Cambiare l’acqua ai fiori è una buona prassi per mantenerli freschi e farli durare più a lungo. Il prendersi cura, che sia di un giardino o di una persona, è al centro del best-seller francese di Valérie Perrin. Ed è anche una riflessione piuttosto attuale, che inaugura la quindicesima edizione di Fiato ai libri.
La rassegna, che negli anni passati era itinerante in tante biblioteche e spazi pubblici della provincia, ora va in onda in tre appuntamenti su Bergamo Tv. Le “letture ad alta voce” si trasferiscono in televisione per raggiungere (in sicurezza) un pubblico più vasto: sabato 7 novembre l’attrice Lucilla Giagnoni, accompagnata dalla chitarra di Pierangelo Frugnoli, leggerà passi scelti di “Cambiare l’acqua ai fiori” di Valérie Perrin dall’Abbazia Benedettina di San Paolo d’Argon. Il palinsesto letterario proseguirà sabato 14 e 21 novembre con “Scottature” di Dolores Prato e “La Peste” di Albert Camus.
“Cambiare l’acqua ai fiori” è l’unico libro recente della rassegna: un caso letterario che durante il lockdown di primavera ha scalato le classifiche dei libri stranieri più letti, grazie al passaparola.
Il suo segreto? È un bel libro ed è come una crêpe Suzette: piace a tutti. Le recensioni online sono mediamente entusiaste e la fama è meritata. È un romanzo ben scritto, che alterna momenti di poesia e riflessione, ma anche divertimento e leggerezza. Un po’ drammone, un po’ giallo, con qualche venatura rosa. La protagonista è la custode di un cimitero in Borgogna, Violette Toussaint, con un passato più che difficile, un presente fatto di piccole cose e un futuro da scrivere. Senza anticiparvi in alcun modo la trama, ecco cinque buone ragioni per leggerlo, e per sintonizzarsi su Bergamo Tv sabato 7 novembre alle 21.
Insegna a resistere
Violette Toussaint (il cognome, in italiano, suonerebbe come “Ognissanti”, il che lo rende anche appropriato al periodo) è l’emblema di quella orribile parola alla moda che si chiama “resilienza”. Si piega e non si spezza mai, ma preferirei definirla “resistente”. Orfana, infanzia infelice, un matrimonio fallito e un marito scomparso (non sto svelando nulla che non sia compreso nelle prime 20 pagine) Violette avrebbe mille motivi per essere triste, ma “assapora la vita a piccoli sorsi” e trova la felicità nella cura del giardino, in un tè al gelsomino, in un vestito rosa sotto un cappotto grigio. Tutte cose che, a seconda dei punti di vista, possono sembrare inezie e ripieghi, oppure una forma di saggezza. Specie se non sono leziosità fini a sé stesse, ma accompagnano una natura benevolente e generosa.
In questo frangente, Violette ci ricorda che c’è un modo adulto di affrontare il dolore e il sacrificio: a denti stretti e rimanendo saldi. Senza dimenticare di aggrapparci a tutto ciò che può portarci un po’ di felicità, da un bicchierino di porto, a una gentilezza fra colleghi di lavoro, alle fusa di un gatto.
Aiuta a distrarsi
Capita spesso che si enfatizzi il valore “formativo” di un libro, ma riuscire a intrattenere non è un obiettivo meno nobile. Non è questo che chiediamo a un romanzo quando la vita quotidiana diventa tediosa? Immergerci in un mondo altro, appassionarci ai personaggi e agli ambienti. Non avere pace finché il mistero non è risolto, palpitare insieme agli amanti, indignarci per le ingiustizie e assaporare i momenti di riscatto.
“Cambiare l’acqua ai fiori” offre tutto questo, grazie a una trama che procede come un orologio svizzero, fra passato e presente, svelando a poco a poco le ombre di Violette Toussaint, con un colpo di scena finale davvero ben riuscito. Un intreccio complesso, che vede tante sottotrame intrecciarsi alla storia della protagonista, in primis quelle le vite degli ospiti del suo cimitero. Un dettaglio di grande fascino se anche voi, come me, amate provare a immaginare i trascorsi di una persona scomparsa a partire da un’epigrafe, un paio di date e una foto.
È un romanzo di quelli lunghi (476 pagine), che fanno compagnia e si vorrebbe durassero ancora un po’ di più. Ci si affeziona a Violette, agli amici necrofori, al suo orto, ai suoi morti.
Vi farà riconciliare con vostra suocera
Non ricordo in letteratura nessuna suocera così insopportabile come la signora Toussaint. Posso dire, senza timore di spoiler, che raramente un personaggio così negativo è stato descritto in tutte le sue meschinità.
Vostra suocera vi critica per le vostre abitudini e manchevolezze? La signora Toussaint vi disprezza profondamente, considerandovi indegne del figlio. Vostra suocera è sgradevole e antipatica? La signora Toussaint ha sempre l’aspetto di chi ha appena mangiato un limone. Vostra suocera è invadente? La signora Toussaint decide e manipola tutta la vita di vostro marito e della vostra famiglia. Vostra suocera è tirchia? La signora Toussaint è patologica. Vostra suocera non vi considera? La signora Toussaint nemmeno vi rivolge la parola.
A libro concluso, non potrete fare altro che rivalutare la suocera che vi è capitata in sorte, o desiderare di sposare un orfano.
È un tuffo nella Douce France
Se l’autrice Valérie Perrin non fosse indubitabilmente francese, compagna del regista Claude Lelouch, direi che il libro offre un compendio di luoghi comuni sulla “francesità”, come potrebbero trovarsi su un depliant pubblicitario rivolto a una clientela estera. Un po’ come se in un romanzo italiano trovassimo la pasta, la pizza, il sole, il mare e anche il mandolino.
Non c’è Parigi, ma c’è tutto il resto: il Midi, con le sue coste assolate e la sua dolce vita, la Borgogna e i suoi paesini pittoreschi, lo stesso cimitero dove lavora Violette sembra il set di un film. Le omelette, le crêpe, il burro, i financier, il vino. Fazzoletti imbevuti di profumo, sapone di Marsiglia, rose e canzoni di Aznavour. Ma soprattutto, c’è la sensazione costante che i protagonisti siano sempre e inevitabilmente più eleganti di noi. Non sono ricchi – anzi, spesso vivono in condizioni di marginalità – ma hanno una classe innata e non puoi che immaginarteli con le facce di Jeanne Moreau, Jean-Louis Trintignant, Jean Dujardin o Juliette Binoche (sì, la Binoche sarebbe una splendida Violette).
Ci ricorda di non essere snob
Lo confesso: mi sono imbattuta in “Cambiare l’acqua ai fiori” proprio per via di Fiato ai libri. In libreria non l’ho degnato di uno sguardo. Non ricordo nemmeno di averlo visto, ma in ogni caso la combinazione “libro in testa alle classifiche” più “copertina rosa con donna con fiori nei capelli” mi avrebbe dissuasa senza neanche doverci pensare. Di solito non mi fa piacere leggere qualcosa nel momento in cui tutti la stanno leggendo: è come dover condividere un piacere personale, toglie il gusto della “scoperta”. E la copertina mi avrebbe fatto pensare (erroneamente) a un romanzo rosa, che magari leggerei anche, ma per il quale non spenderei mai 18 euro.
Eppure c’è una semplice verità: se una cosa piace a tutti probabilmente ha dei pregi. È come il cioccolato o la pizza margherita, che siano popolari non vuol dire non siano eccellenti. Certo, ci sono anche i fast food di scarsa qualità, le merendine confezionate e i best seller brutti. Ma si può mangiare male in trattoria come in un ristorante di lusso. Forse che Andrea Camilleri non ha avuto un successo trasversale? Eppure verrà ricordato come un maestro. Non so se sarà il destino di Valérie Perrin, ma il suo “Cambiare l’acqua ai fiori” vale il prezzo del biglietto, come una crêpe deliziosa comprata in un chioschetto durante le vacanze.