Mario Baudino è uno di quei giornalisti definiti “culturali” che vanno a indagare le forme espressive (libri, film, etc.) per trarne significati e suggestioni da offrire al lettore e alla collettività. Una categoria in via di estinzione, neppure tanto lenta, vittima com’è di quell’evoluzione – o involuzione, dipende dai punti di vista – del mestiere di giornalista in atto da ormai qualche decennio, ben prima del famigerato avvento di internet – categoria buona per tutte le situazioni quando si deve spiegare il perché e il per come di un fenomeno.
Baudino però non è solo un (grande) giornalista culturale, è anche un poeta (“La forza della disabitudine” è il titolo di una sua bella antologia uscita da poco per Aragno) e uno scrittore. “Il violino di Mussolini” (Bompiani) è la sua ultima opera, un romanzo in forma di commedia che rilegge la parabola del Duce ipotizzando, attraverso un libro misterioso, una morte diversa da quella ufficiale: ucciso con una manciata di colpi di pistola mentre suona il suo violino, rimasto poi sforacchiato di pallottole.
In realtà l’episodio di ducicidio è solo un pretesto per raccontare una storia bibliofila che vede ancora protagonisti i personaggi del precedente “Lo sguardo della farfalla”. Questa volta alla ricerca della famigerata nonché assai modesta opera scritta e pubblicata nel 1946 a ridosso degli avvenimenti che furono. Gli autori? Dei residuati di quella destra dittatoriale e mortifera che fu regime, da cui discende una nuova improbabile cricca di politici nostalgici, populisti facilmente riconoscibili e altri cialtroni assortiti. Questi si mettono sulla stessa strada della compagnia di bibliofili, generando una serie di situazioni comiche e rimandi a un presente dove le peggiori (nere) nostalgie riemergono. E un buon antidoto può essere riderne di gusto.
Baudino sarà a Fara Gera d’Adda per Presente Prossimosabato 26 ottobre (ore 18, ingresso libero, via Rosa 2): l’incontro è inserito nel calendario di Alfabeto del Presente e la parola che il giornalista de La Stampa analizzerà è Duce. Duce è il termine per eccellenza del linguaggio fascista e se è vero che ciò che diciamo riflette ciò che pensiamo (come singoli e come popolo) allora c’è da stare allerta.
LB: Baudino, sembra che del Duce non ci liberiamo mai.
MB: È una parola molto presente nel nostro tempo, utilizzata senza essere citata da alcuni politici populisti italiani e ribadita a suon di urla dalla parte avversa. “Fascista!” è una parola che è ritornata nel vocabolario della politica come insulto e delegittimazione.
LB: Se il Duce non viene archiviato dalla Storia neanche i fascisti scompaiono. Quelli de “Il violino di Mussolini” non sono esenti da bizzarrie.
MB: C’è una sorta di collegamento fra questi personaggi inventati e quelli del nostro tempo. C’è un cialtrone che colleziona reliquie del fascismo fino all’ossessione, non si lascia sfuggire addirittura cose ridicole tipo i peli di barbe, c’è un cultore del fascismo spirituale ed esoterico e ci sono i politici populisti tutti affaccendati nei loro traffici. Tra l’altro il collezionismo di cimeli del ventennio è un mercato oggi molto fiorente, anche questo è un segno dei tempi.
LB: Ma a cosa si deve il fascino del fascismo?
MB: I conti con il fascismo non sono mai stati fatti, quindi non ce ne siamo mai del tutto liberati. La mia idea è che il fascismo è stato l’espressione di una società e di una cultura, è diventato parte della nostra mentalità, per cui lo cacci dalla porta e rientra dalla finestra. Gli esempi nel dibattito politico del presente sono tanti, ben oltre i nostalgici tipo quelli di Casa Pound.
LB: “Prima gli italiani”, ad esempio.
MB: Nello slogan “prima gli italiani” c’è un qualcosa di fascista: con parole diverse lo si diceva anche allora, poi qualcuno disse che gli ebrei non erano così italiani come gli altri. Si diceva anche “il Duce ha sempre ragione”, un’idea che torna nella richiesta dei “pieni poteri”. Anche il desiderio di un uomo solo al comando, che ritorna in quasi tutte le stagioni della nostra storia recente, e di una velocizzazione dei procedimenti democratici, come se discutere e confrontarsi fosse inutile, hanno un’eco nel fascismo. Sono schemi concettuali che ogni tanto ritornano.
LB: C’è qualche reminiscenza fascista anche nei nostri populismi?
MB: Caratteristica del fascismo è l’infantilità, il pugno sul tavolo, dare sempre la colpa a lontane potenze, ai poteri forti. È il non volere mai fare i conti con la realtà da persone mature, un carattere che appartiene alla cultura nazionale. Quindi sì, qualcosa c’è.
LB: Con l’ascesa politica di Salvini è tornata la parola “fascista” come insulto delegittimante da parte dell’opinione pubblica.
MB: Dare del fascista a Salvini mi sembra antistorico, anche se lui strizza l’occhio ai nostalgici come quelli di Casa Pound. Però nel populismo leghista il fascismo rientra soprattutto nel linguaggio, che seppur con qualche aggiornamento lessicale e l’utilizzo smodato dei social è quello di allora. Ma non vedremo mai Salvini vestito d’orbace, questo è sicuro. Culturalmente però non è così lontano.
LB: Il contesto storico tuttavia è differente, e anche quello geopolitico. C’è il rischio di banalizzare ciò che fu il vero fascismo, in cui il dissenso era punito in modo violento.
MB: Il rischio c’è, per questo sono molto prudente e scettico nel dare del fascista o a Tizio a Caio, perché la reazione della gente potrebbe essere un bel chissenefrega. Il danno maggiore lo si fa non alle persone della mia generazione, che hanno conosciuto da vicino le persone che hanno fatto la resistenza e la cultura che si portavano dietro, ma ai giovani nati negli anni Ottanta. Questi il fascismo l’hanno letto solo sui libri e al massimo hanno ascoltato qualche testimonianza. A traballare è la questione storica, le cause e le conseguenze, la reale essenza di quello che il ventennio fu.
LB: C’è un ritorno del fascismo anche come tema letterario. Pennacchi, Scurati…
MB: È ormai da una quindicina d’anni che c’è un forte ritorno di interesse culturale verso il fascismo, riguarda la saggistica ma pure la letteratura. Si è ricominciato a parlarne quando Berlusconi ha sdoganato i post-fascisti, avviando il percorso di autocritica e di rielaborazione di Alleanza Nazionale, un partito che si rifaceva al fascismo storico ma che aveva un leader capace di andare in Israele. In quegli anni esce anche la biografia di De Felice su Mussolini. Prima di allora “fascista” era un epiteto, era come dare dello stronzo a qualcuno. Negli anni della contestazione di solito il “fascista” era il preside di un istituto scolastico. Oggi Salvini usa un linguaggio fascista e gli avversari hanno reintrodotto la parola fascista nel loro vocabolario. Quindi non c’è un ritorno del fascismo ma del linguaggio del fascismo.
LB: Lei ha dichiarato che in qualche modo Mussolini rappresenta l’inconscio della nazione. Freud diceva che dall’inconscio non ci si libera mai…
MB: Non ci si libera mai ma si può elaborare, lo diceva sempre Freud. Non so come si “guarisca” dal fascismo, probabilmente la scuola, la buona politica e una seria riflessione a livello intellettuale e politico su quello che fu Mussolini, rivolta alla cittadinanza italiana, potrebbe aiutare. Altrimenti non rimane che la psicanalisi, ma non abbiamo abbastanza psicanalisti per quasi tutta una nazione.