È una storia di un doppio e di mille possibili quella che racconta Stefano Mecca, autore, attore, regista e animatore del Teatro Prova di Bergamo. “Il gatto nero nella stanza buia”, edito da Scatole Parlanti, arriva dopo altre incursioni nella narrativa, racconti, una raccolta di romanzi brevi (“Scacco in quattro mosse”, edito da Bookabook nel 2018). L’autore lo presenterà venerdì 18 febbraio presso la biblioteca di Brusaporto e venerdì 25 febbraio presso la libreria “Il gabbiano” di Trezzo sull’Adda.
Poco più di una novantina di pagine, un romanzo breve che ha quasi i contorni di una parabola che procede per ellissi, per raccontare una storia di formazione e riflettere sulle potenziali diramazioni in cui può dirigersi – o incastrarsi – l’esistenza. E forse è proprio a questo che si riferisce il titolo, che – come scrive l’autore – è una dichiarazione del fisico Yogendra Srivastava estrapolata da un video su Youtube: “Un fisico teorico è una persona quasi cieca in una stanza buia che sta cercando un gatto nero che non c’è”. Dichiarazione che a sua volta riformula una frase di Bertrand Russell: “Un filosofo è un uomo cieco, in una stanza buia, che cerca un gatto nero che non c’è. Un teologo è l’uomo che riesce a trovare quel gatto”.
Un fisico teorico, un filosofo, un teologo. Eppure si direbbe che in quella stanza buia potremmo starci un po’ tutti quanti, a cercare un gatto nero che non c’è o non si trova. Ma cos’è quel gatto nero? Cosa rappresenta? È una metafora per cosa? Ognuno provi a darsi una risposta. Mecca vuole darci qualche suggestione intessendo la storia di Sebastian, un bambino come tanti altri, ma che nel suo primo giorno di scuola incontra il sé stesso di qualche anno più grande (“dalla sua ombra ne viene fuori un’altra”). Una presenza che lo accompagnerà per tutta la vita, una presenza che è monito-guida che si palesa in una dimensione quasi onirica ma ben agganciata alla materialità del presente di Sebastian.
Questi incontri misurano il polso di un what if, quello che in un film di Kieśloswski si chiama “Destino cieco” (assai prima delle “Sliding Doors”) l’esistenza in una dimensione parallela (o chissà quante altre) che rappresenta il possibile incompiuto attraverso alter-ego paradigma di una pluralità di possibili: “Siamo due possibilità parallele, è questo il gioco, no?” afferma il Sebastian più grande, chiamato “l’Altro” con slancio psicanalitico, lacaniano.
Sono tanti e importanti i temi sul piatto, forse troppi perché in certi casi è necessario scavare e darsi lo spazio per farlo. Ad ogni modo Mecca costruisce una storia che si affida volentieri alle metafore per parlare di destino, (pre)determinazione del sé, casualità, ricerca della felicità e insoddisfazione, e di come approcciamo all’esistenza, al suo significato – il gatto nero? – come spazio tra due sponde in cui sono innumerevoli le traiettorie di rimbalzo, ma ognuna irreversibile.
“Anche cancellare gli piace: cancellare per correggere, cancellare per rifare o cancellare per iniziare qualcosa di nuovo. Quando sbaglia con i pennarelli non può tornare indietro e buttare via i disegni, e questa è una cosa che gli fa venire le lacrime di rabbia e tristezza”.
Sebastian diventa un fisico teorico, determinato, pragmatico, deferente; l’Altro è un artista, un pittore con una storia da bohemièn, la piega che ha preso la sua di vita lo ha reso disilluso, cinico, distaccato. Il loro incontro-confronto implica un processo di conflitto e di attrazione che porta entrambi a una trasformazione, ad acquisire consapevolezza, alla scoperta di un equilibrio nell’assorbire il meglio anche di ciò che non sono diventati. È una convergenza tra quasi opposti che si trova anche nella scelta di guardare il tema da più punti di vista. C’è il realismo, il sovrannaturale, il filosofico, il fantastico. E lo scientifico naturalmente, essendo Sebastian un fisico teorico: “Una cosa come noi due può anche essere spiegata con il wormhole, cioè il buco del verme (...) un cunicolo spazio-temporale”. Anche questa passione per l’interdisciplinarietà si aggiunge agli elementi che qualificano positivamente il libro di Mecca, sempre in grado di stimolare l’intelligenza e l’intraprendenza interpretativa del lettore nel lasciarlo con più domande che risposte.