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#allamiaetà: e in mezzo ci sta Sandra (Boninelli)

Racconto. Cantautrice, chitarrista, ricercatrice, etnomusicologa, infermiera in pensione. Sandra Boninelli – insieme al fratello Mimmo, deceduto nel 2016 – è tra coloro che più si sono spesi/e per recuperare e valorizzare la tradizione del canto popolare bergamasco, lombardo, italiano

Lettura 7 min.
Sandra Boninelli

L’ospedale e l’osteria. Da una parte apprensione, malessere, il tempo pesante e silenzioso, la compagnia spesso forzata, letti, degenza, odore di disinfettante. Dall’altra spensieratezza, il tempo che passa leggero, il rumore di bicchieri e posate, le sedie trascinate, il gioco, lo scherzo, le voci, l’andirivieni, l’odore del vino.

L’ospedale e l’osteria. Due luoghi distanti, quasi agli antipodi, ma che nella storia di Sandra Boninelli si avvicinano e diventano complici di un percorso di formazione, di una vocazione. Incontro, ascolto, condivisione, memorie, storie: si trovano da una parte e dall’altra. E in mezzo ci sta Sandra.

Nei primi anni Settanta fa l’infermiera all’ospedale Bolognini di Seriate. Lei e il fratello Mimmo ascoltano soprattutto le canzoni di protesta americane, per lei cantautorato significa soprattutto Bob Dylan e Joan Baez, di cui approfondisce gran parte del materiale. “Mi chiedevo: possibile che in Italia non ci sia nessuno che canta canzoni di protesta in italiano?”. Ci sono Pino Masi e Alfredo Bandelli, Pietrangeli e altri, ma ancora non conosce quel filone. “A quel punto sono andata nei negozi di dischi di Bergamo a cercare qualcosa di particolare sui canti di protesta, qualcosa riferito alle lotte o alla storia del movimento operaio. E non ho trovato nulla”. Qualcuno le dice di provare alle Messaggerie musicali di Milano.

“E allora ci sono andata. Ho chiesto e mi hanno detto provi a vedere la in fondo allo scaffale, provi a vedere che ci sono un po’ dei dischi particolari. Ed erano i dischi dell’etichetta Dischi del sole, che erano collegati all’Istituto De Martino e alle Edizioni Bella Ciao. L’Istituto Ernesto De Martino è un centro di ricerca e un archivio nato nel 1966 grazie a Gianni Bosio, Alberto Maria Cirese, Franco Coggiola e altre personalità e ricercatori – tra cui Roberto Leydi e Sandra Mantovani – che avevano dato vita, pochi anni prima, al progetto del Nuovo Canzoniere Italiano, rivista e gruppo musicale (di cui Sandra e il fratello Mimmo fecero parte) con l’obiettivo di recuperare e diffondere i canti tradizionali e di lotta sull’orlo dell’oblio, sulla scorta dell’esperienza del gruppo Cantacronache.

“Gianni Bosio, Roberto Leydi e tutti quei ricercatori che lavoravano in quel periodo nel contesto del canto sociale e popolare... musicisti, ricercatori che divulgavano queste canzoni attraverso una collana, che era appunto quella dei Dischi del sole”. Il primo “Disco del sole” che compra quel giorno a Milano è “Donna lombarda”, che è il nome di un canto diventato popolarissimo e reinterpretato in moltissime versioni. Torna a casa, lo ascolta, e in un primo momento pensa di aver buttato via i soldi, del treno e del disco. “Ho fatto la solita cappellata, ho pensato... poi dopo tre o quattro mesi lo riprendo e mi dico: che stupida, come ho fatto a non accorgermi? C’erano, a parte la canzone Donna lombarda, delle canzoni di osteria stupende. Ci sentivi la vita dentro”.

Il fratello Mimmo suona la chitarra, Sandra si fa insegnare qualche accordo e impara a strimpellare per poter rifare “Donna lombarda”. Poi un giorno succede qualcosa in ospedale. “Dunque imparo la canzone. Io che lavoravo, facevo l’inserviente al Bolognini di Seriate, dovevo pulire tutte le stanze, dalle sei in avanti. E allora utilizzavo questa canzone a mo’ di ritmo, finché una mattina un signore che si stava facendo la barba mi fa il controcanto di Donna lombarda. E siamo rimasti tutti e due meravigliati. Io gli dico: ma come fa lei a sapere questa canzone che è su un disco che ho trovato a Milano, a Bergamo non c’è! E lui mi dice: ma noi la cantiamo, io sono di Martinengo, insieme ad altri amici ci troviamo in osteria, se vuoi venire... E allora ho cominciato a frequentarli. Avevano delle voci meravigliose. Ogni sabato, e quando potevo anche la domenica, andavo a sentirli. Poi arrivava il vino, da mangiare, era tutto così spontaneo. Ho cominciato a impararle quelle canzoni, erano troppe belle. Un giorno succede che uno dei quattro è assente. Mi dicono: dai, fai tu la prima voce. E io: come devo fare? Fàla ólta, fàla ólta! Ed è venuta fuori una cosa meravigliosa. Da lì ho cominciato a seguirli ancora di più e a cantare le loro canzoni. Era nel 1976. Praticamente ho imparato a cantare in osteria. Sandra dice che ancora oggi si ritrovano a cantare. Non hanno più le voci che avevano un tempo, precisa, “ma le canzoni le tiriamo fuori lo stesso”.

Il Canzoniere popolare di Bergamo, la ricerca, le fonti orali

C’è un disco in particolare, si chiama “Il bosco degli alberi”, è un Disco del sole curato da Franco Coggiola che conteneva registrazioni originali dei canti tradizionali raccolti dai ricercatori dell’Istituto De Martino. “Sentendo quel disco ci eravamo molto entusiasmati, era veramente molto bello” ricorda Sandra. E da lì parte l’idea di costruire qualcosa di simile al Nuovo Canzoniere Italiano ma specifico su Bergamo. “Io e mio fratello, insieme al ‘Taia’, a Luigi Battaglia, Sergio Cisani e Stefano Borani abbiamo fondato il Canzoniere popolare di Bergamo, vissuto dal 1974 al 1981 sull’aria del Nuovo Canzoniere Italiano che era nato nel 1962 e ha prodotto fino al 1976”.

Sandra e Mimmo cominciano a fare ricerca. Non solo nelle biblioteche, nei centri studi, ma anche tra la gente, utilizzando le fonti orali, gli incontri con gente comune, contadini, operai. Mimmo Boninelli, tra i primi animatori dell’Isrec, ha scritto anche un libro che raccoglie le testimonianze orali di partigiani delle valli bergamasche. Si intitola “Ai partigiani sarà sempre nel cuore”.

“Andando in osteria portavamo il registratore, poi io mi ascoltavo il materiale a casa, trascrivevo i testi, le testimonianze. Tante volte io smontavo alle sei della mattina dal lavoro, avevo il registratore in macchina, in ospedale avevo conosciuto gente che aveva fatto il minatore o la prima guerra mondiale, e allora andavo a casa a registrarli. Ho fatto ricerca in questo modo qui, utilizzando i rapporti e le conoscenze che si creavano in ospedale. In altri posti dove non mi conoscevano andavo dal prete o in osteria. E loro di davano delle indicazioni”.

Insieme hanno depositato un fondo presso la Regione Lombardia. Ci sono quasi trecento nastri. Materiale di prima mano raccolto nel tempo. “C’è dentro di tutto, dalla Filati Lastex con la storia della prima fabbrica occupata a Bergamo fino ai racconti di stalla, fiabe, interviste”. Un po’ di quel materiale finirà in uno spettacolo multimediale a cui sta lavorando e che sarà presentato all’Associazione del Mutuo Soccorso di Bergamo. Si chiamerà “Tutto quello che non ti ho mai detto”: “Andando a registrare a volte qualcuno mi diceva Signora torni domani perché mi figlia non le capisce le cose che le sto dicendo, io non gliele ho mai dette e ho vergogna a raccontarle... Da qui il titolo”.

Mi spiega che i canti tradizionali sono canti di derivazione militare, canti alpini, canti che si facevano in guerra, oppure che nascevano nei campi e nelle fabbriche per accompagnare il lavoro, per dare ritmo alla fatica, o per schernire il padrone. Come nel caso della Filati Lastex e del proprietario, il sig. Menegatto:

Mene-mene-Menegatto
Mene-menemene-Mene-Topo
Mene-mene-mene-Mene-Cane
Mene-bau che lo mangerà!

Racconta poi dei “fogli volanti”, quei fogli che i cantastorie vendevano nelle piazze “quando si proponevano al treppo, che era il posto dove si mettevano a vendere il loro materiale, un tempo lamette da barba, spille, cose così. Noi vendevamo i dischi, ma al tempo... cosa succedeva, uno che arrivava lì in piazza e sentiva una canzone come faceva a ricordarsela? Comprava il testo, il foglio volante. E poi, se non si ricordava la musica o l’aria? Andava dal prete, andava dal notaio, dal farmacista, persone di cultura, e reimpostavano la canzone sulle arie che loro avevano già musicalmente in testa. Ci sono delle canzoni che sono in voga nel paese, che magari son sempre quelle, una o due. Su quell’aria lì loro reinventavano la canzone”.

Il suo sito è una miniera di materiali e di spunti di approfondimento. Nella sezione “dedicato a” si trovano alcune delle canzoni che ha dedicato a personaggi che hanno incrociato il suo percorso in maniera significativa, diretta e indiretta: suo fratello Mimmo in primis, Ivan Della Mea, le cantanti Caterina Bueno e Giovanna Daffini – di cui ricorda aver avuto una specie di visione, mentre ne eseguiva una canzone: “Una sera, a uno spettacolo, Ivan Della Mea mi dice ‘Dai Sandra, fai una canzone della Daffini’; io mi metto a cantare la canzone della Daffini e mi vedo... ho proprio l’immagine davanti di lei che mi guarda con la chitarra in mano”.

Sembra che scrivere un testo per qualcuno – e musicarlo – sia per lei l’atto di riconoscenza e di gratitudine più alto con cui è abituata a ripagare l’affetto e la fiducia degli altri. Qualcosa di spontaneo, come un abbraccio, come una cura. Mi racconta del suo incontro a casa di Sandra Mantovani, cantante e ricercatrice moglie di Roberto Leydi, nella sua casa di Orta San Giulio: il confronto, la condivisione, lo scambio reciproco. E lo storico Cesare Bermani – altro grande animatore dell’istituto Ernesto De Martino e dei Dischi del Sole – che registra tutto l’incontro: “È venuta fuori una cosa bellissima, dove lei raccontava e io chiedevo. È stata la cosa più importante per me perché ho capito che anche lei da una parte era attenta alle cose che dicevo io. E mi ha raccontato cose che io non conoscevo”.

Sotto il sole di mezzogiorno, sediamo a un tavolo di legno della bocciofila di Ponteranica, paese dove vive da trent’anni e che l’anno scorso le ha conferito l’attestato di civica benemerenza “per il prezioso lavoro di ricerca e divulgazione della cultura del nostro paese attraverso l’arte canora”.

Sandra ha dedicato un album a suo fratello Mimmo, morto nel 2016, “Se non ora... quando”. Il titolo viene dall’ultima canzone della raccolta: “Si riferisce ai giovani del giorno d’oggi: quand’è che ci muoviamo, quando diamo dei segnali, perché anche noi abbiamo bisogno di confrontarci, di parlare, di inventare. Ci sono tanti cori oggi in giro, ma non si fa più ricerca, e questo mi dispiace. Fare ricerca costa, non ci guadagni niente, nessuno ti finanzia. Però avere la soddisfazione di trovare cose nuove e rimetterle in pista... questa è la cosa più importante che io vorrei che si facesse”.

Prima di salutarci mi allunga un’audiocassetta de “Il bastimento parte... I canti dell’emigrazione bergamasca”, con brani incisi e interpretati da lei e da suo fratello Mimmo. “Questa te la regalo” dice “Doveva essere anche un libro, ma non c’erano soldi e ci hanno fatto una rivista”. Si può leggere qui. Poi accenna al suo ultimo giorno di lavoro, dopo 42 anni di servizio, al centro di ortodonzia per bambini dell’Ospedale di Alzano Lombardo: “Ho tirato lì un amico musicista, e abbiamo fatto un po’ di canzoni”.

L’ultimo disco di Sandra Boninelli si intitola “Legàmi”, è uscito nel 2005 e raccoglie una buona parte della sua produzione (per averlo basta scriverle o andare a questo link). Sandra il 25 aprile sarà presente alla commemorazione dell’eccidio di Petosino, per cui ha scritto la canzone “Villa Masnada”.

Sito Sandra Boninelli

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