Mentre cammino fra le teche della mostra «Il sogno di una cosa. Pier Paolo Pasolini attraverso i libri della Biblioteca Civica Angelo Mai», che fino al 4 giugno sarà visitabile presso l’Atrio scamozziano della Biblioteca Angelo Mai, penso a cosa mi abbia lasciato davvero, a livello umano, Pasolini: intendo oltre le idee, le intuizioni, le storie e le immagini dei film. Cosa sia rimasto di lui in me dopo averlo frequentato tanto, cercandolo laddove era possibile, recandomi sulla sua tomba e alla sua casa friulana (trasformata in un magnifico centro studi, entrambe a Casarsa della Delizia). “Trovandolo” poi in altri autori, in canzoni (come la bellissima «Empirismo eretico» degli Ultimo Attuale Corpo Sonoro). “Chiesto” di lui a David Maria Turoldo, uomo affine nello spirito che ne celebrò il funerale.
La risposta forse è che Pasolini mi ha lasciato tante cose che non ho saputo del tutto vivere: la curiosità, l’intransigenza. Quella «disperata vitalità» verso le cose del mondo, la pulizia della sua lingua come modello. La calma, per me inarrivabile, nel dire conficcandosi profondamente dentro la realtà. Per questo esporre una buona parte dei suoi tantissimi libri, e quelli di chi su di lui hanno scritto e continuano a scrivere, è una sorta di “purificazione” dell’autore friulano. Trasformato negli ultimi anni in una specie di “santino”, un uomo troppo bello ed eroico per non diventare un mito, una rockstar, l’immagine di lui su Youtube, capelli al vento e soprabito. E in questa mostra, tornato all’essenza del suo scrivere, torna anche la sostanza del vero Pasolini: un uomo che lavorò in modo forsennato, scrisse libri, praticò la critica letteraria, disse la sua sui giornali, girò film. Un lavoratore dell’intelletto, vibrante d’urgenza, tragico in vita e in morte, “vivo” ancora oggi e non meno complesso.
«Credo che sia abbastanza evidente – mi racconta Marco Carobbio, uno dei due curatori della mostra insieme a Luca Guaschetti – che il nome di Pasolini sia sulla bocca di tutti, ipercitato, spesso a sproposito, ma veramente poco letto. Quindi fare una carrellata attraverso i titoli e la diversità della produzione di Pasolini era ridare a Pasolini il suo ruolo di autore e intellettuale. Quello che rende Pasolini così noto e nazionalpopolare è questo suo essere un intellettuale a tutto tondo, uno dei pochi del secondo Novecento». Pasolini nacque cento anni fa, e in questo 2022 le celebrazioni sono frequenti. Quella della Biblioteca Mai, tuttavia, è particolare: Pasolini attraverso i suoi libri e i libri che su di lui sono stati scritti fino ad oggi.
La mostra presenta un’idea di Pasolini che non è critica o divulgativa, ma è la visione che può dare una biblioteca di conservazione come la Mai (e già dal nome si capisce la differenza con una biblioteca «di prestito»): una visione bibliografica. «Abbiamo scelto Pasolini – spiega Marco – perché l’idea ci sembrava allettante, anche alla luce delle disponibilità della nostra biblioteca. Ciò emerge dalla presenza di pezzi storici, come le prime edizioni di molte opere pasoliniane, ma anche di libri più recenti, anch’essi in prima edizione».
E anche il titolo della mostra, «Il sogno di una cosa», «l’abbiamo pescato da un’opera narrativa di Pasolini, che a sua volta cita una frase dall’epistolario di Marx. Una citazione che sembra abbastanza neutra ma che è in grado di inglobare una produzione poderosa, oserei dire babelica, e al contempo difficile da racchiudere in una definizione, nel senso che Pasolini nel suo percorso toccò diversi generi e linguaggi, che a loro volta generarono libri, anche inconclusi a causa della morte e poi magari portati avanti a livello editoriale».
Emana un certo magnetismo guardare edizioni antiche di libri come «Ragazzi di vita», «Le ceneri di Gramsci» o «San Paolo» (che rimase un film mai girato): non è un sentimento da bibliofili, ma il richiamo della Storia del nostro Paese: «Quella di Pasolini è stata una produzione enorme e variegata, a cui abbiamo voluto dare dei punti fermi, affiancando alle singole teche dei pannelli che, senza fare critica letteraria di alcun tipo, cercassero di fissare semplicemente alcuni paletti, nel rispetto della sua biografia, e alcuni punti fermi dell’oggetto libro, ad esempio esponendo prime edizioni, ma anche nuove edizioni con particolari curatele di intellettuali che si sono occupati di lui».
Sono tutti elementi che tracciano la figura di un intellettuale sempre più studiato: «lo vediamo anche in queste settimane con l’uscita di testi critici su Pasolini e di testi di Pasolini stesso, dunque tentiamo di dare conto anche di queste recenti acquisizioni di filologia e critica, che si trovano nella Saletta dei ritratti accanto all’Atrio scamozziano, dove è collocata la parte principale della mostra».
Viene spontaneo chiedersi se fra un libro e l’altro vi siano delle pubblicazioni particolari: «I libri in esposizione non sono tutte prime edizioni, ma sono edizioni successive che danno conto di un’assimilazione progressiva del suo pensiero, anche dopo la sua morte, negli anni Ottanta e Novanta, sino ad oggi. Gli studi che si sono avvicendati nei decenni costruiscono uno spaccato della costante fascinazione che questo autore ha esercitato nella cultura italiana». Vedi alla voce «Asor Rosa, Franco Fortini e la critica militante del tempo, Oriana Fallaci, la vita scritta da Enzo Siciliano, il ritratto della morte di Dario Bellezza. Un campionario di intellettuali che ha continuato a suo tempo e successivamente a lavorare sulla figura di Pasolini. Abbiamo anche dedicato una sezione anche alle collaborazioni che Pasolini ha avuto con quotidiani e settimanali».
Marco è una persona realmente appassionata di Pasolini, lo si capisce dalla cura e dalla precisione con cui racconta la mostra di cui si è occupato: «Sono estremamente affascinato dalla figura di Pasolini. Direi che la cosa che più mi colpisce di lui è il coraggio, qualsiasi cosa ha fatto l’ha fatta gettando il cuore oltre l’ostacolo. Lo dimostra la quantità di censure, critiche negative e polemiche che ha dovuto affrontare, alla luce anche della sua vicenda biografica tormentata. Ma al di là di questo, le sue opere dimostrano una grande onestà nel guardare in faccia alle storture, ma anche alle bellezze della nostra società».
Nella presentazione della mostra Pasolini viene definito «uno scrittore che a quasi cinquant’anni dalla morte non ha esaurito la propria forza attrattiva e, per così dire, la propria missione». Leggendo queste parole siamo lontani dall’immagine un po’ stucchevole del «Pasolini profeta dei nostri tempi», è più un riconoscere la capacità dell’uomo di osservare la realtà e di amarla, tanto da riuscire a dire cose valide per l’oggi. Quindi, ci tiene a precisare Marco, «è importante tornare alla lettura del Pasolini narratore, poeta e critico della società. La missione di cui parliamo è in questo senso. Pasolini ha ancora qualcosa da dire a distanza di tempo ed è un autore che merita di essere letto, a partire dai più giovani».
A un certo punto mi trovo ad immaginare Pasolini a Bergamo. Dove precisamente non lo so, è più la voglia di sapere se è stato da queste parti. «Di contatti veri e propri non ho riscontro. Pasolini ha girato in lungo e in largo l’Italia, come viene raccontato ne “La lunga strada di sabbia”, un libro ripubblicato in anni recenti che nasce da un reportage del 1959 in cui Pasolini andò con la sua auto in giro per l’Italia». Peccato, niente da fare, ci rimane la Bergamo raccontata da Guido Piovene, non è poco. «Posso però dire che abbiamo deciso di creare una sorta di legame con Bergamo in un cantuccio della mostra, dove abbiamo esposto le prime pagine dei quotidiani locali il giorno dopo la sua morte. Su L’Eco di Bergamo e Il Giornale di Bergamo si vedono tutta la risonanza che ha avuto a livello locale la sua fine, un fatto che è stato ripreso anche nei giorni successivi. Addirittura sul Giornale di Bergamo c’era l’immagine del corpo straziato di Pasolini, un’immagine forte, che dice molto su quanto fece scalpore il fatto allora».
Poi Marco si ricorda di un articolo di Corriere della Sera Bergamo di qualche anno fa, firmato da Marco Roncalli. Pier Paolo Pasolini nel 1974 descriveva così Bergamo e i bergamaschi: «Quando amavo tutta l’Italia, Bergamo era una delle sue città che amavo di più. Era un’isola nell’Italia Settentrionale, in cui la vita popolare aveva lo stesso fascino della vita popolare di Napoli o di Palermo. Non che i bergamaschi mi sembrassero poco settentrionali, anzi, appunto perché “isola” o “area marginale” Bergamo conservava con maggiore violenza e fedeltà i caratteri della cultura nord-italiana. E non si può neanche onestamente dire che quella bergamasca fosse una sacca sotto-proletaria del Nord. Eppure nei bergamaschi c’era una violenza fisica, una rozza grazia carnale, che li rendeva “barbari” (con alle spalle la patrizia Bergamo Alta, e, davanti, una pianura conquistata). Il corpo dei bersaglieri era pieno di bergamaschi, con l’occhio bruno del realismo pittorico lombardo pre-caravaggesco, ma col volto molto più forte, segnato, cotto dal sole e dal gelo. Erano troppo onesti per essere briganti, ma erano troppo forti per essere solo dei bravi figli».
Il pezzo riporta anche un incontro per Cineforum nel 1969, le polemiche con L’Eco di Bergamo per il film «Teorema» che divise il mondo cattolico, il rifiuto da parte di una storica rivista bergamasca, La Cittadella, della collaborazione offerta dal giovane Pasolini e il coinvolgimento di diversi ragazzi bergamaschi per doppiare «I racconti di Canterbury». In effetti le voci di quel film qualcosa di famigliare alle mie orecchie lo hanno sempre avuto. Ora mi è più chiaro: caro Pier Paolo, solo la tua forza e libertà intellettuale e il tuo amore viscerale per il popolo avrebbero potuto congiungere la nostra «rozza grazia carnale» ai racconti di Chaucer, il padre della letteratura inglese.
Info
La mostra «Il sogno di una cosa. Pier Paolo Pasolini attraverso i libri della Biblioteca Civica Angelo Mai» è visitabile durante l’apertura della Biblioteca (8.45-17.30 lunedì-venerdì; 8.45-13.00 sabato). Le visite guidate con cadenza settimanale si svolgeranno, a partire dalle prossime settimane, il venerdì pomeriggio, dalle ore 16.30, con possibilità di prenotazione o partecipazione diretta (entro un numero ragionevole di partecipanti).