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Storia di una prima visita al Parco Le Cornelle, dove «ogni animale è un messaggero»

Articolo. Oggi, 5 giugno, si celebra la «Giornata Mondiale dell’Ambiente». Il Parco Faunistico l’ha festeggiata sabato, con una serie di eventi culturali volti alla sensibilizzazione. Ma quali sono le conseguenze del cambiamento climatico per gli abitanti che lo popolano? Lo abbiamo chiesto a chi ci lavora

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Famiglia di bongo con il nuovo arrivato Matata

Qualche giorno fa vi ho raccontato l’iniziativa che il Parco Faunistico Le Cornelle di Valbrembo ha ospitato sabato 3 giugno: « Educazoo », un’esperienza didattica per aiutare i visitatori a comprendere abitudini, alimentazione e cura di alcune delle specie che vivono al Parco. È proprio dal racconto di questa giornata che comincia il mio viaggio alle Cornelle. Ho visitato per la prima volta il parco accompagnata da Luca, una guida molto attenta e preparata che mi ha condotta alla scoperta di questo mondo affascinante e ricco di prospettive su cui riflettere, soprattutto per quanto riguarda l’impatto che le attività umane hanno sulla flora e sulla fauna.

Quando sono entrata, la prima cosa che mi ha colpita è stata l’odore. Un profumo selvaggio e vibrante, diverso da quello della natura a cui sono abituata, permeava tutta la zona. Mi ha divertito, mentre percorrevo i sentieri ombreggiati, ascoltare i richiami che si scambiavano gli animali. Si comunicavano la loro presenza reciproca, creando una colonna sonora naturale che mi accompagnava nella visita. Ed eccomi davanti alle maestose tigri del Bengala, al simpatico gruppo di pinguini dal dorso nero – gruppo che ha visto nascere da poco due cuccioli – fino alle giraffe che, diversamente da quanto pensavo, non dormono stando in piedi, ma riposano tenendo il collo sollevato per garantire sempre la giusta ossigenazione al cervello.

Il Parco Le Cornelle non è solo una celebrazione della fauna selvatica: è anche un luogo dove l’umanità può imparare l’importanza del rispetto per l’ambiente e la necessità di una convivenza equilibrata con le altre forme di vita. Perché qui, come ho avuto modo di vedere, ogni animale è curato con amore e dedizione, in un ambiente che cerca di replicare il più fedelmente possibile il suo habitat naturale. Un messaggio potente che risuona in ogni angolo del parco: «dobbiamo salvaguardare la biodiversità».

Il primo gruppo di animali che la guida mi ha presentato appartiene alla savana: una coppia di zebre di montagna, le antilopi, e a fare da outsider un pavone, che se ne andava in giro scorrazzando per il percorso e che scappava appena provavo a fotografarlo. E poi gli gnu, i cammelli, gli struzzi e una simpatica coppia di gibboni dalle mani bianche che sono stati rinominati dalla community dei social: Renzo e Lucia. Ci siamo avvicinati subito dopo al gruppo dei suricati che, come mi spiegava Luca, sono tra le specie che si prestano anche a fare dei training con i keeper. Si tratta di esperti che insegnano loro dei comandi, grazie ai quali ogni animale viene introdotto in un tubo e pesato per capirne lo stato di salute.

Il benessere dell’animale prima di tutto

Ogni reparto, nel Parco, presenta una vegetazione molto rigogliosa e, oltre a questa, gli animali hanno anche poi degli spazi interni per ripararsi dal caldo e dal freddo e per nutrirsi. Questo perché ciascun essere vivente deve avere la possibilità di scegliere se mostrarsi al pubblico o nascondersi dietro agli alberi o alle rocce. Nell’istante in cui mi ha spiegato questo, la guida mi ha fatto notare che in lontananza, dietro ad una fitta vegetazione, due occhi mi stavano puntando: si trattava di un ghepardo. Successivamente ci siamo spostati verso i potamoceri, che convivono pacificamente (o quasi) con gli otocioni, volpi con le orecchie da pipistrello.

Gli studi approfonditi attraverso cui vengono ricreati gli habitat naturali permettono a specie diverse di convivere tra di loro senza rappresentare una minaccia, l’uno per l’altro, attraverso una pratica molto importante per preservare il valore della biodiversità, ovvero l’exhibit misto. Gli exhibit sono spesso progettati per fornire agli animali spazi di vita più ampi e stimolanti, consentendo loro di esprimere i loro comportamenti naturali e di interagire con altre specie compatibili. Questo approccio può anche fornire ai visitatori un’opportunità di approfondire le conoscenze sulle interazioni tra le diverse specie e sulla conservazione degli ecosistemi.

Luca mi ha accompagnato poi nella selva tropicale nella quale si trovano anatre, ibis rossi, pellicani, all’interno di una voliera di 7000 metri quadrati in cui possono costruire liberamente il loro nido. Singolare il caso della cicogna, esterna a questo habitat, che da qualche anno sceglie di riprodursi tornando al parco Le Cornelle. E come dimenticare i cacatua che richiamavano la mia attenzione facendo rumori e versi come a dirmi: «hey, mi vedi? Ci sono anche io!».

Quando entriamo nella zona dedicata agli elefanti, Luca mi spiega che anche questi animali vengono coinvolti nei training, attraverso cui le guide insegnano all’animale a rispondere ai comandi mediante dei premi in cibo, che consentono agli esperti di ispezionare la bocca e le zampe. L’area degli elefanti in particolare si chiama «Pinnawala» per omaggiare «Pinnawala Elephant Orphanage», un orfanotrofio che ospita gli elefanti che sono vittime di catture illegali o che sono stati abbandonati in Sri Lanka.

Il valore etico dei parchi

Ma perché esiste il Parco Le Cornelle e qual è la funzione di un parco faunistico? Il parco partecipa a dei progetti chiamati EAZA (Associazione Europea Zoo e Acquari) finalizzati alla conservazione delle specie in via d’estinzione. Perché, come mi spiega uno dei veterinari, si agisce perseguendo due strade: «Per quanto riguarda la conservazione in situ, cioè all’interno del parco, provvediamo con la cura degli animali, facendo ricerca, divulgazione e con la loro riproduzione. Invece, per quanto riguarda la conservazione ex situ, cioè nei paesi di origine, il parco partecipa finanziando dei progetti che localmente garantiscono la destinazione di fondi in loco delle attività di protezione, come facciamo, ad esempio, col ghepardo delle nevi».

Ma come vengono poi selezionate le specie animali che vengono ospitate alle Cornelle? Lo scopo delle strutture EAZA è quello di accogliere il maggior numero di esemplari appartenenti a specie in via di estinzione. Quando una di queste strutture decide di ospitare uno di questi progetti, deve affrontare un percorso che prevede che il parco faccia richiesta al coordinatore che si occupa di tutti gli animali appartenenti a quella specie nelle strutture europee. «È ciò che stiamo cercando di fare con i buceri di terra, che sono uccelli africani. Una volta che abbiamo ricevuto l’approvazione a ospitare questi animali come struttura idonea, contemporaneamente abbiamo aderito un progetto in Angola per tutelarli nel loro paese d’origine».

Una precisazione che anche Emanuele Benedetti, titolare del Parco insieme alla sorella Nadia, ci tiene a fare è che tutti gli animali presenti nei parchi provengono o sono nati nei parchi stessi. «È importante svecchiare l’immagine dello zoo considerato come un elemento di intrattenimento che preleva gli animali dal loro habitat e li rinchiude. Lo scopo delle strutture EAZA, lo ribadiamo, è che una determinata specie sia mantenuta con una popolazione di garanzia, per far sì che nel momento in cui le condizioni in natura lo permetteranno siano reintrodotti in natura. Esempi sono gli addax, ovvero una specie di antilope africana, gli orici dalle corna a sciabola o l’ibis eremita. Inoltre, la partecipazione ad un progetto non è unicamente finalizzata alla riproduzione della specie. In alcuni parchi, ad esempio, sono presenti solo esemplari maschi, per mantenere del materiale genetico».

Con l’evolversi delle condizioni ambientali e climatiche si è evoluto quindi anche il ruolo dei parchi che non hanno più solo un valore espositivo, anzi. «Noi che facciamo questo lavoro ci rendiamo conto di alcuni aspetti che indicano cambiamenti repentini e rapidissimi. Ci sono specie animali che fino all’altro ieri consideravamo comunissime: a nessuno sarebbe passato per la mente che nel breve periodo sarebbero potute diventare specie a rischio. L’esempio più emblematico riguarda l’ippopotamo, che ha un’area di distribuzione molto ampia, corrispondente all’Africa Sud Sahariana. Fino a pochi anni fa, si pensava che gli ippopotami presenti negli zoo non avessero nessuno scopo di conservazione. Poi, nel giro di vent’anni, la popolazione è calata del 40%, con una previsione di un ulteriore calo del 20% nei prossimi dieci anni. E parliamo di specie con migliaia di esemplari fino a pochissimo tempo fa. Ad oggi non possiamo dire che ci sia davvero un animale a rischio, perché lo spazio è sempre meno. Ci sono forse più tigri in cattività che in natura perché non ci sono più all’esterno delle aree di destinazione».

E da queste parole che mi porto a casa il messaggio più importante. Ogni animale presente nel Parco Le Cornelle è un messaggero, uno strumento per trasmettere il valore del lavoro che si compie quotidianamente in ogni parco: tutelare le specie a rischio spingendo i visitatori a entrare in contatto con mondi e problematiche che ci sembrano lontanissimi ma che ci riguardano da vicino, perché come esseri umani abbiamo il dovere e l’obbligo di fare di più per il nostro pianeta e per i suoi esseri viventi. Per saperne di più, l’appuntamento è alle Cornelle!

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