Se si volesse cercare una chiave di lettura per approcciarsi a un libro come «L’armonia dei frutti bacati» (Edizioni e/o, 2023), probabilmente la si potrebbe trovare nella parola «aporia». La trama dell’ultimo romanzo di Roberto Tiraboschi, infatti, è un motore alimentato da contraddizioni continue, che delineano il carattere dei personaggi (psicologicamente accurato), le loro azioni nonché il ritmo dell’intera opera. Antinomie che sono anche linguistiche e metanarrative e che mai si risolvono. Non cessano, però, di dialogare fra di loro, rivelando infine una sintesi organica e sorprendente. Tornano, in questo libro, le atmosfere inquietanti e oniriche di «Sonno» (Edizioni e/o, 2007), ma anche il tema del «doppelgänger», del disagio psichico e della malattia mentale.
A fare da sfondo, la città di Milano, catalizzatrice di flussi energetici vitalistici e, allo stesso tempo, estremamente mortiferi e quasi demoniaci. Ma «L’armonia dei frutti bacati» è, prima di tutto, un romanzo generazionale, sulla fatica dei ventenni e dei trentenni di oggi nello scovare il loro posto nel mondo e nello scoprire, oltre il mare della solitudine comunicativa, un centro d’equilibrio attorno al quale costruire un’esistenza sicura e serena. «Il libro narra la storia di tre giovani a cavallo fra la generazione y e z, alla disperata ricerca della propria realizzazione in una città apparentemente piena di opportunità come Milano – racconta Roberto Tiraboschi – Ognuno di loro nasconde un segreto, la parte bacata della propria esistenza. Quando le loro vite si intrecceranno, queste parti guaste emergeranno in tutta la loro violenza, facendo letteralmente deflagrare il rapporto che si era creato fra di loro. Avverrà dunque un ribaltamento delle prospettive, all’insegna anche di tradimenti e ipotetici furti d’identità, poiché nessuno di loro è, in realtà, quello che sembra».
Il doppio, due facce della stessa medaglia
C’è Sabrina, esuberante e inconcludente, dall’indole tipicamente dipendente (e per certi versi emotivamente fragile) ma che, a partire da un certo momento, rivelerà una personalità ambiziosa e cinicamente spudorata (emblematica, a tal proposito, la citazione di «Inserzione pericolosa» di Barbet Schroeder); poi c’è Milena: introversa, solitaria, autonoma e volitiva che, inesorabilmente, finirà per diventare una vittima a propria insaputa. Oppure no, chi lo sa? Già, perché «L’armonia dei frutti bacati» è un testo composto da due parti: la prima per mano di Sabrina e la seconda per voce di Milena.
«Il tema del doppio, all’interno del romanzo, è uno dei temi centrali se non il principale – spiega Tiraboschi – Nella storia della letteratura, c’è una grande tradizione a proposito di questo tema e ho trovato quindi stimolante e avvincente occuparmene e sperimentarlo. Forse, Sabrina e Milena sono due facce della stessa medaglia, due forme bacate dello stesso personaggio; forse una è il doppio dell’altra. Tutto si gioca attraverso polarità e ambiguità e colei che, all’inizio, pare la protagonista positiva, alla fine usa l’altra per realizzarsi. “William Wilson” di Edgar Allan Poe e “Città di vetro” di Paul Auster sono stati riferimenti fondamentali per la stesura di questo libro».
Un romanzo metanarrativo
Un punto di vista soggettivo (e relativo) per il quale l’autore interroga il lettore e, ironicamente, pare prendersi gioco di qualsiasi tipo di realismo. A ogni sezione, corrisponde un diverso tipo di linguaggio. Il primo, piuttosto scenografico e “di piacere”; il secondo, più letterario e “di godimento” (anche grazie alla suspence crescente in stile «Le verità nascoste» di Robert Zemeckis). In mezzo, il grande silenzio causato dalla pandemia di Covid-19: una pagina bianca che, principalmente, incarna lo spazio del possibile, il grande clinamen tensivo in cui germina il giro di boa delle protagoniste, proiettate verso un mutamento caratteriale e identitario all’insegna della maturazione personale e della creatività.
«Avevo necessità di trovare due stili diversi per due personaggi differenti – afferma Tiraboschi – A Sabrina mi è sembrato naturale far corrispondere una scrittura più convenzionale, lineare e semplice, mentre per Milena mi è parso più consono scegliere una scrittura nervosa, febbrile, libera, quasi un flusso di coscienza. Una specie di grande monologo, in linea con la sua aspirazione teatrale. Quel che il lettore crede essere una storia vera si rivelerà, però, una mera interpretazione, sia ad opera della prima protagonista ma anche della seconda. È assente, in questo libro, uno sguardo oggettivo, una narrazione onnisciente della quale ci si possa fidare ciecamente. I punti di vista cambiano continuamente e mettono tutto in discussione e contribuiscono ad alzare il livello metaletterario e metanarrativo dell’opera, che può essere concepita come uno spunto di discussione sul realismo. A tal proposito, all’interno del romanzo inserisco questa frase di Dostoevskij: “Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi della menzogna”. La pagina bianca fra le due parti, invece, sta a indicare la pagina bianca dell’esistenza, il vuoto che ogni personaggio (e ognuno di noi) si porta dentro e che si preoccupa di riempiere in modo diverso e nella migliore maniera possibile».
Il disturbo mentale, un male generazionale
In mezzo, però, sta anche Guglielmo: figura solare e narcisista che scombussola la convivenza delle due ragazze, ma che non sarà risparmiata da un’ineluttabile decadenza fisica e interiore. «Almeno due dei personaggi sperimentano evidenti episodi di nevrosi e rivelano seri disturbi psicologici – dice Tiraboschi – Quello della malattia mentale, del resto, è un problema diffuso e sentito fra i giovani. Il romanzo si sforza di restituire il panorama del giorno d’oggi: la tossicità dei social e delle relazioni ossessive, la manipolazione a opera di certe figure narcisistiche, la solitudine interiore che porta alla depressione, ma anche disagi così viscerali che conducono alla psicosi. A tal proposito, sono stato contattato da una psicoterapeuta che mi ha ringraziato per aver dato spazio a un tema che, purtroppo, riguarda un’intera generazione di giovani. Mi ha inoltre fatto i complimenti per l’accuratezza con cui l’ho riportato nel libro. Ne sono rimasto contento».
Una generazione illusa da promesse fittizie. «La società, oggi, investe i giovani di grandissime aspettative – spiega Tiraboschi – garantendo loro un successo immediato e soldi facili. Poi, sogni e desideri crollano inesorabilmente rivelandosi chimere irraggiungibili. Tutte queste aspettative (spesso alimentate anche dagli stessi genitori) generano un fardello sulle spalle dei ragazzi che, a volte, diventa insopportabile da reggere. Le conclusioni drammatiche che leggiamo sul giornale sono spesso il risultato di queste dinamiche velenose. Condizioni comuni, più di quanto si possa immaginare, che, come detto, interessano i personaggi del mio libro e che la pandemia di Covid-19 (che entra prepotentemente nella struttura del romanzo, facendo da spartiacque fra un “prima” e un “dopo”) contribuisce ad aggravare, soprattutto in un contesto metropolitano come quello di Milano». Una città, Milano, che fisiognomicamente rispecchia le vicissitudini e il sentire dei protagonisti. Quando sono felici e appagati, il capoluogo lombardo è la terra delle mille possibilità, della pulsione erotica e della vita; quando sotto i piedi di Sabrina e Milena si apre il maelstrom, Milano muta nella città della depravazione e della morte, della droga facile e dello sballo senza sosta.
L’armonia come ricerca, l’arte come salvezza
Ma le due ragazze non smettono mai di cercare, citando Rilke, una «fertile riva tra pietra e corrente» in cui potersi sentire a casa. «C’è una linea forse un po’ sotterranea che attraversa tutta la storia – dice Tiraboschi – ovvero quella della ricerca dell’armonia, un flusso positivo foriero di stabilità. I capitoli della prima parte del libro, che si rifanno alle forme del Tai Chi, indicano proprio questo anelito. Come se il viaggio di Sabrina e Milena fosse una grande seduta di Tai Chi alla scoperta di loro stesse, del proprio io. Ma tornando al tema del doppio, l’armonia è forse l’equilibrio fra le due personalità di uno stesso individuo, fra due modi di essere sensibilmente distinti. E il raggiungimento di questo equilibrio è la consapevolezza e l’accettazione della propria bacatura, dei propri limiti. Uscire allo scoperto e dichiarare la propria malattia credo possa essere un modo funzionale per intraprendere un percorso armonico e, a suo modo, salvifico».
Salvifico come l’arte. «L’unico personaggio che, nel libro, appare sereno e in equilibrio, è il pittore Ambro – spiega Tiraboschi – Non ha ottenuto il successo ma ha raggiunto una realizzazione piena. L’arte può quindi avere una funzione terapeutica, può dare forma al dolore. Del resto, alla fine, entrambe le protagoniste riusciranno a trarre dalla loro esperienza un testo letterario. E questa, oltre essere una grande forma di realizzazione, è a mio avviso un profondo messaggio di speranza».