Franco Nembrini è insegnante e saggista, attualmente tra i più richiesti divulgatori danteschi in Italia e all’estero. Da ormai un decennio si occupa di raccontare Dante e la “Divina Commedia” attraverso libri, programmi tv, interventi pubblici. Un impegno che non poteva che confermarsi nell’anno delle celebrazioni per il 700esimo anniversario dalla morte del poeta fiorentino. “Dante poeta del desiderio” è, tra l’altro, il titolo del suo primo ciclo di commenti alla Commedia.
MR: Cosa intende con desiderio?
FN: Prima di tutto devo dire che mi ha colpito che in occasione dell’anniversario dantesco il papa abbia usato questa definizione, “poeta del desiderio”, nella lettera Candor lucis aeternae in cui rilancia gli studi su Dante. E mi ha colpito perché è una definizione che è un po’ un mio cavallo di battaglia. Intendo Dante come poeta capace di descrivere l’esperienza umana come caratterizzata da questa tensione invincibile e insopprimibile al bene, al vero, al bello, alla felicità. È fatto di desiderio. Io l’ho sempre usata come parola perché mi sembra suffragata proprio da Dante. Nell’etimologia latina la parola desiderio viene da desidera, “tensione verso le stelle”. Dante poeta del desiderio è quello che mette alla fine delle tre cantiche la parola stelle, proprio come un segnale poetico fortissimo a dire che tutto il suo tentativo di descrivere la vita dell’uomo è il tentativo di descrivere l’uomo come tensione verso le stelle.
MR: Eppure quella del “desiderio” è una categoria con un’accezione tutt’altro che nobile: il desiderio è mercato, consumo, nichilismo...
FN: Con Dante e la Commedia siamo all’opposto. Il problema dell’uomo è proprio non abbassare la soglia del desiderio ma viverlo per quello che è, necessariamente, per natura. L’uomo è tensione verso le stelle, cioè verso l’infinito e l’eterno, per usare due parole di Leopardi. Il problema della modernità è il tradimento di questo desiderio, l’abbassamento della soglia del desiderio a un livello istintuale, di consumo. Tant’è vero che qualche anno fa un rapporto annuale ISTAT denunciava l’assenza del desiderio come il male peggiore della nostra società: la gente non desidera più, non si cimenta più con ideali alti da raggiungere. Si accontenta. Pensa anche alla canzone “Il desiderio” di Giorgio Gaber, un monumento fantastico a quell’accezione della parola desiderio di cui parlavo prima: tensione verso la bellezza, l’infinito, la felicità. Questo desiderio manca. Dante ce lo ricorda, ci ricorda qual è il nostro vero desiderio. La Commedia aggiusta il tiro dei nostri desideri, ridà l’oggetto adeguato ai nostri desideri.
MR: Si parla tanto di contemporaneità della Divina Commedia. E in questo senso la si potrebbe definire un’opera di autofiction, un genere oggi molto in voga. Quanto conta il fattore esperienziale della narrazione in quella famosa contemporaneità di cui si parla? C’è dentro – semplificando – quella stessa forza che ci tiene sui social network?
FN: Sì, con la differenza che invece di essere dispersiva e frantumata in mille sollecitazioni non ordinate che non si ricompongono in una proposta con uno scopo e un fine concluso, la Divina Commedia è un percorso vero, un cammino fatto di tappe, maestri, suggerimenti, passi fatti senza ritorno, fino al compimento proprio di quel desiderio. Perché il finale è inequivocabile: ho chiesto a Dio di poter capire finalmente la questione più grave che c’è da capire nella vita, e Dio mi ha fatto la grazia di farmela capire.
MR: Eppure, pensando alle tendenze del presente, sembra quanto di più inattuale possa esserci: lunghezza, complessità, profondità dei temi, il tempo e l’approfondimento che richiede...
FN: Da questo punto di vista è un’alternativa vera, secca. Hai ragione, è il contrario di quanto oggi viene proposto: l’immediato consumo, il tutto subito, la frantumazione del contenuto. È per questo che è preziosa oggi. I giornalisti mi chiedono sempre: ma come fa, qual è il trucco per interessare i ragazzi di oggi? Sembra una cosa impossibile. Io rispondo sempre: ma come impossibile? È la cosa più facile che c’è. Certo, a una condizione. I ragazzi sono resuscitati nel loro interesse e nel loro prendersi in mano dal fatto che hanno un adulto davanti che si sta prendendo in mano, si sta giudicando, si sta guardando, sta imparando lui dal dialogo con Dante. Se non assistono a questo in loro non si muove niente, lo rifiutano...
MR: Funziona?
FN: Quando accade è una cosa che non può lasciarli indifferenti. Ieri facevo questo esempio. Tu cominci la lezione che hai l’impressione di avere davanti un’aula vuota con gli alunni dipinti sul muro, tanto sono schiacciati lontano da te. Si ritraggono. Come fai a riguadagnarli? Io mi metto a leggere Dante, e siccome ancora commuove me – e succede ancora perché ripenso ai miei amici, alla mia storia, al mio papà e alla mia mamma, alle cose che non vanno: alla vita, insomma – quando alzo la testa i ragazzi si sono scollati dal muro e diventati vivi, i banchi camminano, e te li trovi intorno alla cattedra ad ascoltare. E ascoltano non uno che vuole insegnargli Dante, ma qualcuno a cui sta succedendo qualcosa. E quanto più sono lontani, confusi, bisognosi tanto più capiscono che questa è una proposta vera, interessante.
MR: Ci saranno pure delle difficoltà per chi cerca di rinverdire o rinnovare le modalità di divulgazione della Divina Commedia...
FN: La difficoltà più grossa in Italia è quella di superare un pregiudizio che fa sentire Dante lontano, astruso, incomprensibile, non moderno. C’è stata sempre nella scuola una presentazione di Dante, e di tutta la letteratura, in senso accademico, esegetico, di critica letteraria. Quando hai davanti la pagina di un poeta con una riga e sotto una paginata fitta di note, come si fa? Non può piacere. Se invece parti al rovescio, e dici ragazzi sentite un po’ che roba questo qui, dice che si era perso proprio, e non capiva più cosa ci facesse al mondo a fare nonostante le cose gli andassero benino, a 35 anni. Incontra un tizio che è il suo vecchio maestro e gli dice di essersi mosso perché una ragazza straordinaria, lucevan li occhi suoi più che la stella – “stella”, ci risiamo – è venuto a cercarlo per chiedergli di andare in soccorso del suo vecchio moroso. E lui le ha chiesto, non ti fa schifo venire qui dove siamo noi, tu che sei in paradiso e vedi il bene e il bello della vita? E lei risponde Io son Beatrice, che ti faccio andare, vegno di loco ove tornar desio, amor mi mosse, che mi fa parlare. Tu tiri su la testa, guardi i trenta ragazzi e gli chiedi: ragazzi, cosa dite di un amore così? Cosa pensate di una donna che tutti i giorni va a riprendersi all’inferno il suo uomo, per amore? Ti assicuro che anche il più disinteressato ha scritto in fronte “che bello sarebbe”. Poi se lo dimentica un minuto dopo, ma in quel momento capisce.
MR: Dipende dall’approccio di chi insegna, insomma.
FN: Dipende tutto dall’approccio di chi insegna. L’educatore o fa questo lavoro oppure cosa fa? E vale per tutto, chimica e fisica... tutti noi abbiamo amato una materia a scuola anche per l’entusiasmo con cui la comunicava l’insegnante, c’è poco da fare – no?
MR: Negli ultimi anni Dante e la Commedia sono garanzia di successo di pubblico, nonostante la letteratura sia sempre meno al centro dell’interesse collettivo.
FN: Ci sono molte ragioni, e molto complesse. L’organizzazione della società, i ritmi frenetici. Io attribuisco il merito storico a Roberto Benigni di aver dissepolto Dante, e con lui il gusto della letteratura. Io lo davo per morto Dante, era una fatica riparlarne fino a vent’anni fa. Sembrava di voler riesumare i morti. È arrivato Benigni che ha fatto un’operazione storicamente straordinaria, gli andrebbe fatto un monumento. Ha preso Dante e ha fatto vedere che coincide con la nostra anima, che c’è una corrispondenza di sensibilità, di desideri e di bisogni. E questo lo ha reso di nuovo interessante a platee immense di gente. Sull’onda di questo mi sono inserito anche io, senza neanche volerlo perché mi hanno cercato per fare questo lavoro, e dico la mia anche io. Mi rendo conto di pescare e di rispondere a un interesse e a una curiosità che sono state resuscitate dal grande lavoro di Benigni.
MR: La struttura del cosmo che immagina Dante è stupefacente considerate le limitate conoscenze dell’epoca. Anche per come ha poi influenzato l’immaginario: sappiamo che il Purgatorio, ad esempio, esiste come categoria letteraria prima ancora che religiosa. Come nasce la cosmogonia dantesca?
FN: Dante è un genio che riesce a fare sintesi, io credo che lui sia stato veramente un santo e abbia avuto delle visioni da mistico degne di San Giovanni della Croce. Dove ci sono lacune e vuoti sopperisce da una parte con la fantasia e dall’altra con l’intuizione che la fede gli suggerisce. Così riesce a mettere insieme i pezzi in una visione unitaria mai più ripetuta, e che fa veramente impressione. Allora c’è tutta la tradizione antica, l’aristotelismo di cui era imbevuta la società del tempo, c’è San Tommaso... Riesce a condurre a un’unità tutto il sapere precedente e, ripeto, aggiungendo di suo alcune intuizioni che sono straordinarie. Del Purgatorio lui ne fa la cantica più incredibile di quel che sente esistenzialmente, cioè che l’ultima parola sulla vita non è il male ma la misericordia. E allora lo immagina come quel passaggio che tutti dobbiamo compiere in cui la misericordia di Dio interviene per riportare alla purezza originaria l’anima di ciascuno.
MR: E ne fa una montagna dall’altra parte della terra, in corrispondenza speculare all’inferno.
FN: È tutto parte di un ordine, di una logica ferrea che sta insieme dal punto di vista esistenziale e che fa i conti senza perdere un colpo con le conoscenze scientifiche dell’epoca, anche superandole in qualche punto, completandole in modo nuovo. Certo, sono cose ancora da studiare... A un astrofisico come Marco Bersanelli, che studia le origini dell’universo, una volta feci notare quello strano verso per cui nel 33esimo del Paradiso San Bernardo, presentando Dante alla Vergine, dice: Questi che da l’infima lacuna de l’universo in fin qui ha vedute... Infima lacuna significa estremità, estremo margine. Se la terra è al centro come si giustifica questo estremo margine? È il margine o il centro? E Bersanelli ipotizzava che Dante abbia intuito in qualche modo la quarta dimensione. Passato in Paradiso avviene un rovesciamento per cui Dio non è più nell’empireo all’estremità dell’universo ma è al centro; ciò che era al centro diventa estremità e ciò che era estremità diventa centro. Una roba da spaccarsi la testa. Eppure ci sono dentro intuizioni di questo tipo. Straordinarie.
* Il professor Nembrini interverrà nella mattina di sabato 25 settembre, presso il Patronato San Vincenzo di Bergamo, all’inaugurazione della statua “El Dante” di Adelfo Galli, raffigurante l’incontro tra Dante e Beatrice nel Paradiso terrestre. Qui tutti i dettagli.