Perché leggere ancora l’Odissea nel 2019? Lo abbiamo chiesto a Ferruccio Filipazzi, che giovedì 11 luglio alla Villa Viviani Rumi di Bergamo (via Monte Bastia 6, San Vigilio, ingresso libero) leggerà l’opera di Omero per deSidera Teatro Festival, accompagnato da Claudio Fabbrini alla chitarra.
Nella vulgata comune “Odissea” è un classico. Espressione che allude alla capacità di un testo di travalicare i secoli e parlare al contemporaneo. Di cosa? Essenzialmente delle questioni fondamentali del vivere umano: il dolore, l’amore, la morte, la nostra stessa umanità. Ma un classico è anche ciò che fra le sue pieghe riesce a parlare dell’attualità e del quotidiano, inoltrandosi in questioni a volte inaspettate.
“Cominciamo dicendo che anche nell’Odissea c’è un Capitano”, ride Filipazzi, attore di lungo corso e grande esperienza, spesso presente nei cartelloni teatrali della nostra provincia. “Ulisse è il furbo per eccellenza. È una considerazione forse scontata, ma lui è un capitano furbo che si fa carico dei suoi uomini. Per loro rischia la vita e non fugge dalla situazioni pericolose e dalle responsabilità”.
In questo senso l’episodio di Polifemo è esemplare: “Ulisse cerca di capire come salvare tutti i suoi compagni di viaggio. Il primo istinto è quello di estrarre la spada, ma poi cerca una soluzione grazie alla sua intelligenza e al suo ruolo di comandante. Alla fine ne uscirà vincitore e quell’episodio è una sorta di lode delle sue caratteristiche positive”.
Ulisse uomo furbo e intelligente. Tuttavia l’Odissea è anche una storia di donne: “Calipso, Circe, Penelope sono diverse facce del femminile. Ora con questa lettura sto viaggiando dalla parte di Ulisse, ma vorrei tornare anche alla parte delle donne, perché è incredibilmente moderna”. Vedi ad esempio Calipso: “La sua recriminazione agli dei, su come questi facciano il buono e cattivo tempo con le donne più belle, spesso seducendole con l’inganno, è una dichiarazione di grande femminismo. Prima o poi tornerò a leggere l’Odissea con una voce femminile”.
Odissea inoltre, fra scene di guerra e massacri, è anche un’opera sull’accoglienza. “Chi sono i re che incontriamo nel libro? Sono fondamentalmente i capi di piccole isolette fatte di pietre, case e capre. Eppure gli stranieri erano sempre accolti: se un forestiero giungeva in una di queste cittadine veniva ospitato, ci si preoccupava di lui e la prima cosa da fare era dare da mangiare ai nuovi arrivati”. Che magari ringraziavano raccontando una storia: “Quando rileggo l’Odissea mi arriva alla mente questa immagine di un uomo che viene accolto e rifocillato. Poi alla sera tutto il paese accorre intorno a lui, che cava uno strumento, la gente si zittisce e comincia il suo racconto fino a notte fonda, occhi e orecchie in ascolto”.
Non sarà troppo dissimile ciò che accadrà giovedì, quando Filipazzi si misurerà con il testo omerico in una versione storica: “Qualche anno fa trovai una vecchia versione BUR del testo in una bella traduzione poetica del grande latinista Enzio Cetrangolo”. Ed è da qui e da un incontro provvidenziale che è nato il progetto di lettura di Odissea: “Alcune amiche insegnanti di una scuola elementare di Milano mi chiamarono per leggere Omero. Facemmo cinque incontri e quando in uno di questi appuntamenti una bambina si commosse per l’episodio di Ulisse che torna da Penelope capii che aveva senso leggere l’Odissea, perché aveva in sé il destino che segna poche altre storie, quello di parlare a tutti”.
Le reading oggi sono molto diffuse, ma Filipazzi iniziò a leggere Odissea molto prima che il fenomeno esplodesse: “Ricordo che molti anni fa in Trentino feci un giro di quaranta biblioteche leggendo ad ogni appuntamento degli stralci del libro. Un anno invece fui proprio preso da una sorta di furore e arrivai a fare 275 letture”.
Ma come reagisce il pubblico alla lettura di un testo così antico? La musica della chitarra di Claudio Fabbrini nella reading di Filipazzi ha un ruolo fondamentale: “Ho sempre lavorato con dei musicisti, fin da ragazzo quando avevo un gruppo (Ferruccio faceva parte di “…e per la strada” che nel 1973 aderì al Nuovo Canzoniere, ndr). E ho sempre chiesto a loro di non fare degli stacchetti. Io racconto storie che hanno una parte di riflessione e una parte emotiva che tocca il cuore e la pancia della gente. Secondo me un musicista deve lavorare sulla parte emotiva dello spettacolo, con il suono e con il silenzio. Così fa Claudio, con cui c’è una bella comunione”.
Musica, un lavoro intenso e preciso sul dire (“mi piace sottolineare la bellezza della parola”) ma pure la necessità di confrontarsi con un pubblico che dell’Odissea conserva l’idea mutuata dalla scuola, “che a volte ci allontana un po’ da queste grandi narrazioni. Bisogna avere la fortuna, come l’ho avuta io, di trovare insegnanti che sappiano trasmettere l’essenza della letteratura”. Ovvero la sua profonda prossimità alla nostra condizione esistenziale.
Forse però il problema maggiore è quello della velocità distraente dell’accelerazione tecnologica: “Dinanzi alla rapidità dei social a volte mi sento fuori dal mondo. Il pubblico non è più abituato alle pause, ai silenzi, al ritmo lento, al respiro dell’epica”. Tuttavia in fondo la grande letteratura è più forte: “Quasi sempre accade che piano piano le persone presenti agli spettacoli prendano la misura, entrino in questo respiro, ne colgano l’intuizione”. Allora succede una specie di magia, “un qualcosa che riemerge dal nostro profondo. Perché queste grandi storie fanno parte di noi, sono le nostre radici”.