Agostino Cornali nasce a Milano nel dicembre del 1983, città in cui vive con i nonni fino all’età di sei anni, successivamente si trasferisce a Bergamo con i genitori. Laureato in lettere classiche all’Università degli Studi di Milano con una tesi sul poeta latino Draconzio, nel 2016 entra in ruolo come docente di Lettere. Nel 2011 ha pubblicato la sua prima raccolta, «Questo spazio può essere nostro», per l’editore LietoColle. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste cartacee (Le voci della luna, Atelier), nell’antologia «Post ’900, lirici e narrativi», Giuliano Ladolfi Editore, e su blog e siti letterari.
Davvero fu un gesto di grande coraggio, attraversare da solo tutto il bosco
per raggiungerci nell’anno giusto, scritto a penna dietro la fotografia
quando ancora eravamo tutti, con le mani sulla tovaglia
e il filo d’oro dei discorsi, i nostri semplici discorsi, che brillava per l’ultima volta
sull’orlo dei bicchieri.
(Agostino Cornali, inedito)
CD: Come e quando ti sei avvicinato alla poesia?
AC: L’interesse verso la poesia è nato in me molto presto. I miei primi esperimenti di scrittura poetica risalgono all’infanzia. Mia madre conserva ancora dei quadernetti con testi in versi che ho scritto nelle vacanze estive tra la quarta e la quinta elementare. Mi piace sottolineare questo particolare perché ho iniziato ad approcciarmi alla poesia molto prima che mi venisse insegnata a scuola. Tant’è che l’incontro con le prime poesie in quegli anni è stato del tutto casuale, in un’aula studio della scuola, dove passavo i pomeriggi. Nessuno mi ha invitato a leggere i classici degli autori del Novecento, ho trovato i libri e ho iniziato a leggerli in totale autonomia. Un avvicinamento decisamente antiaccademico, forse proprio questo ha generato in me l’appassionamento. Non ho avuto alcun obbligo di studio, o di analisi, al contrario, ho potuto gustare i testi in modo diretto.
CD: Una vera e propria attrazione?
AC: Ciò che più mi ha affascinato della poesia è il suo linguaggio definitivo, preciso, in grado di farmi provare delle emozioni che non sentivo allo stesso modo con altre letture. Ho iniziato a scrivere facendo esperimenti, chiaramente con un linguaggio che oggi definirei “strano” e non userei mai. Crescendo, ho sempre continuato, anche se non sempre in modo regolare, non ho mai smesso di farlo, naturalmente cambiando stile, interessi e temi. La mia formazione – quantomeno quella iniziale – si è costruita sulla lettura dei grandi autori del Novecento. In particolare Montale, che per me è stato un riferimento fondamentale soprattutto nella costruzione di personaggi femminili.
Tu sola sapevi che il moto
non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno
è la più diffusa delle nubi.
(Eugenio Montale, «Xenia I» da «Satura», 1971)
CD: Come riesci a tramandare la stessa passione ai tuoi studenti?
AC: Come professore, ciò che mi prefiggo è di trasmettere agli alunni quel fascino che io ho provato di fronte a certi testi poetici, prima ancora di sapere le regole della scrittura poetica. Con questo non voglio assolutamente dire che non vadano sapute, anzi, ma l’impatto che io ho vissuto è difficile da restituire all’interno di una struttura istituzionalizzata come la scuola. Chiaramente, imparare e conoscere la poesia da un punto di vista più tecnico permette poi di comprendere a pieno il laboratorio del poeta, dall’uso degli aggettivi alla scelta delle rime. Per quanto la conoscenza delle regole arricchisca la lettura, è necessario un primo impatto di fascinazione libero dagli aspetti retorici.
CD: Parliamo dei tuoi libri, a partire dal primo «Questo spazio può essere nostro».
AC: La mia prima pubblicazione è edita da lietoColle nel 2011 a seguito della vittoria di un concorso della casa editrice. Si tratta di una raccolta piuttosto breve in cui ho parlato di me cercando di ricostruire un’identità dell’io lirico. Essendo nato a Milano, poi trasferito a Bergamo, avendo vissuto la prima infanzia con i nonni e successivamente con i miei genitori, ho sentito la necessità di osservare questi cambiamenti dentro di me. Il titolo fa riferimento alla promozione di spazi pubblicitari: quei cartelli che incontri lungo la strada che promuovono la stessa possibilità di promuoversi. Il tema centrale della prima raccolta, sviluppato poi anche nella successiva, è il rapporto tra chi scrive e lo spazio attorno. In quegli anni avevo davanti a me scenari paesaggistici diversi – città, montagna e campagna – e mi interessava scavare nel mio rapporto in relazione a questi. Anche rispetto a stati d’animo come nostalgia, benessere e propensione alla visione futura.
perché questa è terra di frontiera,
dove solo chi parte
s’incontra per le scale
(Agostino Cornali, «Porte de Vanves», da «Questo spazio può essere nostro», 2011)
CD: C’è un secondo libro, pubblicato qualche anno dopo.
AC: Nel «Tredicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea», edito da Marcos y Marcos, ho scelto di parlare del rapporto tra spazio e storia. Ciò che mi interessava, arrivato a quel punto, era scavare dentro quegli spazi e scoprire la loro storia per comprendere meglio la mia relazione con loro. Ognuno dei testi ha in esergo un toponimo di luoghi che in qualche modo mi hanno toccato, o turbato, e verso i quali ho sentito la necessità di andare in profondità. La silloge inizialmente sarebbe dovuta essere una raccolta più corposa, ma il rapporto con quei luoghi ha subìto dei cambiamenti modificando le urgenze di scrittura, così ho scelto di fermarmi.
Un giorno qualcuno
prenderà il nostro posto
per altri millenni ancora
in un silenzio stratificato,
fossilizzato.
(Agostino Cornali, Mozzanica, da «Tredicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea», 2017)
CD: Stai lavorando a qualcosa di nuovo?
AC: Per un lungo periodo mi sono fermato, ho ripreso a scrivere circa un anno fa qualcosa di abbastanza diverso. Ho scelto di concentrarmi su spazi chiusi, riprendendo l’indagine legata alla prima raccolta: il mio legame con certi ambienti; collegandomi alla scomparsa dei miei nonni. Ho cercato di costruire un’immaginaria reazione di una famiglia, di fronte alla scomparsa di un proprio caro. Ovviamente in modo distorto, surreale ed estraniante, non c’è nulla di patetico o realistico, si tratta di fatti mai avvenuti. Il cuore della raccolta è la scomparsa di qualcuno che è stato importante. Si tratta di un lavoro in pieno svolgimento al momento, quindi non sono in grado di rivelare di più.
CD: Quali sono le tue riflessioni in merito alla poesia italiana contemporanea?
AC: Ho una visione positiva, con la premessa che non conosco quasi per nulla la situazione degli altri paesi. Qui il panorama è florido, ci sono molti poeti, con altrettanti esperimenti ed esperienze. È possibile leggere poesia di generi molto diversi, perciò ritengo impossibile che chiunque non possa trovare un poeta o uno stile adatto a sé, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Forse per questa stessa ragione è più difficile oggi individuare correnti e scuole come si faceva fino a qualche decennio fa.
CD: C’è qualche rischio anche nella diffusione a macchia d’olio? Secondo te come sta la poesia?
AC: È un dato anche oggetto di studi: la situazione attuale è talmente ricca da risultare quasi caotica. Inoltre, i social hanno reso primaria la necessità di autopromuoversi, talvolta a discapito della qualità. Sono dubbioso anche su questa esplosione di eventi, penso che la poesia sia prima di tutto concentrazione e silenzio, vorrei meno eventi, ma più approfonditi. Forse sono necessarie più indicazioni, soprattutto per chi è ai primi approcci, per capire come affacciarsi al mondo della poesia e dove trovare contenuti validi. Per arrivare alla pubblicazione sono necessari molto studio e preparazione, come per qualsiasi altro campo letterario.