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«Gaza davanti alla storia» di Enzo Traverso: in gioco ci sono i presupposti della nostra coscienza morale

Articolo. Traverso è uno degli storici della Shoah e della violenza di Stato tra più i più autorevoli a livello internazionale. In questo ultimo lavoro affronta il presente della questione palestinese alla luce della storia, con una voce decisamente fuori dal coro. E quanto mai lucida e preziosa.

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Anas-Mohammed (Shutterstock.com)

Questo piccolo volume, ciò che si direbbe un istant book se sul tavolo della questione non ci fossero almeno gli ultimi 76 anni, ha il pregio sempre più raro dell’onestà intellettuale che si accompagna alla conoscenza profonda dei fenomeni in questione (la violenza di Stato, il rapporto tra oppressore e oppresso, la distinzione tra carnefici e vittime a dispetto delle mistificazioni). Enzo Traverso, che ha lungamente studiato tutto questo nelle maglie della questione ebraica, della violenza nazista, dell’uso pubblico della storia e della memoria, con « Gaza di fronte alla storia » (Laterza, 2024) prova a sciogliere una serie di grumi attorno ai quali si è coagulato il discorso politico-mediatico occidentale in questa nuova fase del cosiddetto “conflitto israelo-palestinese”, conseguente l’attacco del 7 ottobre 2023.

Evento sul quale l’autore in primis non coltiva ambiguità, e aggiunge: «è stato atroce, ma deve essere analizzato e non solo condannato» poiché «il terrorismo di Hamas è il risvolto dialettico del terrorismo dello stato israeliano», e citando il presidente dell’ONU Antonio Guterres, «non è avvenuto nel vuoto. È stata l’estrema conseguenza di decenni di occupazione, colonizzazione, oppressione e umiliazione». Traverso articola le sue riflessioni nella consapevolezza di uno squarcio sempre più largo e profondo tra l’opinione pubblica – cui è ormai evidente la brutalità di Israele – e la grande maggioranza dei governi occidentali.

Basti pensare anche solo alle diffuse orecchie da mercante rispetto le pronunciazioni della Corte Internazionale di Giustizia, l’organo giudiziario delle Nazioni Unite, l’ente sulla cui autorevolezza sono costruite le basi di una convivenza tra stati che si vuole fatta di civiltà e moralità perfino dentro conflitti in cui ci si ammazza a vicenda: la Corte ha definito Israele uno stato in cui vige un regime di apartheid, decretato illegale l’occupazione della Palestina dal 1967, “incaricato il governo di porre fine all’occupazione, smantellare i suoi insediamenti, fornire risarcimenti completi alle vittime palestinesi e facilitare il ritorno degli sfollati”.

Eppure, nulla sembra muoversi, e la mattanza batte un ritmo forsennato, quotidiano. In pochi mesi Israele ha ucciso più di 40mila persone, di cui quasi la metà bambini. E poi ci sono più di 90mila feriti, 10mila dispersi, si assiste al dilagarsi di carestie a Gaza, al propagarsi di malattie infettive, con scuole, università, ospedali, archivi, luoghi di culto rase al suolo. A rischio c’è un intero popolo, il suo presente, il suo passato.

È in questo cortocircuito tra la presunta “superiorità morale” che si arroga il mondo occidentale e la realtà quotidiana a Gaza e in Cisgiordania che Traverso prova a riflettere e a mettere ordine tra le mistificazioni correnti dei cosiddetti mainstream media, provando a ragionare sui motivi di questa “doppia morale” che pietrifica il mondo liberale e gli impedisce di condannare senza ambiguità la barbarie cui quotidianamente assistiamo da mesi. Anche per questo non è un libro di storia, specifica l’autore, poiché la storiografia ha bisogno di separarsi temporalmente dagli avvenimenti di cui si occupa: è invece un tentativo di illuminare il presente con una luce che attraversa la storia della questione israelo-palestinese, per rimettere in ordine le carte e allargare la prospettiva.

Un approccio in controtendenza, come scrive Marco Revelli su Doppiozero, «in tempi in cui il vezzo prevalente, e non privo di malizia, è la de-storicizzazione sistematica di ciò che accade, con una visione puntiforme degli eventi – siano essi il 24 febbraio per l’Ucraina, il 7 ottobre per Israele, o prima ancora l’11 settembre per gli Stati Uniti –, quasi che l’orrore scaturisca dall’istante, da una qualche “perversione morale”, senza nulla alle radici, né sul piano evenemenziale né su quello culturale».

E allora Traverso affronta le questioni apparentemente più spinose, con un approccio distante da quello cui ci siamo abituati, forse inaccettabile per molti, ma rivelatorio: la definizione di genocidio e come si possa applicare in pieno a ciò che sta succedendo in Palestina; l’accusa infamante (e pericolosamente controproducente) di antisemitismo verso chiunque alzi la voce contro le politiche del governo israeliano; la differenza abissale tra antisionismo e antisemitismo; la convergenza tra sionismo e destra conservatrice ed estrema in chiave antimusulmana e nei termini di uno “scontro di civiltà”; il “diritto a difendersi” dei palestinesi con la legittimità di ogni movimento di liberazione (sancita dalla convenzione di Ginevra).

Infine, la necessità di una sola possibile soluzione che contempli uno stato binazionale, una repubblica democratica chiamata Palestina in grado di garantire uguali diritti a tutti i suoi cittadini, ebrei, musulmani, cristiani. Che è poi il senso dietro lo slogan «From the river to the sea, Palestine will be free, «che la maggior parte dei media si ostina a definire antisemita» scrive l’autore. Eppure, spiega, è l’unica soluzione possibile per la pace. Nella capacità del mondo occidentale-liberale di superare le proprie contraddizioni per fare di quella pace una realtà giacciono i presupposti stessi della coscienza morale di cui, con così ostentato orgoglio, si fregia.

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