Alessandro Ardigò, Luca Barachetti, Agostino Cornali, Michela Frigeni, Paola Loreto, Marco Pelliccioli: sono solo alcuni dei poeti bergamaschi che abbiamo intervistato sulle pagine di Eppen negli scorsi mesi, all’interno della nostra rubrica #(di)versi. In occasione della «Giornata Mondiale della Poesia», abbiamo chiesto loro di farci dono di qualche verso.
Alessandro Ardigò
Un puro azzurro si ferma sulla fronte
oltrepassando il muro d’alberi al cielo.
Sono le vie antiche
della solarità.
(Alessandro Ardigò, da «Cedere e altre cose dette d’amore», Eretica edizioni, 2022)
Luca Barachetti
Che cosa posso dare al mondo
se non protendermi nel vuoto
inter-penetrare il tutto intorno
di alberi macchine animali e spore
radici e liane inappropriate e labili
che cosa posso dare al mondo
se non ricompostarmi nel garbuglio
di tutte le cose rinate e inappropriabili
nel noi che imparentando genera
la scorza tenera e l’intruglio
di un mondo nuovo
altro mostro nostro.
(Luca Barachetti, «Simpoietico»)
Agostino Cornali
Davvero fu un gesto di grande coraggio, attraversare da solo tutto il bosco
per raggiungerci nell’anno giusto, scritto a penna dietro la fotografia
quando ancora eravamo tutti, con le mani sulla tovaglia
e il filo d’oro dei discorsi, i nostri semplici discorsi, che brillava
per l’ultima volta
sull’orlo dei bicchieri
(Agostino Cornali, da «Undici poesie inedite»)
Michela Frigeni
Sai, la Notte
l’ho imparata
da sola
quando le estati
erano tunnel
infiniti
mancava l’aria
mancava il sonno
non c’era sogno
che tenesse
così pensavo
e lei m’insegnava
segreti
proibiti
fra trame
e orditi
La Notte pallida
oscura e silente
non mente
lei sente
prova a guarire
poco o niente
tu le racconti
passato e presente
lei invidiosa
se li prende
lasciandoti
vuota
come il cielo
d’estate
dove volano parole
cantate
stonate
che tanto ti ascolta
solo lei
Signora Oscura
tra tutti gli Dei
(Michela Frigeni, «Trama e ordito»)
Paola Loreto
Come cammini in un prato di crochi
appena nati che occhieggiano dall’erba
divertiti e allungano le braccia
bianche e viola, dalla pelle intenerita
tutta croccante nella luce nuova?
Io non saprei. E veramente non lo so
mai. Finisce che procedo saltellando
dove posso: nello spazio che mi resta
per non finirgli addosso: a destra
o a sinistra di quei mazzi pazzeschi,
spuntati nottetempo, quasi fossero
piovuti dal cielo in uno scroscio.
E se m’imbatto nel solito esemplare
solitario e impavido gli raccomando
tutta l’attenzione che può: piacerebbe
a chiunque esser vivi a quel modo,
indicibilmente. Riuscire a farlo
però – per più di un’ora, diciamo,
o una giornata – è impresa dura.
Immagina una vita.
(Paola Loreto, «Fai attenzione», da «In quota», Interlinea, 2012)
Marco Pelliccioli
Non so se è spavento, o gioia commossa
quando scendo dal treno sfiancato la sera
(i freni bruciati, la calca, le scale)
ma tu mi travolgi luce che giaci sepolta per mesi
e torni d’estate con canti perenni
guizzi nel fiume, la vigna e il ciliegio
che per lunghi mesi ho atteso fiorire,
e lei alla finestra, i nudi polpacci
le mani ora giunte che incrociano il cielo.
(Marco Pelliccioli, «L’inganno della superficie», Stampa2009, 2019)