Classe 1997, Michela Frigeni è bergamasca. Nel 2016 esordisce con il suo primo racconto fantasy “Shalama – La Congrega della Rosa Bianca” pubblicato in self-publishing; nel 2017 si dedica alla poesia con la raccolta “Chi c’è in ascolto?” pubblicata con Alétheia Editore. Quest’ultima opera e l’Università di Lettere a Bergamo le permettono di entrare a far parte del collettivo artistico Ring Letterario. Con loro, pubblica la raccolta di brani da reading “Fight – per un pugno di parole” edita da Edizioni Underground? a marzo 2018. Con la stessa casa editrice pubblica “Nelle mie scarpe”, una raccolta di racconti a tre voci, con le scrittrici Beatrice Casirati e Alice Paina. “Menarca” è la sua ultima pubblicazione.
“Menarca” come inizio della sofferenza, di un dolore che prima è anomalo e poi diventa la cosa più familiare che esista. Il tema esoterico è uno dei tre cardini della raccolta, oltre all’amore e al sesso. Il menarca è il filo conduttore: un dolore analogo alla malinconia, la quale è il sottofondo sonoro di ogni poesia. La raccolta è divisa in tre parti: “Luna Crescente”, “Luna Piena” e “Luna Calante”. Ogni capitolo fa riferimento ad una fase lunare che racchiude l’umore. Il primo capitolo è dedicato all’innamoramento, il capitolo centrale alla consapevolezza di sé (dove ha sede la parte spirituale), infine, l’ultimo capitolo rappresenta l’addio o l’arrivederci di un amore malinconico.
“Ero talmente leggera che me ne sono andata non appena il vento ha soffiato”: inizia con questi pochi versi la raccolta poetica di Frigeni, che racconta di aver scritto “Menarca” per l’urgenza di svelare un lato nascosto di sé, profondo e oscuro: “L’ispirazione era tanto limpida davanti ai miei occhi che ho voluto renderla visibile anche agli altri disegnando alcune poesie”.
CD: Cosa rappresenta il “menarca” nella tua poesia e qual è il legame con il tema esoterico?
MF: Il titolo di questa raccolta di poesie mi è sempre stato chiaro, ma quello che rappresenta si è costruito nel tempo, mentre scrivevo le poesie e creavo le illustrazioni, quando rileggevo e correggevo e rileggevo ancora. Nella mia poesia il menarca rappresenta proprio l’inizio. Nonostante non sia la prima raccolta che scrivo e pubblico e nemmeno il primo libro, “Menarca” è finalmente un’opera che sento mia in tutto e per tutto. Tengo molto alla spiritualità, nel momento in cui ho imparato a convivere con un ciclo mestruale doloroso, ho iniziato a conoscere i segnali del mio corpo, e spesso mi trovo a pensare che come funziono io funziona anche la Terra. Inoltre, la luna è il mio corpo celeste di riferimento, il mio preferito, e la parola “Menarca” ricorda la dea Mena della mitologia romana, protettrice della fertilità e delle mestruazioni, che veniva identificata proprio con la luna.
CD: Le emozioni che descrivi sono spesso rappresentate da correlativi oggettivi, sono gli stessi a ispirare le tue illustrazioni?
MF: Direi di sì. Mi piace che le poesie che scrivo abbiano immagini concrete che il lettore può vedere davanti ai suoi occhi mentre si immerge. Perciò, è stato naturale illustrare alcune delle poesie di “Menarca”. Nessun disegno è stato creato per imposizione, sono nati tutti in maniera molto naturale perché semplicemente li vedevo nella mia mente mentre scrivevo. Avendo, poi, una memoria fotografica l’immagine per me è fondamentale e fa nascere emozioni. In questo modo, secondo me, una poesia può offrire un’esperienza al pari di una canzone, dove le immagini sostituiscono i suoni. Rendere la poesia concreta e ricca di immagini le permette di non essere solo un pensiero sfuggente che non lascia il segno nella memoria di chi lo incontra.
CD: C’è dolore nelle tue parole, atavico e personale, che cerca un appiglio nell’amore in senso assoluto. Credi che la poesia possa essere terapeutica? Se sì, lo è per chi legge o per chi scrive?
MF: Sì, penso che la poesia possa essere un’ottima terapia, ma credo sia così solo per chi la scrive. Chi legge una poesia può trovare delle parole utili a rappresentare il proprio stato d’animo, ma nella gran parte dei casi trova linguaggi da decifrare. Leggere poesia può essere rilassante, ma non credo terapeutico. Come un’opera d’arte moderna può lasciare totalmente impassibile al primo impatto, per incomprensione o per il pensiero che non sia abbastanza letteraria per essere considerata poesia. Ma la storia che sta dietro alla creazione di una poesia è pura liberazione da un pensiero che si ingigantisce dentro e che altrimenti morirebbe, o ci farebbe morire.
CD: Sono versi diretti ed immediati: segui uno stile preciso, o una tecnica, oppure hai delle regole personali nella scrittura?
MF: Una regola personale che ho sempre cercato di seguire è quella del linguaggio semplice. Non ho mai voluto utilizzare parole troppo auliche che non mi appartengono solo perché scrivo poesia, non sono affatto una purista del lessico poetico. Piuttosto, mi piace rendere concreti i pensieri associando vere e proprie immagini. Negli ultimi anni ho sperimentato semplicemente esercitandomi e le poesie di “Menarca” sono il risultato: ogni verso deve avere un significato a sé stante, sono da eliminare le parole che appesantiscono il ritmo della lettura e ho deciso di togliere qualsiasi segno di interpunzione se non strettamente necessario. Riassumendo una poesia libera e semplice, concreta e il più possibile “colorata”, ovvero che attraverso le emozioni che suscita possa essere collegata a un colore o più colori.
CD: Qual è stato il tuo percorso? Come sei arrivata alla pubblicazione?
MF: Ho iniziato ad amare la scrittura sin da piccola e ho pubblicato il mio primo racconto a 18 anni. Mi sono dedicata alla poesia per sfogarmi della rabbia e della bellezza che archiviavo come spettatrice di un mondo che non sentivo mio e che mi impauriva. Poi, ho conosciuto Maurizio e Gregory, gli editori di Edizioni Underground?, nel 2018, quando, con un gruppo di universitari, ho contribuito alla fondazione di un collettivo artistico chiamato “Ring Letterario”. Edizioni Undeground? ha pubblicato la raccolta dei brani delle prime serate di reading nel volume “Fight – per un pugno di parole”. Dopo la chiusura del collettivo sono rimasta in contatto con la casa editrice con la quale ho pubblicato “Nelle mie scarpe” sempre nel 2018, una raccolta di tre racconti, tra cui uno mio, e poi è arrivato “Menarca” nel 2021.
CD: Chi sono i tuoi riferimenti nel panorama letterario e in che modo ti hanno aiutato a scrivere?
MF: Ho trovato d’ispirazione i libri di Rupi Kaur. Il modo in cui parla di dolore e d’amore è molto intimo e speciale. Credo anche che comunichi benissimo il suo stile e per questo si merita la mia attenzione. Tuttavia, devo confessare che i miei riferimenti sono più musicali che letterari. La mia fonte di ispirazione maggiore è la musica, solo come ascoltatrice non musicista. Infatti, ho dedicato a “Menarca” una playlist su Spotify dal titolo “Dove si nascondono gli amanti” (che è anche il titolo di una mia poesia), dove si possono trovare tutte le canzoni che hanno ispirato la raccolta e gli artisti, ma soprattutto le artiste, che preferisco.
CD: Poeta o poetessa? Quale linguaggio scegli?
MF: “Poeta” è una parola che mi piace usare come termine invariabile che rappresenti chiunque scriva poesie. Essere chiamata “poetessa” mi è sempre sembrato un diminutivo. Pare un termine pomposo e poco attuale, mentre il termine “poeta” è snello e si presta bene anche rivolgendosi al femminile. Piuttosto, mi identifico semplicemente come autrice o scrittrice (qui le declinazioni al femminile mi sembrano più dignitose), giusto per non precludermi altri scenari letterari oltre alla poesia.