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L’architettura senza confini della poesia di Candelaria Romero

Articolo. Nel 2021 è uscita l’ultima raccolta poetica dell’autrice e attrice bergamasca. Che descrive perfettamente come sia possibile “Abitare” – titolo della raccolta – tutto, anche ciò che non ha luogo sulle mappe

Lettura 4 min.

P er parlare della poesia di Candelaria Romero è bene partire dalla sua storia. Nasce nel 1973 in Argentina da genitori poeti, la famiglia esilia in Bolivia e successivamente richiede asilo politico in Svezia. Il padre è giornalista e scrittore e la madre ricercatrice per l’università di Stoccolma. Approda in Italia (a Bergamo) nel 1992 , dove conclude la formazione teatrale. Oggi si occupa di teatro, narrazione e poesia, è ideatrice del progetto di promozione alla lettura “ Il circolo dei narratori ” e cofondatrice della rivista web “ El Ghibli ”. Nel 2021 è uscito “ Abitare ” (Samuele Editore), il suo terzo libro di poesie, successivo a “ Poesie di fine mondo ” e “ Salto mortale ”, entrambi editi da Lietocolle.

Citando l’accurata prefazione di Mia Lecomte “la poesia di Romero è il risultato di un incrocio generazionale di lingue” . Parallelamente allo scorrere dei versi si snoda una storia di migrazione, fatta di idiomi, periodi storici e intimità familiare . “Il mio percorso di vita – spiega Candelaria – è strettamente legato alla mia storia personale. Sono nata in una famiglia di poeti e questo mi ha dato un’impronta. Sin da quando io e mia sorella eravamo bambine ci hanno inondato di poesia, sia in Argentina, poi in esilio in Bolivia e Svezia” . E ancora: “Abbiamo vissuto quel mondo non solo attraverso gli incontri pubblici, ma anche negli appuntamenti casalinghi in cui gli scrittori si ritrovavano. Da lì, nasce il nostro desiderio di scrivere, ci hanno portato a farlo iscrivendoci a laboratori per bambini, invitandoci a farlo sempre, a partire da una scrittura molto privata, come i diari che tenevamo quando eravamo ragazzine” .

Nelle poesie di “Abitare” le lingue svedese e spagnolo si attorcigliano creando sonorità in contrasto , come immaginari contrapposti che coesistono e si intrecciano per mezzo dell’interesse di chi li attraversa. “La poesia è un bagaglio che ho sempre portato con me e che si è arricchito nei vari viaggi e negli spostamenti che siamo stati costretti a vivere, questo si rispecchia nella mescolanza delle lingue che ho vissuto” . Eppure tutto torna ad una dimensione familiare capace di rendere comprensibile lo sconosciuto , i versi schioccano chiari e immediati con una cadenza rassicurante, come un album di fotografie in cui ogni soggetto abiterà per sempre quella porzione di spazio.

“Quello che scrivo l’ho sempre considerato personale, quindi c’è stata per molto tempo la paura di pubblicare. Anche per l’ansia da prestazione nel paragone con miei genitori, loro stessi si sono sempre autodefiniti scrittori, forse per un eccesso di umiltà, nella mia famiglia nessuno parlerebbe di sé chiamandosi poeta” , Romero ci offre dei versi maturi e privati dell’ego, nel senso più letterario. Ogni parola lasciata alla carta non appartiene più a nessuno, né a chi l’ha scritta, nemmeno a chi legge . C’è qualcosa di delicato in questa raccolta, che porta a sentirsi presi per mano per essere condotti in un mondo nato per essere condiviso. “La prima pubblicazione era una raccolta molto privata, da lì in poi, ho preso coraggio e sono andata avanti. Ma il timore resta, mi chiedo sempre se al lettore piacerà quello che scrivo, se potrà capire. Con il tempo ci si allena al dialogo con chi sta dall’altra parte dei libri, si impara a mettersi nei panni e la scrittura diventa diversa, inizia una nuova tappa, più matura, in cui non scrivi più solo per te, ma anche pensando che forse qualcuno ti leggerà” .

Quattro capitoli/tappe di un percorso che si schiude come una matrioska, dall’intimo al mondo esterno, per una transizione radicale e consapevole determinata da un cammino necessario, un viaggio a tutti gli effetti. Candelaria conferma che questa è la comune sensazione dei suoi lettori: “Data la mia necessità di avere uno scambio, ho scelto di fare delle presentazioni in casa, anche riprendendo un po’ la nostra tradizione familiare. In quelle occasioni ho avuto il piacere di poter chiacchierare con le persone e il riscontro è stato spesso legato al viaggio, tema che torna spesso. I lettori di abitare si sono sentiti trasportati, mi ha fatto piacere sapere che anche chi non è abituato a leggere poesie, abbia letto il libro tutto d’un fiato” .

Sorge spontaneo chiedersi perché proprio il termine “abitare” unisca questa raccolta di poesie mobili, un titolo che a molto rimanda, tranne che alla transizione. “Una cosa non esclude l’altra. C’è stato un periodo della mia vita in cui tutto era emergenziale: ero giovane e alla ricerca della mia strada, vivevo un costante scontro con la realtà, tra lotte e battaglie. Da quell’adrenalina nacque la raccolta ‘Poesie di fine mondo’, successivamente ‘Salto mortale’ ha segnato un passaggio dal mio vecchio mondo al nuovo. Infine, c’è stato l’arrivo con i piedi per terra in uno spazio che sento la necessità di ‘Abitare’, appunto” .

Un concetto effimero, privato di una dimensione materiale, e al tempo stesso radicato in una realtà concreta tutt’altro che aleatoria : “Si può abitare tutto: la casa, la famiglia, il lavoro, un quartiere. In un modo che non sia urgente, né adrenalinico, ma fatto di piccole cose, non fisso nel suo significato, ma strettamente legato al bisogno di fermarsi ed osservare da vicino e con una certa tranquillità. Abitare non presuppone un equilibrio statico, ma una volontà di stare all’interno delle cose” .

È evidente che questa raccolta sia il risultato di un percorso letterario personale. I versi risuonano giusti, in un equilibrio, talvolta musicale, tipico di una certa capacità di ascolto e ricerca interiore : “Prima scrivevo poesie in modo istintivo e correggevo poco; questa ultima raccolta l’ho conclusa nel 2018, da quel momento fino ad arrivare alla pubblicazione c’è stato un tempo di correzione, dialogo con l’editore, un processo molto lento che ha mi permesso di entrare nelle parole in modo approfondito” . È questo ciò che consente al lettore di ritrovarsi sempre, in ogni luogo, come un vissuto che si fa collettivo , perché agganciato a temi che riguardano tutti: “Il capitolo del bosco è completamente dedicato a Elvira, una fanciulla che appare in queste poesie e rappresenta per me una tragedia reale: mia nipote, che è venuta a mancare qualche anno fa. Con lei ho scritto della scelta di riuscire a vivere il dolore in un modo che non ti frantumi, che non ti porti alla follia né alla depressione. Non si tratta soltanto di pensare che la vita va avanti e matura, ma anche di imparare a scegliere come vivere ciò che ci accade, la morte di qualcuno parla della vita . Così Elvira è anche un luogo e questa morte che accade in un bosco, rende ogni bosco Elvira” .

Case, bosco, corpo, cose. I quattro capitoli racchiudono versi che tracciano perimetri: “I titoli sono stati messi nella fase finale del lavoro, dopo aver raccolto tutte le poesie dividendole per periodo, più che per concetti, ho trovato che ci fossero dei temi ricorrenti, dei riferimenti al corpo o a oggetti” , specifica Romero. “Anche nei laboratori che tengo con gli adulti mi piace lavorare su questo processo dell’abitare che parte dall’introspezione personale e dalla presa di coscienza del sé, del proprio corpo, un corpo che abita una casa, che si inserisce all’interno di un contesto urbano. Così il percorso che sto portando avanti in altri ambiti professionali, ha finito con l’essere strettamente intrecciato al libro” . E forse è proprio questo a piacerci tanto della poesia di Candelaria Romero: una commistione di esperienze tanto intensa da forare il suolo e radicare nelle fondamenta del sé .

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