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«Santa Barbara dei fulmini»: Jorge Amado fra religione, stregoneria e folklore

Articolo. Il realismo magico dello scrittore brasiliano diventa protagonista di un imperdibile appuntamento della rassegna «Fiato ai libri», sabato 24 settembre, alle ore 21, a Torre de’ Roveri. Il Cristianesimo e la religione Candomblé faranno di Santa Barbara / Yamsà la dea ex machina di una narrazione che fonde valori e inganni, la forza dei desideri e la crudezza della realtà, cambiando il destino e la storia di alcune vite mortali

Lettura 4 min.
Santa Barbara

È diventata famosa, letta e straletta nel tempo, la sentenza di Emily Dickinson per cui un libro è come un vascello, capace di portare la mente in contrade lontane. È una similitudine che nessun appassionato della lettura può smentire per quanto forse, nel tempo, ha assunto sfumature retoriche dalle quali ci si allontana. Poi accade che, leggendo «Santa Barbara dei fulmini» di Jorge Amado, sul vascello Viajante sem a Porto ci finisci davvero e lì inizia il viaggio che ti porterà ad attraccare nel Brasile degli anni Sessanta-Settanta tra grovigli di suoni e colori, caos di religioni e culture, feste di danze e profumi, sogni e realtà. Un personaggio con due nomi: Santa Barbara per i cristiani cattolici, la Dea Yansà per la santeria indios e africana, e un unico obiettivo: rendersi presenza incredibile e miracolosa.

La compagnia di Vicenza Pipa e Pece fa tappa alla Meccanotecica S.p.a. di Torre de’ Roveri (h. 21, ingresso libero senza prenotazione fino a esaurimento di posti) per mettere in scena l’esilarante e straordinaria vicenda che Amado consegna nel suo romanzo. Una storia si racconta, non si spiega!

Santa Barbara, «il cui grido di guerra accende crateri di vulcano sulle cime delle montagne»

Tutto prende vita in un Brasile calpestato dalla dittatura; al popolo sono offerte rigide regole di violenza, obbedienza, silenzio e rassegnazione. In questa cornice, pronta a diventare magma attivo della narrazione, sbarca a Bahia una statua, Santa Barbara, «quella dei fulmini», caratterizzata da un mazzetto di saette che custodisce gelosamente tra le mani. Destinata inizialmente a un’importante esposizione di arte sacra, appena arrivata, la Santa prende vita, diventa donna: Oyà Yansà, il suo alter ego bahiano, è pronta a vendicare la sottomissione della gente a lei cara. Signora dell’uragano, dichiara guerra alle ingiustizie, gettando nello sconforto gli alti vertici della società, in panico per la sua sparizione. Chi ha rapito Santa Barbara, e perché? Dove può nascondersi, ora che è cercata da ogni abitante della città?

A Torre de’ Roveri le voci narranti di Giorgia Antonelli, Annalisa e Titino Carrara accompagneranno lo spettatore nel vorticoso percorso di Yansà alle prese con la rigorosa morale puritana di Adalgisa, pronta a castrare il marito Danilo, ex calciatore donnaiolo, e a intromettersi con il suo scudiscio di cuoio nella vita sentimentale della giovane nipote Manela. Non mancheranno accanto a loro una moltitudine di altri personaggi che, con le loro intricate storie, saranno il pretesto per interessanti affondi sulle radici africane della cultura brasiliana, subissata da riti tra erotismo e spiritualità, tra spensieratezza e inevitabili difficoltà di vita. In «Santa Barbara dei fulmini» assistiamo a un completo ritratto di una società dicotomica, in cui l’allegria e le sbronze per le strade si rendono catarsi per non scontrarsi con l’asfissia del regime militare e di un perbenismo religioso vuoto. La capacità narrativa di Amado saltella freneticamente tra frammenti di vita romanzati, dando l’idea del movimento vitale insito di quel luogo, senza perdere mai il legame con la religione Candomblé, basata sul culto degli Orixa, vera anima popolare della città.

Una dea ex machina «non si spiega ciò che non ha spiegazione»

Yansà entra in punta di piedi nelle storie degli abitanti di Bahia cariche di difficoltà, sostrati e retaggi culturali, ponendo le esperienze degli uomini sotto il segno dell’eterno, impegnandoli a ripensare se stessi e le loro condizioni alla luce di potenziali soluzioni dagli orizzonti più ampi, più fattibili. Amado consegna alla “sua” Santa Barbara la chiave risolutiva di situazioni sociali arrivate a livelli estremi; sorge quasi spontaneo il parallelismo con quella strategia narrativa elaborata dai tragediografi greci, soprattutto in Euripide, per porre fine all’acme del pathos e del dramma, irrisolvibile dalla semplicità delle sole azioni umane.

Il Deus ex Machina, l’intervento risolutore di un Dio, è espediente finalizzato a garantire se non il lieto fine, almeno il chiarimento del senso complessivo di eventi nefasti che si sono verificati. Gli interventi di Santa Barbara sono allora fulmini in un ciel che così sereno non è, ma nel mazzetto che custodisce con cura e che la connota proprio come «quella dei fulmini» c’è racchiuso il desiderio di una rinascita umana dall’oppressione della dittatura, dalla costrizione culturale di cui non si trova più spiegazione.

Inoltre, non si può non notare come il tema del divino che si rende carne per amore di un popolo, con chiare reminiscenze cattoliche. È un atto d’amore verso donne e uomini che possano sentirsi più libere/i di decidere, di agire nella realtà.

L’arte giù dal piedistallo, «perché erano gente ordinaria, in continua lotta con misere difficoltà e seccature»

È un personaggio centrale, don Massimiliano Von Gruden. Direttore del museo di Arte Sacra di Bahia, è pronto a ricevere la statua di Santa Barbara non tanto per il valore della stessa, quando per veder crescere il suo consenso tra i pari. Impettito, non prova interesse per i poveri e gli umili, incapaci di cogliere l’intrinseco valore artistico dell’opera. È qui, allora, che l’arte stessa decide di scendere dal piedistallo, di farsi viva per partecipare attivamente alle storie della povera gente. È interessantissimo questo passaggio, si rende quasi denuncia del mancato ruolo sociale dell’arte nel postmoderno, chiusa nel suo elitario sistema e tra i discorsi colti di chi lo alimenta. Santa Barbara, appena arrivata, ha bisogno di perdere un po’ dell’aura artistica che la connaturava per riuscire a raggiungere il popolo, per farsi presenza comprensibile e pulsante nella realtà.

«Ars adeo latet arte sua» («Tanta è l’arte che nell’arte si cela»), scriveva Ovidio nelle «Metamorfosi», quando il suo Pigmalione si innamora della propria creazione – statua, resa viva dall’intervento della dea Afrodite. All’arte il compito di risolvere l’opposizione illusione / realtà in una predisposizione al mondo capace di cambiare le sorti. Santa Barbara, infatti, senza essersi avvicinata al popolo, non può ritornare inerme, chiusa nella più prestigiosa sala di un museo e destinata agli sguardi di pochi. In fondo, l’istituzione museale deve avere come obiettivo il farsi tramite tra l’opera e il visitatore, conciliare l’incontro, renderlo determinante. E di questo Santa Barbara, Oyà Yansà, ne è rappresentazione emblematica.

«Scrivendo mi sono divertito; se qualcun altro si divertirà a leggere, mi darò per soddisfatto», scrive l’autore nella prefazione al libro. La soddisfazione, ad Amado, credo non la toglierà nessuno.

Ps: la Meccanotecnica S.P.A di Torre de’ Roveri è in via Casale, 20, l’evento si svolgerà anche in caso di maltempo (è possibile parcheggiare in via Donizetti). Prima dello spettacolo sarà possibile vedere in funzione le macchine per la produzione industriale di libri prodotte da Meccanotecnica S.P.A ed esportate in tutto il mondo. Ritrovo ore 20.15. Infine, la serata sarà anche una occasione per ricordare la terribile alluvione che ha colpito la favela «Baixada Fluminense» di Rio de Janeiro, con l’aiuto dei volontari della rete Radié Resch.

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