Il comitato bergamasco della Società Dante Alighieri è attivo dai primi del Novecento e da sempre protagonista di iniziative di divulgazione. L’attività del gruppo continua anche in tempi di pandemia, pur con tutti i limiti del caso. Risale al 2015, ad esempio, l’iniziativa “Lectura Dantis Bergomensis”, la serie di incontri pubblici in cui relatori e relatrici presentavano canti o percorsi tematici legati alla Commedia, e che si concludevano con la declamazione integrale dei testi affrontati. Un format che oggi si è spostato su Youtube, dove è possibile consultare tutti i materiali che periodicamente vengono prodotti dal comitato.
Enzo Noris: “Fino a prima del Covid le iniziative in presenza erano numerose, anche in collaborazione con altri enti come l’Università di Bergamo e la Fondazione Creberg. Collaborazioni che oggi continuano attraverso due percorsi: il primo è ‘Cinque minuti con Dante’, pillole dantesche di qualche minuto realizzate da docenti e ricercatori delle università italiane; il secondo è proprio la ‘Lectura Dantis Bergomensis’, un format che portiamo avanti in digitale dalla metà dell’anno scorso. Riprende una formula antichissima: è stato Boccaccio il primo a inaugurare la stagione delle lecture, verso la metà del 1300, a pochi decenni dalla morte di Dante”.
MR: Dante negli ultimi anni è arrivato fino alla TV generalista, riportando la Commedia all’attenzione del pubblico di massa.
EN: Dante è un caso unico nel panorama dei grandi autori della letteratura e della poesia, anche quella del Novecento. Mi sembra riesca a fornire parole e chiavi di lettura dell’esistenza di ognuno, delle vicende umane che attraversiamo; ci aiuta a decodificare i nostri vissuti, a sentirci rappresentati in qualche modo, interpretati.
MR: Non a caso è continuamente ripreso, reinterpretato, rinnovato, anche in contesti apparentemente insospettabili: videogiochi, fumetti, manga giapponesi, nella musica rap...
EN: Effettivamente sembra che Dante si presti tantissimo, un po’ come un capo di abbigliamento che va su tutto, si abbina a tutto, a ogni età o contesto. Questo è sicuramente un dato straordinario perché non funziona così per altri autori – penso a Manzoni, a Omero – che sì, sono ripresi occasionalmente, ma mai quanto Dante.
MR: Una liquidità che riesce ad essere molto “pop”.
EN: Il fatto è che Dante racconta il suo viaggio a partire dallo smarrimento nella selva attraverso le tre tappe, i tre atti. Ha dato un contributo originale alla struttura narrativa del viaggio, a quello schema narrativo – che già esisteva, penso all’“Eneide”, all’“Odissea”, alle leggende medievali, ai “Libri della Scala” con Maometto. Riesce però a raccontarlo in modo che il lettore si senta parte del racconto, coinvolto, si identifichi nel personaggio, che è anche voce narrante: facilita l’immedesimazione, lo si segue in questa avventura con un trasporto che altri autori non conoscono.
MR: È anche una questione di lingua?
EN: La lingua è in grado di seguire un’estensione molto ampia, dal triviale più sconcio alle altezze sublimi: da “culo e merda” a “vergine madre, figlia del tuo figlio”. Come se non avesse “schifo” di nulla di ciò che entra nel linguaggio dell’essere umano. Tutto è assunto come materiale e inserito in una costruzione che è incredibile nella sua complessità e grandiosità. È come se in Dante rappresentasse, in questa cattedrale dello scibile medievale, tutto ciò che gli uomini, anche nelle epoche successive, riconoscono di loro stessi. Dante “specchio umano”, come disse la filosofa spagnola Maria Zambrano. Qui poi derivano tutte le varie rielaborazioni.
MR: Con soluzioni forse un po’ eccentriche talvolta...
EN: Dalla mia – con le iniziative del comitato – preferisco mantenere una certa linea di sobrietà, per evitare iniziative un po’ troppo popolareggianti, diciamo. Senza tirarcela o fare i puristi, cerchiamo però di mettere il testo di Dante al centro, chiedendo al pubblico uno sforzo che è ineludibile. Preferiamo un approccio che rispetti la sua attualità un po’ atipica ma anche la sua distanza: Dante è uno di noi ma è anche un uomo che ha vissuto in un certo contesto, ha nutrito certe utopie che si sono rivelate anche anacronistiche, che aveva un suo approccio alla religione, alla filosofia, alla teologia. Il passaggio che a volte in epoca Facebook si vuol fare di tradurlo alla portata di chiunque non ci sembra molto corretto, ci deve essere un minimo di serietà nel proporre iniziative di divulgazione.
MR: Il rischio di svilire la materia per avvicinare la complessità ai giovani è sempre dietro l’angolo.
EN: Il rapporto Dante-giovani è qualcosa che da un lato rischia di essere impostato in una concessione a un giovanilismo imperante che non mi convince, a cui non do credito. Come se si volesse abbassare Dante per renderlo alla portata dei giovani, camuffarlo per renderlo fruibile. È un’operazione che non credo porti vantaggi. Ognuno lo fa suo, come se ogni interpretazione avesse diritto di cittadinanza, come nei miti classici. Poi per fortuna ci sono tanti dantisti seri, alcuni gravitano attorno al centro studi di Ravenna. Ultimo, nella divulgazione, il professor Barbero. Devo ammettere che Dante nella scuola è strettamente legato alla modalità con cui il docente riesce a presentarlo. È determinante la passione, l’amore che il docente nutre per la materia. E se non passano le nozioni passa il gusto, la curiosità. È questione di mediazione culturale.
MR: È curioso come vi sia, da un lato, un rinnovato e vasto interesse verso Dante e la Commedia, le letture, le iniziative. Dall’altro, la letteratura sembra non essere mai stata così lontana dall’essere questione di interesse collettivo. A cosa crede si debba questo scollamento?
EN: Eh, questo è interessantissimo, non penso di avere gli strumenti per rifinire una risposta all’altezza. Ci provo. Assistiamo a un ritorno di fiamma di forme di scrittura più leggere della saggistica, il romanzo, la biografia. Anche e soprattutto durante la pandemia. Un segnale di ripresa per la lettura mi sembra ci sia stato. Per la lettura, non per la letteratura. Ci sono iniziative meritorie come il Premio Bergamo che da anni cerca di diffondere questa passione nobile attraverso l’incontro con gli autori, l’interazione col pubblico. Le biblioteche stanno facendo un servizio enorme in questa direzione. Le scuole... sembra più difficile lì, devi cercare di bucare lo schermo e arrivare a toccare alcune corde. E non è sempre facile, perché se sei obbligato a fare certe cose quelle diventano automaticamente noiose anche se non lo sono, anche se ti sforzi di presentarle in modo brillante. La grande letteratura non fa molta presa sul grande pubblico perché forse chiede di possedere delle competenze in più, che si affrontino delle grandi tematiche, anche impegnative – il lavoro, la morte, la spiritualità, l’ingiustizia, la colpa. Sono temi sempre intrecciati tra loro in opere di grande respiro che chiedono pazienza al lettore, tempi più distesi, la pazienza di affrontare un percorso pagina dopo pagina. E questo cozza un po’ con le esigenze del tutto e subito, i meccanismi del post. La grande letteratura solleva grandi questioni, pone grandi domande, lascia un po’ in braghe di tela perché non fa nulla per blandire i lettori. E questo è in contrasto, a volte, con le esigenze di un pubblico che è abituato a una sorta di prêt à porter dell’opera letteraria. Mi piace pensare però che anche in questo periodo i grandi classici della letteratura abbiano continuato ad avere un certo pubblico, seppur non di massa.