S e a Natale volete regalare un libro non è necessario che seguiate a menadito le classifiche. Ad esempio provate a dare un’occhiata a questi 5 titoli.
“La bella indifferenza” di Athos Zontini (Bompiani, 2021)
C’è un’intervista in cui Slavoj Zizek parla del “Joker” di Todd Phillips ammettendo di non averlo visto. Aggiunge qualcosa del tipo: in Joker mi sembra fondante questo aspetto: la maschera che indossa non nasconde ciò che egli è, ma lo svela. La normalità è la maschera, quando diventa Joker non fa altro che essere il vero sé stesso (come vale per il personaggio di Jim Carrey in “The Mask”, e non vale per una delle tante versioni di “Zorro” , ad esempio).
Un meccanismo per cui coprire equivale a svelare , e che implica la comprensione profonda delle cose attraverso il camuffamento, la schermatura, l’interdizione. Anche “Cecità” di Saramago mi pare costruito su questo principio. E così mi è parso per “La bella indifferenza” di Athos Zontini (Bompiani, 2021), che con “Cecità” condivide – credo non a caso – un incidente scatenante che avviene nelle primissime righe del romanzo, e che in entrambi i casi indica la direzione in cui procedere: sotto la superficie.
Ettore Corbo è un commercialista quarantenne, sposato ma ancora senza figli (lamenta la moglie), una vita borghese piena delle tante cose fragili con cui spesso si riempiono le vite borghesi. E che non di rado finiscono per diventare improbabili colonne portanti di esistenze così predisposte a implodere o accartocciarsi nell’insoddisfazione e nel rimpianto. Soprattutto se una mattina, alzando lo sguardo dallo smartphone, non si riuscisse più a scorgere il volto delle persone ma solo “un ovale di pelle senza lineamenti, il guscio di un uomo incorniciato dai capelli” , un po’ come i manichini dei quadri di De Chirico . O si continuasse a vedere i volti solo attraverso la mediazione di uno schermo, senza che la scienza medica riesca a dare una spiegazione.
E allora questo mascheramento, questa interdizione dall’empatia che scatena la vista di un volto sconvolge tutto, e tutto svela: un’esistenza senza un particolare significato, i rapporti costruiti sulle convenzioni, le futilità, le menzogne, gli opportunismi . Tutto comincia a perdere senso, e il nulla ad acquisirlo. Le cose della vita scivolano via come l’acqua su un impermeabile, si vive continuamente in una bella indifferenza, da straniero (anche Camus è piacevolmente presente) al punto di sublimarsi nell’amore per una bambola inanimata.
“La lunga marcia” di Stephen King (prima edizione italiana Arnoldo Mondadori Editore, 1985)
Molto prima del successo di “ Squid Game ”, precisamente tra l’autunno del 1966 e la primavera del 1967, una matricola dell’università del Maine scrive un romanzo intitolato “La lunga marcia” . A causa del rifiuto di un concorso per opere prime, finirà dimenticato nel baule di una soffitta. Questo giovane risponde al nome di Stephen King e quel romanzo, che l’autore pubblicherà nel 1979 con lo pseudonimo Richard Backman , è in realtà il primo scritto di uno degli autori di maggiore successo degli ultimi cinquant’anni, e forse colui che più di altri ha contribuito a plasmare una dimensione immaginaria su cui ancora fa affidamento tanta produzione letteraria e audiovisiva del presente.
“La lunga marcia” racconta la storia semplice e spietata di un gioco annuale trasmesso in diretta TV nazionale in un’America dai contorni distopici. 100 giovani (volontari) devono marciare, scortati da militari coi fucili spianati, per centinaia di chilometri : dal confine del Canada fino a Boston, a piedi, senza soste e con una velocità minima da mantenere, soggetti a un regolamento implacabile che prevede l’uccisione di chi superi le tre ammonizioni. Chiunque riesca a raggiungere la meta, riceverà il Premio: qualsiasi cosa desidera, per tutto il resto della vita.
Insomma, si può dire che nel retroterra di una delle ultime mode del consumo audiovisivo internazionale salga flebile ma udibile, come un respiro sinistro, la vocina di Stephen King che sussurra: “l’avevo pensato già 50 anni fa” . Nel 1982 l’autore pubblica, ancora con lo pseudonimo Richard Bachman, “L’uomo in fuga” , altro romanzo a cui “Squid Game” deve certamente molto (giochi violenti in diretta TV, morte o denaro, in buona sostanza). Insomma, se vi è piaciuta la serie coreana, provate un po’ col primo romanzo di un ragazzetto di 19 anni della provincia statunitense. Promette bene.
“La scommessa psichedelica”, a cura di Federico Di Vita (Quodlibet Studio, 2020)
Prima che il perbenismo e un approccio puramente ideologico perseguitassero gli psichedelici (più o meno dalla fine degli anni Sessanta) e li lasciassero relegati nel refugium peccatorum degli ambienti controculturali, spogliandoli delle riconosciute potenzialità mediche per cui erano state sintetizzate, c’è stato un tempo, tra gli anni Quaranta e i Cinquanta, in cui l’utilizzo di queste molecole (LSD e psilocibina, quella dei funghi, per intenderci) promettevano praterie immense e inesplorate per lo studio della mente e dei suoi disturbi . E nondimeno dimostravano eccezionali risultati nella cura di depressione, ansia, dipendenza dall’alcol o dal tabacco.
Quel tempo è finito piuttosto velocemente. Per i cinquant’anni successivi sugli psichedelici è calato uno stigma ottuso e antiscientifico , e il loro utilizzo è sempre stato ostacolato, o tutt’altro che favorito, persino nei centri di ricerca farmacologica, nei laboratori, negli ambienti accademici. Eppure, lo sappiamo, tutti i tempi sono destinati a cambiare. E così anche il tempo dello stigma sembra aver imboccato la via del tramonto, visto il rinnovato interesse per le applicazioni mediche di queste sostanze sulla scorta di una serie di rivoluzionarie scoperte scientifiche avvenute negli ultimi quindici anni . Lo chiamano “ rinascimento psichedelico ”: di come funziona la mente umana sappiamo ben poco, ma se c’è un modo per scoprire di più (e molto di più) questo lo possono fornire l’LSD e la psilocibina. Beninteso: lo dicono alcuni tra i più autorevoli ricercatori al mondo, non il santone di una comune hippie .
Quella degli psichedelici è una storia lunga e complessa, tutt’altro che derubricabile allo “sballo” e al semplice uso ricreativo (anch’esso, ammettiamolo, incoerentemente demonizzato: e se leggerete il libro capirete perché). Una storia che, soprattutto, si sta scrivendo ora e deve ancora essere scritta. “La scommessa psichedelica” , a cura di Federico Di Vita è una raccolta di saggi a opera di scrittori, giornalisti, politici, scienziati, critici letterari, memer , che vuole scandagliare lo stato dell’arte delle sostanze psichedeliche, il loro (nuovo) impatto sulla società, sull’individuo, in termini medici e culturali. Qualcosa che sarebbe anche ora di riscoprire liberandosi (finalmente) di tutte le incrostazioni ideologiche che hanno perseguitano questo argomento per decenni.
“Mio padre il pornografo” di Chris Offutt (Minimum fax, 2019)
Chris Offutt è uno scrittore americano originario del Kentucky. In questo romanzo autobiografico racconta una storia vera, la storia di suo padre, uno scrittore di romanzi pornografici e fantasy che, cominciando un po’ per caso e un po’ per necessità (pagare le spese dentistiche del figlio) finì lasciare il suo lavoro di rappresentante per scrivere e pubblicare quelli che alla sua morte sarebbero stati “più di quattrocento libri, usando diciotto pseudonimi diversi. C’erano sei romanzi di fantascienza, ventiquattro fantasy e un thriller. Il resto erano romanzi pornografici” .
Un’enorme mole di materiale ( “otto quintali di pornografia” ) che Chris si trova a ereditare alla morte del suo vecchio, e che è custodita in uno studio da sempre inaccessibile a tutti tranne che alla moglie, alla quale l’uomo affidava il compito di dattiloscrivere i manoscritti. Ed è così che comincia un’indagine attraverso cui il figlio conosce veramente suo padre per la prima volta, meglio di come avesse mai avuto modo di fare. L’assenza diventa presenza, una possibilità. Lo fa non solo attraverso la mole di pornografia cui l’uomo si è dedicato per tutta la sua vita con maniacale dedizione, ma anche attraverso la sua memoria, quella di sua madre e del resto della famiglia.
Una storia vera che diventa grande letteratura, e una specie di manuale su come si scrive un memoir , di come si tratta una storia personale senza che questa risulti esclusiva, retorica, artefatta, egocentrica. E che raggiunge proprio con la consapevolezza della parzialità del punto di vista, e con la delicatezza per esprimerlo, il valore più alto raggiungibile per una storia vera singolare: il respiro universale.
“La mia autobiografia”, di Charles Chaplin
Un’altra storia vera, questa volta di uno dei personaggi più celebri del secolo scorso, raccontata in prima persona. Una di quelle storie che si bevono d’un sorso e una volta che finiscono lasciano ancora sete e voglia di leggerne ancora, e ancora. D el resto nemmeno la più fervida immaginazione, probabilmente, potrebbe avvicinarsi a dipingere fedelmente l’incredibile vita di Charles Spencer Chaplin , un vero eroe del buonumore, un balsamo per lo spirito, un tale che ogni volta che compare sullo schermo è in grado di metterti in pace col mondo e tutte le bassezze che lo caratterizzano.
Naturalmente è tutto raccontato dalla sua viva penna: l’infanzia in una mansarda dietro Kennington Road a Londra, la madre attrice nel vaudeville e il suo pane fritto nel sugo di carne. Il collegio, la scuola. E poi gli inizi nella compagnia di Fred Karno, insieme a Stan Laurel. Poi tutta la parentesi americana, i successi alla Keystone di Mack Sennett, la fondazione della United Artist con Mary Pickford, David Griffith, Douglas Fairbanks: la storia di Hollywood. Lui che si costruisce gli studio dove girare i suoi film, fabbrica le scenografie e gli oggetti di scena con maniacale precisione , mentre gran parte dello star system scialacqua denaro alle feste jazz in cui si balla lo shimmy , si fiuta cocaina e l’ orange blossom scorre a fiumi. Poi i film drammatici, Charlot “ucciso” nel 1947, l’accusa di comunismo e attività antiamericane e il divieto di rientrare negli USA che lo spinge a stabilirsi in Svizzera. E tutti quei piccoli dettagli privati e quei retroscena che fanno dell’autobiografia un genere letterario unico.
Charles Spencer Chaplin muore nel sonno la notte di Natale del 1977. Pare che quella sera, prima di coricarsi, abbia chiesto alla moglie di tenere le porte aperte per lasciare che le note dei canti di Natale salissero su fino alla sua camera da letto, come da tradizione . Quale miglior periodo, se non quello natalizio, per immergersi nel racconto in prima persona della vita di quel piccolo grande genio.
- 5 libri per Natale: una selezione ragionata (poco) e appassionata (molto)
- “La bella indifferenza” di Athos Zontini (Bompiani, 2021)
- “La lunga marcia” di Stephen King (prima edizione italiana Arnoldo Mondadori Editore, 1985)
- “La scommessa psichedelica”, a cura di Federico Di Vita (Quodlibet Studio, 2020)
- “Mio padre il pornografo” di Chris Offutt (Minimum fax, 2019)
- “La mia autobiografia”, di Charles Chaplin