Quanto manca Primo Levi. Quei suoi modi pacati, la voce gentile, le parole sempre precise e soppesate, la tensione morale dietro tutto ciò che si premurava (e angustiava) di raccontare. Quanto manca, oggi, quel suo sguardo così acuto sul «campione umano» – parole sue – nel vitro della società contemporanea. E la sua voglia di combattere facili interpretazioni e stereotipi, di andare oltre una concezione manichea del mondo che vuole le persone solo buone o cattive, bianche o nere, e non, piuttosto, fatte ognuna con una sfumatura diversa di grigio.
La voce, le parole, lo sguardo. La sintesi tra narrativa, saggistica, filosofia morale, storia, memoria, esperienza. Tutto in Primo Levi parla di un profondo rispetto per la complessità delle cose, di un’insaziabile curiosità verso il mondo come laboratorio e le sue dinamiche come reazioni . Tutto osservato da una lente radiografica, etologica, laboratoriale appunto: prerogativa del chimico, quale è sempre stato fino alla pensione, prima ancora che partigiano improvvisato, deportato, sopravvissuto, poeta e scrittore, testimone e divulgatore. All’origine di tutto c’è il mestiere di chimico, senza il quale, per sua stessa ammissione, non sarebbe sopravvissuto al campo di lavoro di Monowitz, ad Auschwitz, dove riuscì a ottenere un posto di assoluto privilegio nel laboratorio di chimica della Buna, la fabbrica di gomma in cui lavorò negli ultimi mesi di prigionia.
C’è poi il mestiere di scrivere. Qualcosa che è diventato davvero la sua unica professione solo una volta raggiunta la pensione, dopo trent’anni di lavoro da chimico e dei soli fine settimana – «e nemmeno tutti» specifica lui – dedicati alla scrittura. Guarda caso, il primo libro in cui può dirsi ufficialmente scrittore di professione è «La chiave a stella».
Il lavoro e la letteratura
Il chimico e lo scrittore, il lavoro e la letteratura. Sono aspetti indissolubili nella vita e nell’opera di Primo Levi. In ogni suo libro compare il tema del lavoro. C’è il lavoro nel lager, «tormento del corpo e dello spirito, mitico e dantesco», uno dei motivi portanti della deportazione di massa, intesa come enorme concentrazione di forza lavoro da sfruttare e in cui nazismo e capitalismo si sono scoperti complementari e propedeutici l’uno all’altro – ne parla bene Enzo Traverso. Lavoro nel lager che, come dimostra il caso di Levi, può essere per alcuni vita e per altri morte, dritto e rovescio, afflizione e redenzione insieme: «Il lavoro poteva invece talvolta diventare una difesa. Lo era per pochi che in lager riuscivano ad essere inseriti nel loro proprio mestiere: sarti, ciabattini, falegnami, fabbri, muratori. Questi, ritrovando la loro attività consueta, recuperavano in pari tempo, in certa misura, la loro dignità umana» («I sommersi e i salvati»).
C’è il lavoro come fondamento dell’etica del Greco, memorabile personaggio di «La tregua» , secondo romanzo in cui Levi racconta la sua Odissea verso Itaca dopo la liberazione ad Auschwitz. Del tema del lavoro è innervato «Il sistema periodico», la raccolta di racconti in cui ripercorre vicende autobiografiche attraverso alcuni elementi chimici – si consideri anche solo «Nichel», in cui racconta il suo primo impiego in laboratorio e contemporaneamente la nascita della consapevolezza di voler scrivere e raccontare: ancora, chimica e scrittura. E poi «L’altrui mestiere», «I sommersi e i salvati».
Come detto, non c’è opera in cui non si trovi il tema del lavoro, e che non sia influenzata dal suo essere chimico, anche in termini linguistici. «Ci sono altri benefici, altri doni che il chimico porge allo scrittore. L’abitudine a penetrare la materia, a volerne sapere la composizione e la struttura, a prevederne le proprietà ed il comportamento, conduce a un insight, a un abito mentale di concretezza e di concisione, al desiderio costante di non fermarsi alla superficie delle cose. La chimica è l’arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a dare corpo alla propria fantasia» scrive in «Ex chimico», ne «La chiave a stella».
«La chiave a stella»
Naturalmente, il lavoro è centrale soprattutto in «La chiave a stella», che narra le vicende di Faussone, un operaio immaginario che gira il mondo facendo il montatore, e che Levi incontra per caso durante uno dei suoi tanti viaggi per conto dell’azienda chimica, la SIVA di Torino, di cui fa il direttore. Faussone è un testimone, racconta le sue memorie, e Levi le raccoglie restituendole con un parlato-scritto che è anti-letterario, un italiano regionale e popolare in uso nell’aristocrazia operaia urbana piemontese: è il lavoro che entra nel linguaggio attraverso il gergo. Anche Levi è un montatore: tutti gli scrittori lo sono. E montando le storie di Faussone delinea una sua etica del lavoro, tipicamente borghese. In «Primo Levi di fronte e di profilo», Marco Belpoliti scrive: «L’ideale leviano è quello dell’Homo faber, dell’uomo che attraverso il lavoro costruisce se stesso e il mondo. Conrad è lo scrittore che gli ha fatto scoprire l’epica del lavoro, che è tutt’uno con il senso dell’avventura, con la sfida, ma anche con la possibilità dell’«errore», tema principale nei discorsi di Faussone, il quale associa il lavoro alla possibilità di sbagliare e quest’ultima all’esperienza che fa diventare veramente uomini».
È un’etica “dell’opera ben fatta” che trova nella soddisfazione di un lavoro fatto bene uno dei pochi strumenti con cui raggiungere una parvenza di felicità, una «approssimazione alla felicità», come spiega ancora Belpoliti. Un aspetto, questo, non privo di un risvolto della medaglia, di un lato oscuro, di una contraddizione che ha radici molto profonde: basta pensare a Lorenzo, il muratore civile (non prigioniero) presente in «Se questo è un uomo» che aiuterà Levi a sopravvivere. Un’ambiguità naturale che ha a che fare con il senso di dignità, e su cui Levi riflette in «I sommersi e i salvati»:
«Ho notato spesso su alcuni miei compagni (qualche volta anche su me stesso) un fenomeno curioso: l’ambizione del “lavoro ben fatto” è talmente radicata da spingere a “far bene” anche lavori nemici, nocivi ai tuoi e per la tua parte, tanto che occorre uno sforzo consapevole per farli invece “male”. Il sabotaggio del lavoro nazista, oltre ad essere pericoloso, comportava anche il superamento di ataviche resistenze interne. Il muratore di Fossano che mi ha salvato la vita (...) detestava la Germania, i tedeschi, il loro cibo, la loro parlata, la loro guerra; ma quando lo misero a tirare su muri di protezione contro le bombe, li faceva diritti, solidi, con mattoni bene intrecciati e con tutta la calcina che ci voleva; non per ossequio agli ordini, ma per dignità professionale».
«La chiave a stella» è un romanzo che in realtà è una raccolta di racconti capaci di reggere anche autonomamente. In «Tiresia», per esempio, Levi affronta proprio «il mestiere di scrivere» e il suo rapporto con il lavoro manuale del montatore Faussone: «è più facile accertarsi se è “in bolla d’aria” una carpenteria metallica che non una pagina scritta», tradendo quella che in seguito definirà “un’invidia dello scrittore” verso il montatore e il suo potersi dotare di strumenti per verificare, passo per passo, se il lavoro che sta facendo è un buon lavoro.
Sono storie che Levi ha raccolto nei suoi numerosi viaggi per conto della SIVA di Torino e dai racconti di amici. Il libro è stato pubblicato proprio in questo giorno, il 12 ottobre del 1978. Durante il 1979 si aggiudica il Premio Strega e il Premio Bergamo.
Il Festival
«La chiave a stella» verrà presentato a «Produzioni Ininterrotte», il Festival di Letteratura del Lavoro di Crespi d’Adda domenica 16 ottobre alle 21. Sarà una serata di teatro-lettura in collaborazione con «Fiato ai Libri», con la partecipazione di Ferruccio Filipazzi e Claudio Fabbrini.
Del Festival (programma completo a questo link), ci racconta qualcosa Giorgio Ravasio, presidente dell’Associazione Culturale Crespi d’Adda: «È un evento molto importante questo perché lancia un progetto di collaborazione con il sistema bibliotecario bergamasco e bresciano in occasione di Bergamo e Brescia capitali della cultura 2023, finanziato da Cariplo e supportato da Regione Lombardia: la volontà è di creare degli itinerari inediti della cultura del lavoro e dell’industria in territori oltre Crespi che condividano i temi del lavoro in contenitore che unisca cultura, diritto, convegnistica. “La chiave a stella” è stato scelto dall’organizzazione di Fiato ai Libri che quest’anno è nostro partner, e la sera di domenica 16 presenteremo il progetto di trasformazione di “Produzioni Ininterrotte” in qualcosa che si allarga nel territorio, che ambisce ad essere itinerante e più grande di quello che è oggi. Quello che cerchiamo di fare è di creare un grande network di persone e istituzioni interessate al tema in modo tale che diventi sempre più un evento collettivo in cui tante realtà possano riconoscersi».