chi invece vuole una canzone intimamente sofferente ci sono i Boccaleone: con la loro “Orizzonti fragili” sanno fare tutto al meglio. Acustica iniziale e arrangiamento scarno, poi un crescendo che sfocia catartico ed elettrico. Bravi.
Siamo ormai in zona “quelli della mia età” e Il Vuoto Elettrico piazzano un ballad a modo loro qual è “Gli angoli del nostro corpo”: viscerale testo recitato coerente con il loro mood, bella sulla scia dei Massimo Volume virati hardcore. Stupisce La Belle Epoque che dal rock saldamente anni Novanta del primo disco arriva qui, con “Noi di notte”, ad una ballata quasi nu-soul, dove le chitarre lasciano spazio all’elettronica e aleggia il buon nome di Tiziano Ferro. Mi hanno ricordato i CSI e poi gli Earth nei sei minuti ieratici di “Roggia” quelli de La Nevicata dell’85, duo batteria-chitarra che meriterebbe qualcosa di più di ciò che ha raccolto fino ad oggi.
Amore carnale, gioia e sofferenza nei MOOSTROO, vecchia conoscenza dalle nostre parti (erano fra i Jabberwocky), qui con filigrana funk e intensità garantita. Non è rock ma ska da manuale quello di “Incendio” degli Arpioni, presto con un nuovo disco per la già citata Edoné Dischi. Si torna all’elettronica in chiusura, dove beat e chitarre incrociano il midtempo accelerato dei Long White Clouds di “1+1=1”. La formula matematica dell’amore che sigilla le nostre gustose compagini rock.
Songwriters
Di tutto un po’, senza la p finale. Potremmo dire che Bergamo è città di cantautori e scrittori di canzoni se solo sbirciando nel mare magnum di Youtube si trovano piccoli gioielli, a volte grezzi, come “Cecità” di Altea. Una canzone pop da brividi in una versione demo o quasi. Leggi alla voce “da fare crescere”, perché c’è davvero del buono. Come c’è del buono, anzi molto di più, in Robi Zonca, semplicemente un maestro, uno dei nomi che contano nel mondo del blues italiano. La sua “Julia” è il bluesettone di chi sa fare il mestiere (dici poco). Cori e assolo di chitarra in bella calligrafia. Fortunata Julia, qui (e dal vivo) c’è solo da imparare: per stile, umiltà, capacità tecnica e urgenza.
E a proposito di urgenza, non ce n’è di meno in Spinozo e la sua “Forgotten Grace”, acustica e voce per un moderno folk-singer di razza, indole alla Damien Rice, gradiente emozionale molto alto. Se però pensate che “gli anglofoni lo sanno fare meglio” non avete tutti i torti se è a Andy Burch (dalla Nuova Zelanda) che vi riferite. Lo conferma con “The Hard Way”, classico bozzetto folk che sa di legno e fuoco nel caminetto, nulla da dire. Dall’Oceania a Rovetta con Il Bepi, che in “I tò culùr” canta una canzone semplicemente commovente, voce, chitarra classica scalcinata, violoncello e... grilli. L’uomo non fa solo ridere.
Qualcuno se lo ricorderà giovanissimo sul palco di Sanremo, oggi Riky Anelli è un cantautore che profuma d’America profonda. Un talento non ancora del tutto espresso, ma già capace di scaldare il cuore come fa “Le mie braccia”. Di America sa anche “Mr. Hyde” di Claudia Buzzetti and the Hootenanny: folk, country e una voce che culla. Cosa volere di più? Magari Buck Curran, un musicista di alt(r)o livello, già negli Arborea (nome di gran pregio dello psychedelic folk americano degli ultimi anni), qui presente con la bellissima “Odissea”. Incredibile che uno così viva a Bergamo. Motivo? Ah, l’amour…
E ancora: Andrea Arnoldi e il peso del corpo, forse il cantautore bergamasco più letterario – ma mai libresco – con la chitarra acustica e la voce (leggermente fumosa) che scaldano. Una forma di folk gentile, la sua; parole che flirtano con la poesia e il cello a punteggiare qualcosa di nobilmente umano. Non dimentichiamo che non c’è songwriting bergamasco senza Caso: “Supercinema” è una delle sue canzoni più belle. Tesa e narrativa, prima in acustica e voce e poi con basso, elettrica e batteria; le sue parole sembrano sempre sfidare gli accordi di chitarra, tutt’altro che una “pessima pessima sceneggiatura”. Unico.
Nervoso, come nel suo progetto a due Moruga, è invece Mataego, sul filo di un elettro-folk ben strutturato, su cui dispiega la voce. A suo modo un culto a partire dal nome (quando si dice un difensore spigoloso), è Montero, il progetto di Daniele Suardi e compagnia, già Il Garage ermetico: “Scale” è una classica ballata folk-pop, con incrocio fra acustico ed elettrico, la batteria a ragionare sul rullante, l’indie italiano d’antan che guarda a quello americano e ai nostri cantautori. Esperienza e ispirazione, il risultato è ottimo. Su Trevisan la domanda è d’obbligo: c’è qualcuno a Bergamo che sa scrivere canzoni d’amore dolente meglio di lui? “Vacanza” è la conferma, supportata da un arrangiamento che incede in modo calibrato. Fra folk e hip hop per un canto a mezza voce che cresce e lavora bene sulle parole per “Risiko” de Il Grigio.
Calibrata è anche la musica di Montmasson, cantautore ipersensibile, bella voce, qualcosa degli Wilco in “Vette”, fra le migliori del suo bel disco d’esordio. E se di palpiti parliamo non è possibile tralasciare “Bandiera” dei Lowinsky di Carlo Pinchetti (bravo anche come cantautore solista); indie-rock di quello buono, che senza strafare non tradisce e si infila fra le costole. La voce delicata e ferita, JOO (Giulia Spallino) in “Come back” porta il suono più urban della nostra città fra beat e silenzi. Canta l’amore con toni plumbei e notturni, atmosfera e magia. Ad avercene.
Si fa un salto fra Spagna e Sudamerica con i Rayuela; l’esuberante “Entre a mi Pago Sin Golpear” vive di volteggi acustici, testo in spagnolo, clap-hands e violino. Sensuale. Spianato sulla spiaggia, gli occhiali da sole e quel gusto salino un po’ speciale fanno di Scilla (il fu Arcane of Souls) una delle uscite più attese dei prossimi mesi. Intanto “Dune blu” prepara al meglio il terreno tra un passo scultoreo e la voce un po’ alla Rino Gaetano. Onda calabra che promette scintille. A chiudere la sezione e tutta la nostra playlist c’è il bellissimo afflato avant di Adele H. “I wish I was” è un brano solo voce che grazie a una loop station intreccia fantasmaticamente voci altre. Una dea? Una maga? Tecnologica e atavica, certamente una delle cose più suggestive del nostro viaggio musical-bergamasco.
Buon ascolto. E buon San Valentino.