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Putin, il gas e Zelensky: la guerra in Ucraina vista da Giorgio Fornoni

Intervista. Figura di “outsider” per eccellenza del giornalismo italiano. Autore di inchieste televisive per Report sulla Cecenia, il nucleare, il gas, le armi di distruzione di massa. Reporter di guerra. Nonché profondo conoscitore della realtà dell’est Europa. Fornoni sarà sabato 2 aprile a Parre per l’incontro «Ucraina. Per capire»

Lettura 6 min.
Giorgio Fornoni

«Pensavo che al massimo Putin avrebbe dato l’ordine di rinfrancare l’appartenenza filorussa del Donbass, cioè le repubbliche del Donetsk e Luhansk, e la Crimea, dopo aver allargato l’influenza russa invadendo la Georgia nel 2008 per dare vita all’Ossezia del Sud e l’Abkhazia con un referendum per avere uno sbocco sul Mar Nero. Gli americani avevano il sentore che sarebbe successo qualcosa, cioè un attacco all’Ucraina tutta. Ora siamo in una situazione in cui da una parte l’aggressione continua e dall’altra l’Ucraina resiste, con Zelensky che non vuole mollare nulla, lo ha ribadito anche stanotte (la notte fra lunedì e martedì, ndr). Per come conosco io Putin la situazione diventerà sempre più dura». Parola di Giorgio Fornoni, con cui svisceriamo alcuni dei tanti temi della guerra in Ucraina, a partire da Vladimir Putin.

LB: Come lo conosce lei “lo zar”?

GF: Come una persona di grande cinismo. Cominciò a dimostrare di esserlo nel 1999, quando Eltsin lo nominò suo successore e iniziò a occuparsi della Cecenia per poi entrare a Grozny (la capitale della Cecenia, ndr) nel 2000 e usare da subito il pugno duro. Ricordo cosa mi disse allora sul campo Anna Politkovskaja: «Putin ha dato l’ordine di accopparli nel cesso», in lui c’era una cattiveria e un disprezzo totale (i link della prima e seconda parte dell’inchiesta. Dimostrò il suo cinismo anche nei confronti delle vedove dell’equipaggio del sottomarino Kursk che affondò nel mare di Barents e poi quanta cattiveria seppe usare nel teatro Dubrovka, rifiutandosi di trattare e gasando centinaia di persone, terroristi e non. E così avvenne anche per la scuola di Beslan, quando entrò con i lanciafiamme delle forze speciali, ammazzando quasi duecento bambini e più di trecento persone in totale.

LB: Anche con la stampa ha sempre avuto un rapporto ambiguo e tutt’altro che democratico.

GF: Sì, l’uccisione della Politkovskaja è solo una delle sei persone della Novaja Gazeta uccise durante il dominio di Putin, senza contare tutti gli altri. Proprio ieri (lunedì, ndr) Dmitrij Muratov, direttore del giornale, oggi Nobel per la pace, ha dato ordine di chiudere la Novaja Gazeta, uno dei pochissimi quotidiani russi indipendenti, perché era diventato troppo pericoloso andare avanti. Tutti i media sono controllati dal governo o dagli oligarchi che fanno riferimento a Putin.

LB: Tutto questo non ci sarebbe se Putin non fosse un ex del KGB.

GF: Da lì deriva la sua grande formazione militare, che ha messo in campo anche in questo duro attacco all’Ucraina. Ma non è il solo: circa il 67% dei deputati della Duma (il parlamento russo, ndr) sono ex del KGB.

LB: Poi c’è la questione del gas, in cui l’Italia è in difficoltà.

GF: Nel 2007 chiedevamo a Gazprom il 23% del proprio fabbisogno. Oggi riceviamo dalla Russia circa il 40%, quindi siamo fortemente dipendenti da Gazprom, controllata dal governo russo. Siamo arrivati a questa situazione perché l’ENI e i governi precedenti non hanno avuto la schiena dritta dinanzi alle pressioni di Putin. Quindi abbiamo fermato il progetto Nabucco, un gasdotto che portava gas dal Kazakistan e, attraverso il Mar Caspio, avrebbe attraversato l’Azerbaigian, la Turchia, la Bulgaria, la Romania, l’Ungheria e l’Austria, per poi arrivare in Italia senza transitare dalla Russia. Ci è rimasta la TAP che dall’Azerbaigian, passa in Turchia, Grecia, Albania e quindi in Italia. Ma non basta al nostro fabbisogno.

LB: In una delle sue inchieste sul gas, «La via del gas», lei ha parlato del giacimento di Karachaganak, in Kazakistan, e del rapporto fra ENI e Gazprom…

GF: Un giacimento grandissimo dell’ENI. Quando andai là nel 2007 mi dissero che riuscivano a recuperare 10 miliardi di metri cubi di gas, facendoli diventare attraverso dei trattamenti 20 miliardi di metri cubi. L’ENI svendeva a 14 dollari al metro cubo a Gazprom, la quale a sua volta rivendeva a 280 dollari al metro cubo il gas in Europa. Sono cose denunciate da Mario Reali, uomo ENI in Russia, ma persona con la schiena dritta. Gazprom vuol mantenere il monopolio del gas, quello sul territorio russo ma anche quello controllato attraverso altre partecipazioni, alcune con ENI, in Nigeria e Egitto. Pure il gas che arriva da Uzbekistan, Kazakistan, Tagikistan e così via per arrivare in Europa passa da condutture russe, bielorusse e ucraine. Il ministro dell’energia ucraino ha dichiarato che l’80% del gas russo passa dall’Ucraina, quindi uno dei motivi della guerra potrebbe anche essere quello di non lasciare troppa autonomia circa il gas a Kiev.

LB: Ci sono anche i gasdotti che collegano la Russia alla Germania.

GF: Il North Stream e il North Stream 2, che nei giorni scorsi è stato bloccato su spinta degli Stati Uniti per mettere con le spalle al muro Putin. Ma non riusciremo mai veramente a metterlo con le spalle al muro se continueremo a essere dipendenti dal suo gas. Questo è il ragionamento base da fare su questa guerra.

LB: L’Italia ha anche il grosso problema dei rigassificatori.

GF: In Egitto abbiamo grossi giacimenti di gas-metano in stato liquido. Noi, avendo solo due rigassificatori per trasformare il gas da liquido allo stato aeriforme, non riusciamo a creare una riserva sufficiente. Quindi questo gas, di proprietà di ENI, finisce in Spagna, dove hanno un numero sufficiente di rigassificatori per trasformare il gas. Bersani, quando era ministro, sottolineò la mancanza di rigassificatori in Italia e mi sembra che Draghi voglia andare in quella direzione. Per aggirare il gas russo avremmo dovuto puntare anni fa sulle energie alternative e ottenere più gas ad esempio dall’Algeria, da cui non siamo mai riusciti ad avere più di 25 miliardi di metri cubi. Per questo nelle scorse settimane il ministro Di Maio è andato in Algeria e in Qatar per stabilire nuovi accordi. Serve però tempo per riorganizzarci e sfuggire dal vincolo di sudditanza di Gazprom.

LB: Gas che per Gazprom e la Russia significano tantissimo denaro, anche per gli armamenti.

GF: Ogni anno Gazprom guadagna più di 250 miliardi di dollari dalla vendita di gas all’Europa. Hanno riserve enormi, solo il giacimento di Urengoy contiene 750 miliardi di metri cubi di gas. Un terzo di tutto il gas russo. Da questi numeri si capisce quale sia la forza di Gazprom e come Putin abbia potuto permettersi di schierare circa 130 mila soldati ai confini ucraini e chiamare uomini anche dalla Siria e dalla Cecenia. Putin è molto armato.

LB: Non possiamo però non tenere conto dell’atteggiamento ostile della NATO e dell’UE verso la Russia dalla fine degli anni ’80 in poi.

GF: Ovviamente. Negli anni ’90, dopo la caduta dell’URSS, era stato promesso che nessuno avrebbe “occupato” con la propria influenza le nuove repubbliche che nascevano dalla disgregazione dell’Unione Sovietica. Non è stato così e la NATO si è allargata di 1000 km a est. Al di là di quell’accadimento però sottolineo che Putin vuole ricompattare sotto la sua influenza le ex repubbliche sovietiche, a partire dai paesi baltici. È un rospo che non riesce a ingoiare, come non riesce ad accettare il nostro sistema democratico. E poi vuole anche la Georgia, la Finlandia e la Svezia fuori dalla NATO. Insomma vuole la NATO lontano dai suoi confini. Da uomo del KGB ha cercato la guerra, come l’hanno cercata gli Stati Uniti.

LB: Biden nei giorni scorsi ha definito «macellaio» Putin. Macron si è dissociato.

GF: L’America ha premuto il più possibile la NATO verso la Russia, portando vicino ai confini russi gli armamenti, anche se in verità basta un missile a lunga gittata per causare dei danni a una nazione. Biden doveva starsene zitto visto cosa l’America ha combinato in giro per il mondo. In Sudamerica, in Afghanistan dove sono morte 150 mila persone e con i talebani – che sono il 50% della popolazione afghana – non si è mai voluto trattare; in Iraq con la scusa falsa delle armi di distruzione massa, che lì non c’erano ma in Russia sì. Lo testimonia l’inchiesta che al tempo feci sulle armi di distruzione di massa: in Russia trovai sette grandi depositi a riguardo. Tornando alla definizione che Biden ha dato di Putin, ha solamente detto ciò che vale per la guerra: in ogni guerra ci sono i «macellai», non c’è pietà.

LB: Da un lato avvia tavoli di trattative, dall’altro incita il popolo a cancellare il nemico. Vanity Fair gli ha dedicato una copertina e La7 trasmetterà la serie tv che lo ha reso famoso, facendogli vincere le elezioni. Per farla breve, cosa ne pensa di Volodymyr Zelensky?

GF: Zelensky per non fare uccidere la sua gente avrebbe dovuto sedersi subito al tavolo delle trattative e lasciare a Putin la Crimea e le repubbliche del Donetsk e del Luhansk. Per non arrivare ad una guerra avrei accettato anche questo, ma lui vuole mantenere l’integrità dell’Ucraina e quindi sarà difficile arrivare a un accordo. Che poi lui abbia saputo dare questa forza patriottica alla sua gente è una cosa straordinaria, però mi viene anche da pensare che se per un’idea devi portare a combattere e morire la tua popolazione, forse un pensiero in più ce lo devi fare. Lui è riuscito a portare dalla sua parte moltissima gente ucraina. Fa la voce grossa perché gli USA e l’Europa lo sostengono, tuttavia non può pensare di mantenere l’Ucraina integra. Putin non cederà.

LB: Putin all’inizio ha giustificato l’invasione dell’Ucraina con l’intento di «denazificare» l’Ucraina, che all’interno del suo esercito ha i neo-nazisti della Battaglione Azov e ha reso Stepan Bandera un eroe nazionale.

GF: Non è una giustificazione valida per invadere uno stato autonomo come ha fatto fino ad oggi. Anche perché l’Ucraina non è una nazione nazista e dovremmo ragionare bene su cosa significa «nazismo» lì. Oltre alla guerra con le armi, Putin sta conducendo una guerra mediatica.

LB: Durante la sua inchiesta sui gulag russi ha conosciuto Grigory Pomerants, fra i più grandi studiosi di Dostoevskij, amico di Solženicyn e di Šalamov. Di Pomeranz ama citare una frase assai significativa.

GF: Mi disse: «l’uomo medio vive nel suo mondo ordinato, e attribuisce il male a qualche fattore che non lo riguarda. Bisognava far vedere il vero volto, il volto disgustoso del male perché la gente lo rigetti. E questo è il momento della cultura far vedere alla gente quanto è disgustoso il volto del male, com’è orrendo l’odio che giustifica il perpetuarsi del male come vendetta». Ripeteva che il ribollire dell’odio può fare delle stragi enormi, la tecnica che possediamo, applicata alle armi, può portarci a esiti gravissimi. Bisogna spingere per creare un uomo più umile, più buono, dal cuore aperto. In guerra non ci sono né vincitori, né vinti, come diceva il mio amico Gino Strada.

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